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Laici una forza viva fra gli ucraini cattolici in Italia (B. Mioli)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/07


C’è ormai un buon numero di sacerdoti ucraini in Italia, dediti a tempo pieno o perlomeno part-time ai loro connazionali che in numero sempre crescente  si fanno presenti nelle nostre città grandi o piccole e perfino nei più remoti paesi; questi immigrati (ma per l’85% si tratta di immigrate) fanno parte ormai della nostra vita quotidiana perché ne sentiamo parlare di continuo e non è raro il caso che andando a trovare un amico venga ad aprirci una colf proveniente da quell’estremo lembo dell’Europa. Tanti di loro sono cattolici, in maggioranza di rito orientale. E se la statistica ufficiale dell’appartenenza religiosa ci dice che tra gli ucraini in patria solo quattro su cento sono cattolici, tra gli immigrati in Italia essi sono dieci volte tanto, anzi nell’area romana chi è a diretto contatto con questa gente asserisce che la maggioranza è cattolica.

C’è sempre una prima volta

Si comprende come i sacerdoti ucraini presenti in Italia abbiano già fatto più di un incontro per confrontarsi sul loro impegno per l’assistenza religiosa di questi loro connazionali. Non era invece mai capitato per i laici cattolici, che condividono questa cura pastorale - o, più esattamente, socio-pastorale - di incontrarsi fino all’11 marzo, quando il giovane Coordinatore nazionale della pastorale per gli ucraini greco-cattolici in Italia, li ha convocati da tutta Italia presso la splendida basilica di Santa Sofia a Roma, in Via Boccea. Questo primo incontro non era dedicato ai laici cattolici in genere e nemmeno a quelli che militano in qualche forma di volontariato: era riservato ai “leaders”, ossia agli animatori o referenti dei centri pastorali cattolici che sono sorti e continuano a sorgere su tutto il territorio, dall’arco alpino all’estremo sud della Penisola.

Per capirci meglio torniamo sui numeri.

Migrazione dall’Ucraina: un fiume in piena

Sarebbe improprio parlare di invasione, come si fa da parte di certuni che in fatto di migrazioni sembrano profeti di sventure per mestiere. Non si può però negare che il piccolo ruscello di anno in anno si è rapidamente ingrossato, è diventato torrente impetuoso e poi un fiume in piena. Sembra però che scorra fra argini abbastanza saldi, per cui non è il caso di parlare di fiumana incontenibile sul punto di straripare e invadere la nostra “Padania”.

Ecco i numeri. Dieci anni fa, gli ucraini in Italia erano un numero trascurabile di poche migliaia e a tale livello rimasero sino alla fine degli anni ’90. All’inizio del 2000 passano a circa 15.000 ma il grande balzo in avanti si ha nel 2002-2003 con la regolarizzazione a seguito della legge Bossi-Fini, che ha interessato circa 700.000 extracomunitari e fra questi 105.000 cittadini dell’Ucraina, collocandoli così al quarto posto fra i Paesi di provenienza degli immigrati. Anche negli anni seguenti si ha un progressivo aumento così che all’inizio del 2003 si giunge a quota 127.000 e dal 2006 a quota 158.000. Però anche questo tetto viene scavalcato perché il Governo di centro destra, allo spirare dei suoi giorni, ossia all’inizio del 2006, emana il decreto per i flussi d’ingresso che consente ai datori di lavoro di far richiesta di lavoratori stranieri entro un limite massimo di 170.000 unità. Sennonché quel famoso pomeriggio del 13 marzo vengono consegnate alle Poste non 170.000 ma ben 485.000 raccomandate con domande di assunzione di lavoratori, domande che in luglio sono lievitate a 520.000. Il nuovo Governo toglie il limite dei 170.000 e apre la possibilità di instaurare un regolare rapporto di lavoro a tutti i 520.000 richiedenti per i quali era stata depositata una richiesta dai datori di lavoro. Fra questi lavoratori e lavoratrici si contano anche circa 40.000 cittadini ucraini di fatto già in Italia, impegnati in un lavoro sommerso. Grazie alla regolarizzazione del lavoro si avvia anche quella del soggiorno e pertanto la presenza regolare o in via di regolarizzazione degli ucraini durante il 2006 oltrepassa abbondantemente le 200.000 unità.

Tutta questa gente può sfuggire all’attenzione delle Istituzioni, un po’ meno dell’opinione pubblica. Non può però sfuggire all’attenzione di Santa Madre Chiesa ed in particolare degli operatori pastorali che in nome della Chiesa si prendono cura di questa parte del gregge di Cristo disperso dalla migrazione.

“Pecore sperdute senza pastore”?

Pecore sperdute: questa è la realtà o almeno il pericolo, perché diaspora migratoria è sinonimo di dispersione e l’emigrazione comporta di natura sua questa dispersione socio-geografica con i suoi gravi rischi di trasformarsi in sbandamento religioso e morale. Per fortuna c’è ancora chi si mette sulle tracce del Buon Pastore. E non si tratta soltanto degli “addetti ai lavori” ossia degli operatori pastorali ufficialmente designati, ma pure di tanti laici che scoprono nel loro battesimo la vocazione e missione di prendersi cura del gregge.

Ma vediamo più da vicino il caso degli ucraini. Agli inizi del 2000 i presbiteri ucraini di rito greco-cattolico che si prendevano cura dei connazionali in Italia erano qualche unità; ora sono 24. Precisiamo però: solo alcuni di loro hanno come ministero esclusivo o prevalente la cura pastorale dei loro connazionali; gli altri sono inseriti nelle nostre parrocchie al servizio delle medesime, dedicando parte del loro tempo ai connazionali presenti sul territorio, magari anche fuori dei confini della diocesi di appartenenza. Altri 20 giovani sacerdoti, presenti a Roma per lo più per motivi di studio, a fine settimana si mettono a disposizione per un servizio pastorale in qualcuno dei tanti centri ucraini della vasta diaspora. Il tutto sotto la regia del Coordinatore nazionale, P. Olexsandr Sapunko, che dal 2005 sostituisce il primo dinamico Coordinatore, P. Vasyl Potochnyak, nominato dal Presidente della Conferenza Episcopale Italiana nel 2002.

Questo nuovo Coordinatore due anni fa ha ricevuto in consegna una settantina di comunità pastorali e nel giro di due anni le ha portate a 120. Dunque 120 centri o comunità greco-cattoliche ucraine, più o meno grandi, molte di notevole consistenza, che hanno a disposizione poco meno di cinquanta sacerdoti, dei quali solo alcuni dediti a tempo pieno a qualcuna di queste comunità, gli altri solo a tempo parziale. Anzi la metà di loro vive a Roma e solo a fine settimana possono farsi presenti, una o più volte al mese, nelle varie comunità per celebrare la “Divina Liturgia”, preceduta ordinariamente dalle confessioni e da qualche altro servizio pastorale. Troppo poco per non far languire la vita cristiana di questi immigrati che nel loro Paese erano ancorati ad una salda tradizione religiosa che mezzo secolo di marxismo non è riuscito a sradicare.

Per fortuna queste comunità possono contare su una specie di “volontariato pastorale” costituito da laici. Questi molto spesso sono stati il punto iniziale di aggregazione per altri cattolici, sviluppando per loro e con loro momenti di incontro, abitualmente il giovedì e la domenica pomeriggio, e suscitando nel gruppo forme di solidarietà e il desiderio di dare continuità a espressioni di vita cristiana così radicate nelle loro eparchie e parrocchie di origine. Sono ancora questi laici a interessarsi, abitualmente d’intesa con il Direttore diocesano Migrantes, per la periodica venuta di un “loro” presbitero, grazie al quale viene data una risposta più completa alla domanda religiosa di questi fedeli, cattolici come noi italiani, ma tanto diversi da noi per origine, lingua, tradizione, cultura e rito. Non è del tutto fuori luogo chiamare questi laici “fondatori di chiese”, perché senza la loro iniziativa, talora geniale e coraggiosa, quella piccola chiesa, ma probabilmente non più piccola delle sette chiese dell’Apocalisse, non si sarebbe costituita. Penso alla colf ucraina di Taranto che il giovedì pomeriggio aveva iniziato a riunire le colleghe sotto le piante del lungomare o alla colf polacca di Foggia che ha chiesto al Parroco di S. Giovanni ospitalità per il piccolo gruppo da lei raccolto in una sala della parrocchia. Sono sempre loro, queste donne intraprendenti a fare il passo avanti ad assicurare anche la presenza periodica di un sacerdote della loro terra. Preziosa è l’opera di queste forze laicali per sostenere la vita cristiana del piccolo gregge anche là dove il sacerdote loro connazionale è abitualmente presente, ma è preso da troppe cose e non può da solo provvedere per i contatti con i fedeli dispersi nella zona, per la catechesi ai piccoli, per le iniziative di solidarietà verso i più bisognosi, per l’organizzazione di feste e ricorrenze varie che mettono in ideale continuità con la patria lontana. E non è raro il caso che siano essi, sempre i laici, a costituire anche una specie di “consiglio pastorale”, grazie al quale la vita della comunità - spesso gracile per la sua recente costituzione o perché “senza una fissa dimora” - viene sostenuta non da un singolo individuo, ma da un gruppo che si organizza e rimane compatto.

Sono questi i laici che P. Olexsander ha invitato a Roma l’11 marzo scorso, Festa della Croce nel calendario del loro rito orientale. Perché l’incontro? Per conoscersi  da vicino, per scambiarsi problemi ed esperienze, per discutere e programmare come facciamo anche noi italiani. Ma forse per noi non è altrettanto abituale dedicare la mattinata a celebrare. Celebrare la “Divina Liturgia” è per gli ucraini un momento forte e spesso emozionante; il nome stesso evoca una solennità e un fascino che la nostra “Messa” stenta a suscitare. Oltre la liturgia c’è una spiritualità tutta orientale da alimentare; e proprio a questo erano finalizzate le prime due riflessioni del pomeriggio, tenute da esperti, su “il senso della croce” e “la devozione popolare nella Quaresima”. Di carattere più formativo che programmatico è stata pure la relazione del Coordinatore sulla “Importanza dei leaders delle comunità cristiane e del consiglio pastorale come garanzia del dinamico sviluppo del popolo di Dio nello spirito del Concilio Vaticano II”. è seguita la discussione sui problemi più concreti che riguardano le singole comunità e gli strumenti più efficaci per tenerle tra di loro in rete: si è parlato perciò dell’elegante bimestrale “Verso la luce” che va portato avanti col concorso di tutti e del sito internet che non vuol essere una semplice passerella di notizie, perché porta in primo piano la posta, la catechesi e la formazione cristiana. Collaborazione a largo raggio si richiede anche per predisporre la partecipazione degli ucraini d’Italia al pellegrinaggio nazionale a Zarvauyzia e al Convegno dei Giovani a Kiev. Tutto questo era all’ordine del giorno domenica 11 marzo scorso.

Al di là dell’incontro dell’11 marzo

I laici convocati a Roma a metà Quaresima sono solo un settore, quello che opera a livello più strettamente pastorale, di un piccolo esercito di volontari a servizio degli immigrati ucraini. C’è chi si dà da fare su altri fronti, quello - ad esempio - della preparazione e gestione della grandiosa “Festa della mamma”, celebrata quest’anno il 6 maggio in sesta edizione, con la partecipazione di diverse migliaia di ucraini mescolati a tanti italiani nella vasta spianata antistante la Basilica di S. Sofia: un singolare esempio di integrazione spontanea e perfino gioiosa fra stranieri e società ospitante. Sempre a Santa Sofia altri laici la domenica mattina curano corsi di lingua e cultura ucraina per i ragazzi in età scolastica. Va segnalato inoltre l’impegno anche sul piano sanitario, particolarmente dopo che, nell’autunno scorso, è stato aperto  un “centro di ascolto per la salute”, un centro collegato con quello della Caritas diocesana e che all’occorrenza si trasforma  anche in ambulatorio, data l’abbondanza di connazionali che a Roma svolgono il modesto lavoro di colf e badanti mentre hanno portato con sé il diploma di medici o infermieri, che in patria li autorizzava a svolgere la loro qualificata professione.

Non si fa torto ai diversi altri fronti in cui è impegnato il volontariato cattolico ucraino, se nel concludere si spende una parola per la “Associazione culturale italo-ucraina” di Roma, insediatasi ora nel Vicolo di Ponte Mammolo, presso il quale ogni domenica mattina ha luogo, con tutti i carismi di legalità, il curioso scambio di merci fra Ucraina e Italia. Stentavo di credere ai miei occhi quando anni fa - ma allora il quartiere generale dello scambio era presso la Garbatella - vidi per la prima volta lo spettacolo di oltre una cinquantina di pulmini giunti nella notte dall’Ucraina e allineati nella grande spianata dello scalo merci. Osservavo con interesse e stupore il formicolio di varie migliaia di ucraini che si dirigevano verso il pulmino proveniente dalla propria città e quartiere, per ritirare il pacco (contenente giornali, corrispondenza e cibarie doc dell’Ucraina) inviato dai familiari lontani e depositare nel medesimo pulmino altro pacco (per lo più di indumenti e qualche giocattolo) con destinazione più che ovvia: uno scambio, non puramente simbolico, di doni oltre le frontiere. Ricordo poi con simpatia quel vecchietto, stretto al braccio della sua badante, che con l’altra mano tremolante reggeva il pacco da depositare lui di persona nel pulmino: espressione della sua simpatia e gratitudine per le attenzioni amorevoli dell’immigrata ucraina che gli stava al fianco giorno dopo giorno per tutta la settimana.

Torniamo all’Associazione: non è cosa da poco smistare ogni domenica tutto quel traffico, sotto gli occhi più incuriositi e compiaciuti che sospettosi di vigili urbani e finanzieri. Mi sono permesso di chiedere a uno di loro: “Desta problemi per l’ordine pubblico tutto questo traffico?”. Risposta: “La nostra presenza è un atto dovuto, ma la possiamo dire superflua. Qui è tutto come un orologio”. Già, un orologio regolato da Mario Tronca, il presidente di questa associazione. L’orologio lo si carica una volta tanto, poi le lancette scorrono automaticamente, con la massima regolarità.

Un particolare significativo: ad ora convenuta i rintocchi di una piccola campana; la gente non si scompone, ma c’è chi si muove verso il centro della spianata, dove sopra un carrello si improvvisa un altare, si stende una tovaglia, si accende una lampada, si espone un’immagine sacra e qualche fiore. Padre Andrea inizia la celebrazione ecumenica, non proprio la Messa, dato tutto quel trambusto e la presenza di cristiani ortodossi. Ma preghiera e canto accomunano tutti, ortodossi e cattolici, ucraini e qualche italiano. è un rito che si protrae da anni ed è una ulteriore conferma che questi laici, anche nell’esercizio del loro impegno tipicamente laicale, ci tengono a dare autentica testimonianza cristiana e a diffondere, anche in forme creative e originali, il “buon odore di Cristo” (2Cor 2, 15).

 

 

 

 

PRINCIPALI CENTRI PASTORALI PER GRECO-CATTOLICI UCRAINI IN ITALIA

 

Bologna

Santuario “Corpus Domini” (Missionari Identes)

Via Tagliapietre, 19 - 40123 Bologna - Tel. 051.331277

 

Brescia

Chiesa “Maria Rosa Crocifissa” - Via Moretto, 33 - 25122 Brescia

Tel. 030.55412 - 030.55468

 

Firenze

Parrocchia “S. Maria Maggiore” - Vicolo di S. Maria Maggiore, 1 - 50123 Firenze

Tel. 055.215914

 

Milano

Parrocchia “Sacro Volto di Gesù” - Via Sebbenico, 29 - 20100 Milano - Tel. 02.6080639

 

Napoli

Chiesa “S. Maria della Pace” - Piazza Tribunali, 227 - 80138 Napoli

 

Perugia

Chiesa “S. Antonio di Padova” - Via Canali, 14 - 06141 Perugia - Tel. 075.5057127

 

Prato

Parrocchia “Gesù Divin Lavoratore” - Via Donizetti, 62 - 50047 Prato - Tel. 0574.24307

 

Roma

Parrocchia personale “SS. Sergio e Bacco” - Piazza Madonna dei Monti, 3 - 00184 Roma

Tel. 06.6240203

 

Basilica di “S. Sofia” - Via Boccea, 478 - 00166 Roma - Tel. 06.6240203

 

Monastero Monaci Basiliani di San Giosafat - Via S. Giosafat, 8 - 00153 Roma

Tel. 06.5780362 - Fax 06.5732563

 

Venezia

Chiesa “SS. Nome di Gesù” - Via S. Croce, 495/A - 30125 Venezia