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Partecipazione degli emigrati alla vita socio-politica d'Italia (S. Ridolfi)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/07


L’esigenza e la richiesta delle comunità italiane all’estero di essere chiamate ed abilitate ad una partecipazione attiva alla vita economica, sociale e politica italiana è di data antica. Solo recentemente essa è culminata nella revisione costituzionale che ha permesso il 20.12.2001 con la Legge n. 459 di costituire la “Circoscrizione Estero” che nomina 8 senatori e 12 deputati scelti per elezione personale, segreta e universale delle comunità dei residenti italiani all’estero.

Una scelta socio-politica

Il tutto viene, come accennato, da lontano e precisamente con la “scelta associazionistica” fatta dall’Italia sotto la guida del Sen. Dionigi Coppo, Sottosegretario al Ministero Affari Esteri e delegato alle comunità italiane all’estero durante il governo Mariano Rumor nella V Legislatura dal 5 agosto 1969 al 7 febbraio 1970. Venne allora convenuto che la partecipazione degli emigrati avrebbe dovuto esercitarsi attraverso associazioni libere e democratiche.

Alle associazioni veniva favorito il rapporto con lo Stato italiano, dal Consolato al Governo, e alle istituzioni, e le medesime erano tramite per ottenere sostegni alla vita socio-politica delle comunità italiane all’estero.

Più tardi, anni 1980-1990, anche le Regioni, sempre più attive nel confronto dei propri emigrati ed immigrati, si sono mosse con questa metodologia istituendo, tra l’altro, anche propri albi delle Associazioni attive all’estero e/o in Italia e le Consulte della Emigrazione-Immigrazione.

Di fronte a questa scelta, per altro ben vista e favorita, anche le realtà ecclesiali, in primis l’UCEI (Ufficio Centrale Emigrazione Italiana) ma anche le Missioni Cattoliche Italiane in Europa e le Parrocchie italiane all’estero, si sono interrogate sul proprio comportamento ed eventuale adeguamento. Era infatti innegabile che attorno alla Missione Cattolica e/o Parrocchia italiana è sempre sorto e si è sviluppato un articolato associazionismo, che spazia dalle specifiche attività pastorali, come l’Azione Cattolica, alle più diverse finalità culturali, ricreative, assistenziali. Se non si verificavano adeguamenti strutturali e se non ci si organizzava come previsto dalla legge, tutto questo mondo sarebbe rimasto escluso da una organica partecipazione alla vita delle comunità italiane. Queste premevano e con diritto ad una partecipazione attiva con l’associazionismo di matrice differente nell’interesse degli emigrati. Ne nacque allora, specialmente in Europa, una animata discussione sulla opportunità o meno di un tale adeguamento e, più ancora a monte, sulla funzione delle Missioni e/o Parrocchie con i raggruppamenti loro connessi. Esse avevano indubbiamente, come istituzioni ecclesiali e religiose, un unico e doveroso riferimento nel Vescovo ed un istituzionale servizio di evangelizzazione alle comunità italiane locali.

La discussione si polarizzò su un binomio, se le Missioni/Parrocchie dovevano essere “forza” o “fermento”. Dalla risposta dipendeva l’adesione o meno a questo processo associazionistico civile in emigrazione. I sostenitori delle due posizioni avevano ambedue valide ragioni di carattere teologico, evangelico e pastorale dalla loro parte.

La risposta pastorale

Ed in effetti nelle accese discussioni era stata troppo distinta, quando non messa in contrapposizione, la funzione di fermento e quella di forza. Le due spinte andavano in realtà mantenute, e nella originalità della natura pastorale delle Missioni/Parrocchie che evangelizzano promuovendo e promuovono evangelizzando. E bisogna riconoscere che tutte le accennate attività assistenziali, ricreative e culturali avevano una indubbia valenza nel sociale.

In un primo incontro in Svizzera, presente il Provinciale dei Padri Scalabriniani p. Livio Zancan e il Direttore UCEI mons. Silvano Ridolfi assieme a rappresentanti delle Missioni e dei laici organizzati, venne steso un progetto di massima: nella prevista dinamica associazionistica italiana non andavano inserite le realtà ecclesiali, come la Missione e/o Parrocchia in quanto tali, ma era opportuno lo fossero le varie attività culturali (club, teatri, pubblicazioni ecc.), ricreative (gruppi bandistici, gite, ritrovi ecc.), assistenziali (lavoratori bisognosi, ammalati ecc.) che conseguentemente dovevano adeguarsi strutturalmente e federarsi a livello locale e nazionale. Nasce così l’UCEMI (Unione Cristiana Enti tra e per i Migranti Italiani) al servizio delle Federazioni nazionali e loro portavoce particolarmente presso il Ministero degli Affari Esteri in collaborazione con l’UCEI (Ufficio Centrale Emigrazione Italiana).

I tempi  anche premevano.  Perché era  imminente la I Conferenza Nazionale dell’Emigrazione (Roma, 24 febbraio-1 marzo 1975), la cui composizione doveva essere già fatta sulla base delle Associazioni, sia di quelle degli emigrati italiani all’estero, sia di quelle italiane per gli emigrati italiani (in ordine alfabetico, ACLI, ANFE, CSER, Ferdinando Santi, FILEF, UCEI-UCEMI-UNAIE).

La stessa situazione si è ripetuta per la II Conferenza Nazionale dell’Emigrazione (Roma, 28 novembre-3 dicembre 1988) e poi anche per le Conferenze Regionali continentali preparatorie o attuative delle predette Conferenze.

La III Conferenza Nazionale (Roma, 11-15 dicembre 2000), pur basandosi egualmente sulle associazioni, sia pure con i dovuti aggiornamenti, ha voluto fare un salto di qualità, riconoscendo la presenza e predominanza delle seconde, terze e quarte generazioni di emigrati italiani, e si è dichiarata Conferenza degli Italiani che vivono il mondo.

Anche le Regioni, come sopra accennato, si sono organizzate sulla base associazionistica costituendo le “Consulte Regionali per l’Emigrazione” con statuti diversi, sia pur tendenzialmente uniformati per quanto possibile e desiderato. Anche nelle “Consulte Regionali”, inizialmente in quasi tutte, c’è stata una presenza UCEMI- UCEI, la quale, conseguentemente alla sua natura, agiva con criteri propri emandati in convegni specifici, con i Consultori regionali. Particolarmente importante il primo in Abruzzo dove vennero date queste indicazioni di fondo: dentro ai problemi e fuori dei raggruppamenti partitici; al servizio della comunità intera (bene comune) e non di una sua parte (fosse pure la Missione Cattolica); puntando sui valori e meno sulle strategie; sostenendo chi facesse proposte ritenute le migliori per la comunità italiana, indipendentemente dalla qualificazione del proponente. Ogni Consultore manteneva ovviamente libertà e diritto di muoversi come riteneva opportuno nel momento e nelle situazioni specifiche, confrontandosi poi con gli altri negli incontri successivi. Purtroppo non tutti i Consultori sono stati sempre presenti, solerti e propositivi. Per cui in diverse Regioni la presenza UCEI-UCEMI è stata sostituita con altre associazioni, più o meno analoghe.

In conclusione, l’adeguamento associazionistico presso le Missioni e/o Parrocchie italiane all’estero, se ha in qualche modo purtroppo creato incomprensioni o separazioni, nella sostanza esso ha reso presenti e dialoganti nella oggettività del servizio alle comunità italiane soggetti che altrimenti sarebbero rimasti emarginati. Ed è stato quindi favorito un processo - certamente non ultimato, ma sicuramente positivo - di coscientizzazione e responsabilizzazione delle tante ed operose comunità italiane all’estero.