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Associazionismo e volontariato nel e per il mondo della mobilità (G. Tassello)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/07


Premessa

E difficile parlare di associazionismo e volontariato nel campo della mobilità non tanto perché non abbondino esempi in questo settore, quanto piuttosto perché le definizioni e le tipologie risultano a volte poco chiare.

Quando parliamo di associazioni nel mondo della mobilità facciamo riferimento a gruppi cui ciascun individuo può aderire liberamente. Essi sono caratterizzate dalla presenza di un leader periodicamente eletto, dalla presenza di uno statuto che regola le attività e che definisce gli scopi e le finalità dell’associazione, da una sede.

Alla ricerca di una univoca terminologia

Queste associazioni possono perseguire scopi di lucro oppure non avere questo intento. Il profitto costituisce un elemento discriminante. Occorre tuttavia ricordare che anche se non perseguono fini di lucro, tutte le associazioni possono perseguire altri scopi, per cui  in un’associazione, composta da volontari, gratuità e assenza di “interessi” non coincidono.

In Italia quando si tratta di questo argomento, vi è chi parla del “terzo settore”. Altri invece preferiscono l’accezione “volontariato”. “Il termine terzo settore vorrebbe definire tutte le realtà che non sono Stato (vale a dire ente pubblico nelle sue diverse forme e articolazioni), né mercato (vale a dire attività economica orientata prevalentemente al profitto). Figlio della distinzione anglosassone tra ciò che è a fine di lucro e ciò che non lo è, il termine terzo settore, come tentativo di fornire una chiave analitica complessiva a fenomeni che sono espressione autonoma della società civile, rischia di ingabbiare forme che hanno specificità che mal si uniformano dentro a un unico contenitore concettuale. E ancora poco tematizzata la distinzione che si può fare a partire da una chiave di lettura che consenta di chiarire la differenza che corre, ad esempio, tra una realtà di volontariato e una cooperativa sociale” (Caritas italiana, a cura di, Una carta d’identità del volontariato. Materiali e percorsi per la ricerca e la formazione, Roma, Edizioni Lavoro, 2000, p. 44).

In ambienti cattolici, ma non solo, si preferisce il termine “volontariato”. Il libro citato “Una carta d’identità del volontariato”, a cura della Caritas italiana, dà la seguente definizione del termine: “II volontariato è costituito da persone che sono convinte di questo, e quindi esprimono gratuitamente la loro solidarietà a favore di individui, famiglie e intere collettività in condizione di disagio, povertà, esclusione sociale o deprivazione ambientale. Il volontario, dunque, si muove in base a proprie scelte valoriali, utilizza i tempi che non sono occupati dal lavoro, dagli impegni familiari, e con la sua azione solidale sostanzialmente «investe» nei confronti della persona” (Caritas italiana, a cura di, Una carta..., op. cit., p. 13).

“II volontariato di ispirazione cristiana assume una sua propria specificità nelle motivazioni: la fede nella persona di Cristo apre alla speranza, alla promozione umana integrale come preferenza per gli ultimi in una prospettiva di liberazione pienamente umanizzata.

E solo all’inizio degli anni Novanta che in enciclopedie e dizionari il termine assume un significato ben definito: oltre che come prestazione volontaria nelle forze armate si profila il significato di «prestazione volontaria e gratuita della propria opera, e dei mezzi di cui si dispone, a favore di persone in gravi difficoltà e urgente bisogno di assistenza», sia come servizio o intervento occasionale, sia come servizio continuo (come attività individuale o di gruppo e associazioni) [Istituto dell’Enciclopedia italiana, Vocabolario della lingua italiana, Roma 1994, vol. IV, p. 1226]” (Caritas italiana, a cura di, Una carta..., op. cit., p. 45).

Nel Dizionario Garzanti della lingua italiana, Milano, 1995 al lemma “volontariato” leggiamo: “Attività prestata in modo personale, spontaneo e gratuito attraverso organizzazioni che, senza fine di lucro, si dedicano a compiti di solidarietà umana e sociale verso persone in difficoltà”.

Disciplinate da una legge del 1991, queste prestazioni volontarie sono incompatibili con qualsiasi forma di retribuzione. Alle associazioni di volontariato, se iscritte in appositi registri regionali, è consentito di stipulare convenzioni con lo stato e altri enti pubblici per lo svolgimento di programmi assistenziali loro richiesti, e di beneficiare delle agevolazioni fiscali previste dalla legge. A questi registri si può accedere solo in presenza di determinati requisiti.

Questo ha generato distinzioni all’interno dell’associazionismo stesso. Abbiamo così associazioni formalmente riconosciute ed associazioni che, pur possedendo tutte le caratteristiche sociologiche indicate sopra, non godono, per i più svariati motivi, degli stessi privilegi.

...sia per agire, sia per accedere...

Questa evoluzione in atto in Italia ci permette di constatare come si stia assistendo ad una “professionalizzazione” dell’associazionismo, motivata anche dalla necessità di sempre maggiori competenze per accedere a fondi, aderire a bandi di concorso, ecc.  La gratuità del singolo “volontario” viene quindi spesso gestita o accompagnata da professionisti del settore, ovviamente retribuiti per la loro competenza.

E indubbio che alcune associazioni hanno talmente specializzato i loro interventi, che senza un’adeguata preparazione professionale previa, senza una organizzazione sul territorio, senza una rete per la raccolta di fondi e quindi senza martellanti campagne promozionali  sarebbe impensabile da parte loro poter operare in modo adeguato. Abbiamo così i professionisti della solidarietà.

Questi tipici raggruppamenti si diversificano a seconda degli scopi (vi sono associazioni culturali, religiose, ricreative, politiche, sportive, solidaristiche, ecc.).

Anche nel settore della mobilità sono presenti simili organizzazioni e possono svolgere funzioni rilevanti nei confronti delle persone coinvolte nel mondo della mobilità.

L’associazionismo nel campo della mobilità

Attorno alle missioni linguistiche all’estero e ai vari settori che compongono il variegato mondo della mobilità in Italia è fiorito un associazionismo formalmente organizzato, in particolare con scopi religiosi oppure  culturali o caritativi, spesso per mantenere vive certe tradizioni o per favorire la solidarietà o per far fiorire confraternite. Di fatto l’associazionismo sorto in emigrazione, ad esempio, ha permesso all’emigrato di apprendere e praticare i rudimenti della democrazia che non avrebbe mai potuto esplicitare altrove.

Gruppi informali di volontariato

Ma accanto ad associazioni di volontariato formalmente costituite, il mondo della mobilità si caratterizza per la diffusione di  gruppi informali di volontari, che portano avanti un lavoro capillare. A differenza delle associazioni formali, troviamo cristiani e persone di buona volontà  che si aggregano, ma non sono legati da strutture e statuti. Gli aderenti a questi gruppi informali intendono testimoniare che la fede nel Signore risorto comporta scelte nella vita quotidiana che esigono donazione di sé per amare il volto di Cristo in coloro che hanno bisogno di accoglienza (cfr. Mt 25). Questo volontariato informale è vissuto da anonimi cristiani che sanno pazientare, amare, sperare, ragionare secondo la logica del Vangelo.

Mentre per le associazioni organizzate si sente viva la necessità di uscire dall’anonimato  ed aggregarsi per alcuni scopi specifici, per questi gruppi informali composti da  volontari con l’intento di svolgere determinati compiti e servizi, vi è la coscienza che la vita cristiana obbliga all’apertura all’altro. Questi volontari cercano di dare risposte a bisogni individuali o di gruppo, ma in un modo informale, senza organizzazioni, senza fini di lucro, e non certo come ricerca di potere o di visibilità.

Al posto di norme che determino il comportamento di gruppo, esistono motivazioni spirituali o di altra natura che inducono a mettere le proprie capacità a servizio di quanti sono coinvolti nel settore della mobilità.

Questi volontari informali portano avanti un lavoro capillare, spesso ignorato, ma che di fatto garantisce l’espletamento di una grande mole di lavoro.

E interessante notare che mentre l’associazionismo formale e tradizionale presente, ad esempio, in emigrazione, stia attraversando una notevole crisi (diminuzione dei soci membri, riduzione delle attività, scarso rinnovamento dei quadri), crisi che le associazioni di emigrazione hanno cercato di arginare optando per scelte partitiche, il volontariato informale continua a dimostrarsi molto attivo e vivace. Vengono addirittura individuati sempre nuovi settori di impegno, come ad esempio l’attenzione alla terza e quarta età.

Tipologie

I rami di attività in cui persone offrono servizi di gratuità sono i più svariati. Si va dai gruppi che visitano gli inferni negli ospedali o i marittimi sulle navi ancorate in porto o i carcerati, all’insegnamento della lingua ai figli degli stranieri, dalla cura di abitazioni, suppellettili, chiese a servizio del mondo della mobilità, dall’espletamento di pratiche burocratiche alla spesa per persone in necessità.

Vi sono poi persone che affiancano volontariamente gruppi organizzati, senza entrare e far parte dell’associazione stessa e delle sue strutture. E il caso di quei volontari che offrono il loro servizio nelle mense per migranti ecc.

In questo tipo di volontariato informale talune volte si uniscono persone provenienti dalla vita consacrata e laici cristiani: una comunione assai fruttuosa per l’interscambio a livello di spiritualità e motivazioni religiose. Questo avviene soprattutto nel campo della formazione, dell’insegnamento del catechismo e della preparazione ai sacramenti.

Stanno sviluppandosi anche, in molti casi a livello informale, gruppi di volontari che collaborano con istituti di vita consacrata e che mirano ad incarnare in ambito laicale il carisma specifico degli Istituti di vita consacrata

Evoluzione in atto

In Italia vi sono aspetti nuovi da tener presenti e che spesso non riguardano tanto lo spirito che anima i volontari informali e formali quanto piuttosto le normative, le vertenze sindacali, l’iscrizione ai registri, la privacy. Basti pensare a volontari che offrono il loro servizio a fianco di professionisti all’interno di specifiche strutture.

Anche il “volontariato” nel Nord Europa conosce varie problematiche. Spesso i volontari informali emigrati che ruotano attorno alle missioni e che operano gratuitamente devono confrontarsi con persone che svolgono gli stessi compiti, ma esercitano la professione di catechisti animatori pastorali o liturgici, di esperti nel campo della solidarietà. Anche quanti dedicano tempo e know-how (conoscenze) nel campo della consulenza sono spesso gratificati con un gettone di presenza. La crisi finanziaria  e la diminuzione di quanti intendono continuare a pagare le tasse del culto obbligano a tagli e a ridimensionamenti di questo personale. Sta ritornando in auge l’idea del volontariato gratuito, perseguito da sempre  dal mondo delle migrazioni (catechesi, visite agli infermi e agli anziani soli, animazione liturgica, progetti di solidarietà per il terzo mondo ecc.).

Alla ricerca di nuovi sbocchi

La spinta organizzativa e gli interessi che possono essere presenti nell’associazionismo organizzato possono indurre il volontariato informale a darsi una struttura stabile. Può essere questo lo sbocco naturale di un cammino di gratuità. Forse allora il volontariato che vuole rimanere informale deve riqualificare la sua scelta di fede.

Permangono nel campo della mobilità spazi di impegno che non generano visibilità, che non garantiscono una acquisizione di notorietà, che richiedono interventi là dove non vi è, umanamente parlando, possibilità di reclutare nuove vocazioni: la diffusione di cristiani senza etichette o magliette che dichiarino al mondo la loro appartenenza e che continuano ad operare come servi inutili favorendo la riscoperta della gratuità assoluta. Ci imbattiamo così nei monaci della gratuità.

Necessità di una formazione cristiana alla gratuità

E ovvio che per coltivare questo tipo di volontariato informale occorre offrire da parte degli animatori sostanziali motivazioni spirituali, che permettano di superare le tentazioni al controllo, gestione, manipolazione di chi è nel bisogno. Nell’analisi del volontariato informale si possono riscontrare dei punti deboli, soprattutto nel campo della formazione. Occorre sostenere chi intende vivere con coerenza e generosità la scelta cristiana. C’è spazio per tutti non per sete di potere, o per sciorinare quel know-how caritativo che a volte non riesce a celare un’ottica assistenzialistica o colonizzatrice. Oppure si può riscontrare la voglia di chiudersi in un piccolo mondo intimistico e non entrare in relazione con tanti altri soggetti impegnati a rendere più vivibile, perché più fraterna, l’esistenza terrena per far sì che la terra diventi cielo, come invocano i Padri della Chiesa.

Scrive il Card. Tettamanzi sul volontariato: “E un termine importante e impegnativo perché richiama la positività della disponibilità e della scelta libera. Esso evidenzia la forza della persona che di fronte ad una situazione di povertà si offre generosamente. C’è, però, anche un aspetto in qualche modo problematico. Infatti, se si pone solo l’accento sulla libertà di scelta forse si corre il rischio di non mettere adeguatamente in luce la forza etica, quell’esigenza etica che è nella persona quando incrocia le diverse forme di povertà. Cioè il volontariato non è solo qualche cosa di opzionale, rimanda piuttosto a qualche cosa che va avvertito come necessario: l’uomo libero, di fronte alla povertà, è sollecitato a far sì che la sua libertà decida, faccia una scelta e quindi non rimanga nell’indifferenza. La libertà, prendendo in mano se stessa, è chiamata a configurarsi in termini di vera e propria responsabilità. Il concetto, così come viene abitualmente inteso, di scelta generosa, non esprime tutta la ricchezza e la forza etica che sono propri del volontariato stesso. Non è solo questione di scelta generosa: è piuttosto scelta dettata dalla responsabilità. In questo senso è molto più esigente, molto più cogente, molto più capace di richiedere l’impegno della nostra libertà di fronte ad una situazione di povertà che, quotidianamente, tutti possiamo incontrare sulle strade che percorriamo, nella nostra vita e nel nostro operare” (dall’intervento del Card. Dionigi Tettamanzi al Convegno diocesano della Caritas ambrosiana, 9 novembre 2002).

Conclusione

Se lasciamo cadere dai nostri occhi e dalla nostra mente pregiudizi e chiacchiere incontreremo uomini e donne fragili compiere prodigi, vedremo spazi di nuova umanità che crescono sul ceppo invecchiato della nostra fede abitudinaria. Come Gesù, tanti uomini e donne, ora, stanno vivendo il paradosso del Vangelo nell’ambito della mobilità.

Non si può affatto sottovalutare tutto il lavoro portato avanti da questo volontariato informale, spesso lasciato ai margini poiché si è succubi del mito dell’efficienza e dei risultati immediati.

Occorrerebbe, oltre ad un “censimento” che permetta la stesura di una tipologia di prestazioni gratuite offerte, pensare ad offrire ai volontari informali spunti continui di formazione permanente, anche perché la testimonianza e l’esemplarità della gratuità nel mondo della mobilità possano agire da catalizzatrici soprattutto nei confronti delle seconde generazioni, che devono riscoprire la nuova identità che hanno ricevuto con il dono della fede.

La storia del volontariato informale nell’ambito della mobilità umana  è una storia di un lavoro d’insieme per posti non appetibili, in posti e in lavori meno gratificanti e più umili, ove non si punta direttamente all’efficienza - senza però rinunciare all’apprendimento di buone tecniche di servizio. Esprime o tenta di esprimere una spiritualità della carità e della prossimità che inducono le tante generazioni di volontari informali a comprendere e vivere l’obbligo cristiano della condivisione: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10, 8).