Introduzione
Il Convegno Ecclesiale ha evidenziato con forza come il tema dei laici sia cruciale in ordine ad una testimonianza cristiana nella società di oggi.
La condizione attuale dei laici si presta a considerazioni contrastanti. E possibile affermare che mai come oggi essi sono presenti attivamente nella comunità cristiana e al tempo stesso che forti sono i segnali di crisi e di disagio; che dopo una fase di entusiastico coinvolgimento, all’indomani del Concilio Vaticano II, si è assistito allo spegnersi progressivo della significatività della presenza laicale nella Chiesa.
Valutazioni diverse, tutte legittime e motivate: la condizione dei laici porta con sè una straordinaria ricchezza, ma anche un’identità ancora in via di definizione; ha una storia giovane alle spalle, e conosce la fatica di maturare in un contesto inedito, pluralistico e in trasformazione. Come tutte le vocazioni, risente del cammino globale della Chiesa: in particolare, risente di quel complesso travaglio che riguarda la Chiesa nel suo rapporto con una società e un mondo in cambiamento rapido, radicale, profondo. Le migrazioni di interi popoli, con le domande che esse pongono in ordine allo sviluppo della società italiana di domani, mettono ancor più in evidenza l’urgenza di un pensiero sociale, di un atteggiamento culturale, di una pratica di dialogo tra le culture e tra le religioni che non può che avere i laici come protagonisti qualificati di nuovi futuri assetti, da pensare lasciandosi provocare dalla più genuina ispirazione evangelica e interpretando al tempo stesso la situazione concreta.
La questione dei laici
Per una nuova relazione con il contesto di oggi, è urgente la presenza dei laici. Potrebbe sembrare un’affermazione scontata, a 40 anni dal Concilio, eppure la realtà dei fatti dice come vi sia ancora bisogno di maturare tutti - laici e comunità cristiane insieme - perché questa affermazione diventi realtà.
Credo che nella Chiesa di oggi esista una questione dei laici - una delle questioni irrisolte del Concilio - esito della fragilità con cui sono state accolte le scelte qualificanti del Vaticano II e di quanto esse siano rimaste alla superficie della coscienza ecclesiale diffusa.
Vorrei provare a illustrare in sette punti le ragioni della mia affermazione:
1. Ritengo che quella dei laici sia oggi una vocazione vissuta troppo nella sua dimensione pastorale e troppo poco nella sua dimensione secolare, scarsamente capita come espressione della tensione missionaria della comunità cristiana;
2. La questione delle questioni credo riguardi la rilevanza ecclesiale della vocazione dei laici, spesa nelle ordinarie condizioni della vita di ogni giorno, così come è specifico della loro vocazione. I laici non impegnati nella pastorale rischiano di essere invisibili, e di essere ritenuti pressoché irrilevanti per la vita della comunità.
3. Nella comunità cristiana, quella dei laici è una presenza troppo esecutiva e pragmatica. Ai laici è chiesto di fare cose, di assumersi responsabilità, di portare avanti impegni concreti, ma quasi mai di contribuire a pensare la comunità, nelle sue scelte globali e di fondo. E una riflessione questa che apre al tema dei luoghi della corresponsabilità e della fine che essi hanno fatto nella vita ordinaria della maggior parte delle comunità cristiane.
4. L’attuale condizione di debolezza dei laici dipende anche dalla frammentazione delle loro esperienze aggregate e dalla loro chiusura su se stesse. Pur essendo avvertito il disagio generato da questa condizione di reciproca estraneità, è ancora molto difficile individuare percorsi concreti che consentano di sperimentare il valore dell’essere in reciproca relazione e il valore aggiunto di progetti portati avanti insieme, tra aggregazioni diverse.
5. Nella comunità cristiana mancano luoghi in cui sia possibile parlarsi. La maggior parte dei laici cristiani, che frequenta la Messa domenicale, sperimenta nella Chiesa solo l’ascolto, e mai la possibilità di portare i propri problemi, di condividere i dubbi, di raccontare le proprie esperienze, di esercitarsi in quel discernimento sui problemi della vita, soprattutto sociale, che è pratica sempre più urgente via via che cresce la complessità del contesto e il carattere pluralistico della cultura in cui viviamo.
6. Il rapporto tra preti e laici conosce una nuova fase di difficile comunicazione, quando non di conflitto, come è stato notato anche dalle conclusioni del Card. Ruini a Verona. Dopo una stagione di aperture promettenti, oggi sembrano emergere forme nuove di clericalismo, con la rivendicazione da parte di alcuni preti - soprattutto della generazione giovane - di una gestione in proprio della comunità, con una sorta quasi di “gelosia” nelle decisioni che riguardano l’impostazione e l’andamento della comunità.
7. Infine, quando i laici potranno sperimentare percorsi di spiritualità che diano valore alla loro vita quotidiana? Che siano originali, da laici, senza nostalgie per forme di vita cristiana diverse dalla loro, meno toccate dalla complessità e dall’intensità umana dell’esistenza di oggi?
Le indicazioni del Convegno ecclesiale
Il Convegno ecclesiale ha dedicato molta attenzione ai laici cristiani; si può dire che esso costituisca uno dei temi trasversali che - insieme a pochi altri - ha percorso interventi, relazioni e dibattiti.
Nella sua prolusione il Card. Tettamanzi ha dichiarato che questa è l’ora dei laici; l’ora della valorizzazione piena della loro testimonianza, per portare il Vangelo nei luoghi della vita di ogni giorno. Citando un passo della Christifideles Laici di Giovanni Paolo II, il Cardinale ha affermato che occorre affrettare il tempo per passare dalla teoria conciliare sui laici ad un’autentica prassi ecclesiale.
Dell’urgenza della valorizzazione dei laici ha parlato la relazione teologica, mostrando il rapporto che esiste tra vocazione dei laici e modello di Chiesa: “Il laico (…) deve promuovere la corrente viva della pastorale d’insieme, della lettura dei segni nuovi della vita della Chiesa, dell’animazione di progetti profetici, anche se parziali, della capacità di abitare i linguaggi della cultura, della socialità, della cittadinanza, soprattutto presso le nuove generazioni. (…) Penso a una Chiesa abitata da persone che faranno uscire il laicato dall’essere semplice collaboratore dell’apostolato gerarchico per diventare corresponsabile di una comune passione evangelica”.
Papa Benedetto, nel suo intervento, ha ricordato soprattutto la piena e autonoma responsabilità dei laici nelle scelte che riguardano la dimensione secolare che è tipica della loro vita, soprattutto nell’ambito sociale e politico: “Il compito immediato di agire in ambito politico per costruire un giusto ordine nella società non è della Chiesa come tale, ma dei fedeli laici, che operano come cittadini sotto propria responsabilità: si tratta di un compito della più grande importanza, al quale i cristiani laici italiani sono chiamati a dedicarsi con generosità e con coraggio.”
Ma soprattutto i laici sono stati protagonisti vivi e maturi di questo convegno. Il loro coinvolgimento a Verona mostra nella pratica qual è il migliore contributo che essi possono dare alla vita della Chiesa, soprattutto nei momenti in cui essa pensa il suo disegno pastorale e spirituale complessivo. Si tratta di una risorsa che chiede solo di essere liberata e valorizzata.
Qualche prospettiva
Non è difficile in questo momento disegnare in termini astratti il profilo dei laici cristiani di cui il Convegno ecclesiale ha mostrato l’esigenza. Ciò che risulta invece molto difficile è individuare percorsi concreti. La concretezza costituisce per le nostre comunità un banco di prova notevole: essa chiede che si verifichi il proprio modo di fare, che si mettano in discussione delle prassi consolidate, che ci si metta in gioco, disposti ad introdurre dei cambiamenti efficaci di prospettiva e di prassi.
Il modo peggiore per vivere il dopo Convegno ecclesiale potrebbe proprio essere quello di tesserne gli elogi, di citarne i passaggi più efficaci e al tempo stesso non cambiare nulla del modo di fare nella pastorale delle comunità ecclesiali.
Vorrei provare ad indicare, pur brevemente, cinque percorsi possibili per fare in modo che il messaggio di Verona, in relazione al tema dei laici, raggiunga anche i livelli della vita quotidiana e delle comunità cristiane più umili.
La via della spiritualità
E il percorso fondamentale: solo dove si rinnova la fede, si rigenerano anche le prassi ecclesiali, come sta a testimoniare tutta la storia della Chiesa. Se per tutta la comunità rinnovare il proprio cammino spirituale significa radicarsi con nuova decisione nel cuore, nell’essenziale della fede, che è il mistero della Pasqua, nella vita di ogni laico questo dinamismo significa scoprire la dimensione spirituale della vita quotidiana. I testimoni che il Convegno ecclesiale ci ha proposto non sono vissuti dediti a pratiche di preghiera o a percorsi di penitenza; mi pare che siano caratterizzati dalla fedeltà alla propria umanità abitata da Dio. Per vivere questo, ciascuno si è affidato al cammino spirituale della Chiesa e in esso ha trovato il suo personale percorso. La santità dei laici parla con il linguaggio perentorio della santità se riesce a mostrare che la vita racchiude un mistero; che essere cristiani nel mondo significa avere lo sguardo penetrante di chi sa scrutare questo mistero profondo e al tempo stesso sa svelarlo attraverso i gesti semplici della vita di ogni giorno; sa parlarne attraverso il linguaggio comune a tutti. Mi pare che questa sia la santità di cui ha bisogno il nostro tempo: una santità che mostri la grandezza e la bellezza della vita umana, dono di Dio; la vastità di orizzonti che si apre davanti a chi crede nel Signore Gesù e si affida all’amore del Padre.
Una comunione come corresponsabilità e dialogo1
“Comunione, collaborazione, corresponsabilità” è la triade indivisa e indivisibile su cui si è a lungo soffermato il Card. Tettamanzi, illustrando il rapporto che esiste fra queste tre dimensioni. La comunione è dono di Dio che chiede alla nostra sensibile operosità di tradursi in gesti di vita. I gesti ecclesiali che oggi testimoniano la comunione su cui si radica la Chiesa sono soprattutto il dialogo e la corresponsabilità.
Il dialogo è pratica necessaria perché nella comunità cristiana le diverse sensibilità, opinioni, punti di vista, spiritualità, vengano messi in relazione reciproca. E proprio il dialogo che può mostrare il valore di una comunione che non è uniformità, ma che sa valorizzare le differenze e mostrare come esse sono ricchezza per tutti. Si tratta di una pratica che, esercitata nella Chiesa, può costituire una palestra di grande valore civile, in un tempo di pluralismo non solo culturale, ma anche etnico e religioso. L’incontro delle differenze può avere come esito o quello del conflitto lacerante o quello di un arricchimento originato dal confronto. La scelta del dialogo che la Chiesa saprà fare sarà un’opportunità anche di grande valore civile.
Insieme al dialogo, la corresponsabilità, cioè il coinvolgimento dei laici anche nei momenti in cui si maturano e si assumono orientamenti di vita ecclesiale. Uno stile di corresponsabilità credo che richieda un coraggioso ripensamento dell’esperienza dei Consigli Pastorali e di tutti gli organismi di partecipazione; ad essi occorre ridare nuovo slancio, ma anche contenuti nuovi, meno operativi e più globali e strategici.
La spiritualità della comunione, tanto cara a Giovanni Paolo II, nelle parole conclusive del Card Ruini è stata espressa soprattutto come invito a un nuovo rapporto tra preti e laici: è “indispensabile una comunione forte e sincera tra sacerdoti e laici, con quell’amicizia, quella stima, quella capacità di collaborazione e di ascolto reciproco attraverso cui la comunione prende corpo. (…). Tra sacerdoti e laici esiste un legame profondo, per cui in un’ottica autenticamente cristiana possiamo solo crescere insieme, o invece decadere insieme”. Insieme è la parola-chiave: insieme non solo per pregare, ma per pensare, per compiere il discernimento sulle situazioni concrete, per maturare orientamenti; insieme per agire, per servire, ma anche per discutere e confrontarsi.
Luoghi per parlarsi
Il cristiano comune non ha occasioni per prendere la parola nella comunità. E una delle consapevolezze più chiare e delle urgenze più forti che ho riportato dal Convegno ecclesiale di Verona. Non basta avere luoghi di corresponsabilità per quanti hanno ruoli o incarichi nella Chiesa: occorre che per tutti, soprattutto per i laici, ci sia la possibilità di luoghi in cui possa avvenire quella comunicazione circolare che è la struttura di fondo del dialogo. Luoghi per raccontarsi e per raccontare i propri problemi di vita nella fiducia e nella semplicità; dove portare i propri problemi; dire il proprio parere. Se la comunità cristiana vorrà tornare a fare cultura, dovrà attivare una nuova possibilità di comunicare tra i cristiani.
Anche per esercitare il discernimento2 c’è bisogno di questi luoghi.
Non penso si debba chiedere alla comunità cristiana di predisporli (tra l’altro, essi non necessariamente debbono collocarsi nella parrocchia o nei luoghi delle varie aggregazioni, ma anche nelle nostre case, nei circoli culturali, tra amici…): questa è una sfida che riguarda i laici: credo che tocchi a loro esprimersi con capacità di iniziativa, e di essere loro stessi a inventare ciò di cui avvertono il bisogno; alla comunità cristiana, la responsabilità di riconoscere il valore di questi luoghi in cui la sua missione si esprime.
Conclusione
Tutto questo, insieme ad un radicale ripensamento dei modi della formazione dei laici e delle esperienze e dei metodi attraverso cui essa viene praticata, potrà far fiorire una nuova stagione del laicato, ma soprattutto una nuova stagione di dialogo della Chiesa italiana con la società italiana, che non è quella solo delle scelte politiche, ma che è soprattutto quella delle scelte che avvengono nei molteplici ambiti della vita quotidiana.
1 Uno dei nomi della comunione è convergenza, come progressivo avvicinarsi delle diverse aggregazioni ecclesiali per superare l’attuale frammentazione. Su questo, cfr anche P. Bignardi, Esiste ancora il laicato?, AVE 2006.
2 Al tema del discernimento il Card Ruini nelle sue conclusioni ha rivolto un’ampia riflessione, in cui ha messo in risalto la fatica di attuare le indicazioni di Palermo, e anche la necessità che si tenga conto della differenza che esiste “tra il discernimento rivolto direttamente all’azione politica o invece all’elaborazione culturale e alla formazione delle coscienze: di quest’ultimo infatti, piuttosto che dell’altro, la comunità cristiana come tale può essere la sede propria e più conveniente”.