» Chiesa Cattolica Italiana » Documenti »  Documentazione
Immigrazione: opportunità e risorsa su tutti i fronti (B.Mioli)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 6/06


Un previo chiarimento

C’è chi pensa che abbia ingerito una dose eccessiva di ingenuità e di astrattezza chi ha il vezzo di esaltare l’immigrazione fino a considerarla decisamente una ricchezza ed esaltare i migranti come se avessero chissà quali benemerenze verso la nostra società. Come si possono dire certe cose - si domanda più di uno - se si tengono occhi e orecchie aperti sulla realtà che ci circonda, se si ascoltano certi programmi televisivi e si leggono spesso in prima pagina, certe cronache dei giornali? Tutto questo non sa di retorica?

Non ci meravigliamo se il titolo così categorico “opportunità e ricchezza su tutti i fronti” sollevi qualche dubbio e riserva. Perciò, a scanso di equivoci, va fatta subito una precisazione.

Ma che significa, in primo luogo, “su tutti i fronti”? Sul fronte non necessariamente si spara e si colpisce, ma nemmeno si sta a braccia conserte o svogliatamente appisolati e nemmeno ad occhi sbarrati solo per vedere incuriositi che cosa sta succedendo. Sul fronte si sta all’erta, si è tutti mobilitati e disposti a intervenire facendo ognuno la sua parte. Così nel caso nostro; in fatto di migrazioni nulla scatta automaticamente o per fatalità; tutto o almeno molto è messo in mano nostra; si è come al volante e si può dare alla macchina la direzione che si vuole, perché fili diritta verso il traguardo oppure sbandi col rischio di travolgere qualcuno o di finire nel precipizio. Le migrazioni richiamano responsabilità, presa di posizione, coinvolgimento, addirittura un prezzo da pagare. Non tutti sono disposti a farlo, ma dichiararsi neutrali non serve, tanto meno dichiararsi contro. Se non vuoi l’incontro, l’alternativa è lo scontro e fra i due litiganti non c’è un terzo che gode perché tutti sono destinati a perdere.

Ecco dunque il previo chiarimento: le migrazioni sono una risorsa che però attende da noi di essere valorizzata, sono una opportunità che viene messa in mano nostra; una chance per i francesi, un kairòs per i cristiani.

In ambito ecclesiale ho sentito parlare per la prima volta con una certa insistenza di migrazioni quale potenziale ricchezza una quindicina di anni fa a Verona in un convegno sull’immigrazione organizzato dal cosiddetto Ge.Mi.To (collegamento Caritas-Migrantes dell’area di Genova, Torino, Milano) sull’immigrazione. Mons. Giuseppe Pasini, allora Direttore della Caritas italiana, ne parlò con tanta convinzione e incisività, che le sue parole mi rimasero fisse in testa nel corso degli anni e l’attenzioneveniva messa a fuoco ogni volta che si entrava in questo tema.

L’ultima volta è di qualche settimana fa, quando alla Pontificia Università Gregoriana si è celebrato il 25° del Centro Astalli, una filiale del “Jesuit Refugee Service”, diffuso ormai in tutto il mondo. Proprio in riferimento alla “peggiore” categoria di migranti, qual è quella dei rifugiati, profughi e richiedenti asilo, tornava frequente il richiamo, particolarmente da parte di Enzo Bianchi, priore di Bose, alla loro potenziale risorsa per il Paese che li accoglie. Del resto anche il Santo Padre conclude il recente Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante portando l’attenzione non solo “sulle necessità e i problemi”, ma pure “sulle potenzialità positive delle famiglie migranti”.

Il tema è avvincente e meriterebbe ampio sviluppo, si è però costretti ad essere schematici e dare rapide indicazioni sui vari “fronti” in cui potrebbero portarsi eventuali approfondimenti, in particolare per quel settore della mobilità umana che è l’immigrazione dai paesi che con un certo eufemismo diciamo “in via di sviluppo”.

Sul fronte economico e demografico

Il discorso delle migrazioni come risorsa è spesso ricorrente in fatto di economia e demografia. L’immigrato porta certamente vantaggi immediati perché egli soddisfa le richieste del mercato di lavoro, va a coprire in particolare quei settori occupazionali per i quali la manodopera italiana non è più disponibile (si pensi non soltanto al settore della collaborazione familiare, ma pure a quello dell’agricoltura, della pesca, della ristorazione, dell’edilizia); col crescere del numero degli immigrati, aumentail volume dei consumi e, di conseguenza, della produzione, aumenta il prodotto interno lordo e le banche, una volta così restie a concedere mutui a questi “sconosciuti non affidabili”, ora vanno a rubanell’accaparrarsi questi nuovi clienti venuti da lontano, capaci di vivacizzare anche il mercato finanziario, soprattutto grazie alla trasmissione delle rimesse nel Paese di origine e all’accensione di consistenti mutui per l’acquisto dell’appartamento. Non è solo per amore di cultura che la “Western Union”, con la sua diramazione “Stranieri in Italia” è editrice di una quindicina di periodici stampati in altrettante lingue straniere.

Più importante si fa il discorso quando si parla degli immigrati quale risorsa demografica. I numeri parlano chiaro e ci pongono di fronte a una inesorabile china su cui sta scivolando la nostra Italia nella misura in cui intende e pretende di mantenersi di “pura razza” italiana, senza contaminazioni di altre razze. Qui non entra in gioco la fantasia e nemmeno il profeta di sventure con le sue lugubri previsioni di un declino che potrebbe andare verso l’estinzione. I numeri, torniamo a dire, non sono un’opinione. Con una fertilità media di figli 1,2 per coppia o più esattamente per donna, la popolazione scende inesorabilmente, mentre con ritmo ancor più accelerato sale il suo invecchiamento. Non è questo il momento di riportare i calcoli elaborati dai demografi, proiettando il totale della popolazione italiana fra due o quattro decenni. Calcoli che non sgarrano perché se le nascite quest’anno sono sul mezzo milione, i ventenni nel 2027 non possono oltrepassare questa quota, semmai si registrerà una qualche riduzione.

Tale quadro demografico non può non avere negative ricadute anche sull’economia. Un pauroso vuoto, calcolabile in milioni di unità, si creerà soprattutto nella fascia massimamente lavorativa, cioè fra i 20 e 40 anni, mentre crescerà a dismisura chi entra nell’età pensionabile, con tutte le conseguenze perle casse dello Stato e per la stessa pace sociale. Gli immigrati non sono il toccasana di questa complessa situazione, però già in questi anni il saldo positivo della popolazione in Italia, come del resto in Europa, è dovuto alla trasfusione di sangue non italiano in questo Bel Paese che da Madre Patria rischia di trasformarsi in Nonna Patria.

Sul fronte ecclesiale

Passiamo ora su altro fronte, quello ecclesiale o comunque di area cristiana. Qualche anno fa la Migrantes ha celebrato un convegno nazionale sulle migrazioni dal titolo: “Benedetto colui che viene tra noi”. Il migrante viene tra noi non come trionfatore, bensì in veste dimessa. Ma c’è più di una ragione per dirgli “benedetto”, senza per questo voler mettergli in capo chissà quale aureola di prestigio. Viene tra noi come uno di noi con i suoi pregi e difetti; è però la sua stessa presenza che diventa dono e arricchimento per le nostre Chiese locali.

Questo lo si dice in primo luogo per quel circa 30% di cattolici che individuiamo tra la massa di immigrati, pari a una grossa diocesi di un milione di fedeli. Non è però tanto il numero che arricchisce (anche se il numero non è trascurabile), quanto la qualità o, meglio ancora, la varietà, perché gente “di ogni lingua, tribù, popolo e nazione”, segno visibile della cattolicità della Chiesa, prefigurazione efficace del Regno definitivo che Cristo presenterà al Padre. La bellezza di questa diversità risalta sia nel caso che questi fratelli si riuniscano in proprie comunità di fede e di culto, sia che si mescolino con gli altri fedeli nella chiesa parrocchiale, sia che si verifichi l’opzione ideale di una duplice appartenenza che rispetta ed esalta sia la conservazione della propria identità etnica sia la piena comunione ecclesiale. Domandiamoci se non sia una autentica novità e sorprendente ricchezza per le Chiese locali nelle quali è tradizione celebrare la Festa dei Popoli in una gioiosa ed espansiva convivialità tra italiani e immigrati o quando per l’Epifania il Vescovo convoca nella Cattedrale per una solenne celebrazione che è epilogo delle feste natalizie questo ricco assortimento di umanità.

Va poi segnalata un’altra eccezionale opportunità offerta in particolare dalle migrazioni provenienti dall’Est europeo ad alta maggioranza ortodosso. Questi fratelli cosiddetti “separati” li sentiamo ora tanto vicini a noi, nei nostri quartieri o addirittura dentro le nostre case, con l’opportunità ora offertaci non solo di parlare “ecumenicamente” di loro e di pregare per loro, ma di parlare e pregare con loro, di guardarci in faccia; nasce così un cordiale rapporto, una reciproca simpatia e, da parte loro, anche una più o meno espressa gratitudine perché vedono in noi dei fratelli aperti e comprensivi, che mettono a disposizione le loro chiese perché possano liberamente celebrare secondo il loro culto. Si è così di fronte a una genuina comunione ecclesiale già avviata che diventa auspicio e nostalgia, anzi predisposizione per giungere alla piena comunione anche eucaristica.

E il 50% dei non cristiani? è detto tutto in quello slogan: “La missione ad gentes viene a noi”, all’insegna del quale si è tenuto nel febbraio 2003 a Castelgandolfo il grande convegno inteso a evidenziare e valorizzare la dimensione evangelizzatrice delle migrazioni, le quali pertanto vanno viste quale grande evento missionario, oggi come lo sono state in altri periodi della storia. Il Signore ce ne sta dando un segno incoraggiante nel crescente numero di immigrati non cristiani che intraprendono il cammino di catecumenato e durante la Veglia Pasquale ricevono i sacramenti dell’iniziazione cristiana. Quella Veglia Pasquale riceve una singolare solennità e pienezza di significato che anche i fedeli italiani presenti al rito non potranno dimenticare.

Sappiamo poi che per tanti altri non cristiani, che non giungono al traguardo del battesimo, il calore umano della nostra amicizia e la nostra testimonianza sono opera di vera evangelizzazione e contribuiscono a rivelare in modo un po’ più autentico ai loro occhi il volto del cristiano, della Chiesa, di Cristo stesso.

Sul fronte del pluralismo etnico e culturale

Grazie alle migrazioni, la nostra società diventa e si scopre sempre più multiculturale, con l’opportunità poi di trasformare la multiculturalità in interculturalità. La multicultura è già grande cosa, se si realizza come pacifica convivenza, si è però di fronte a un salto di qualità quando ci si incammina verso la intercultura. Dove sta la novità? Non nel semplice, per quanto armonioso accostamento di due o più culture, ma nella loro fecondazione reciproca, nel reciproco dono di sé, che arricchisce l’uno e l’altro, pur salvando le due distinte identità. Si cambia pur rimanendo sempre identici a se stessi, senza abdicare al proprio io profondo.

Il Mosè di Michelangelo è splendido, incanta, ma da cinque secoli è pietra inerte e fredda che esclude qualsiasi forma di cambiamento. Anche il bambino di cinque anni è splendido ed incanta, ma cambia in continuità, si sviluppa, assorbe una quantità di elementi dall’esterno e li assimila, li fa propri, li fa parte di se stesso: cambiano in lui tante cose, ma lui rimane sempre identico a se stesso a cinque anni, a dieci ed anche a cinquanta. La sua identità non cambia, è cosciente di rimanere sempre il medesimo “io” in tutte le stagioni della vita. Il bambino diventa ragazzo, giovane, uomo, egli cambia, non è come il Mosè di pietra, una pietra bella ma “cosa fra le cose”; non così il bambino, che è essere vivente, è “persona”.

Altrettanto diciamo per chi ha la sorte, diciamo pure la buona sorte, l’opportunità di essere a contatto con persone di altra etnia, tradizione, cultura e perfino di altra fede: egli si confronta con questa novità e assimila ciò che è congeniale alla sua identità profonda, che pertanto non viene compromessa ma solo arricchita.

Le migrazioni danno occasione anche a un dialogo esplicito e programmato fra culture diverse, ma questo dialogo è per esperti o almeno richiede una adeguata preparazione. Quello invece appena delineato è il dialogo della vita, che inizia dall’età infantile ed è come l’aria che si respira senza che ci si accorga.

Non ci si nasconde però che anche questo tipo di dialogo e, più generalmente, di contatto e comunicazione fra diversi possa rivelarsi complesso e non senza scabrosità e pericoli. Qui non vogliamo essere ingenui. E da augurarsi che non manchi mai una guida saggia, equilibrata e sperimentata. Non è dunque un hobby di lusso l’educazione all’intercultura, a cominciare dai banchi della scuola e della catechesi.

Si torna dunque al punto di partenza: le migrazioni sono opportunità e risorsa, ma non per scatti automatici; sarebbe allora più appropriato dire che le migrazioni, anzi i migranti in carne e ossa possono essere opportunità e risorsa per loro stessi e per tutti noi nella misura in cui, ben radicati nella nostra identità, ci si confronta con quella altrui, senza falsi irenismi e ibridismi; con la serena fiducia che fra diversi si può vivere assieme, comunicando e interagendo per un reciproco arricchimento, che non mancherà di rivelarsi arricchimento anche per tutto l’ambiente in cui viviamo.