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Uscire da Verona per andare al mondo (S.Ridolfi)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 6/06


Il recente 4° Convegno Ecclesiale della Chiesa italiana ha registrato ampia presenza (circa tremila delegati) e appassionata partecipazione in aula dopo la prolusione del Card. Tettamanzi e le quattro relazioni e più ancora nei lavori di gruppo sui quattro ambiti: vita affettiva, tradizione, lavoro e festa, cittadinanza. Un buon inizio per continuare un deciso cambiamento, motivato dalla radicale novità cristiana (“la identità essenziale”, ricordata da Benedetto XVI) e proiettato verso la testimonianza (di cui il nostro Paese “è profondamente bisognoso”, Benedetto XVI) e che raggiungerà quella che era e resta la testimonianza della Chiesa a tutti, cioè di essere “Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo”.

Tali e tante sono infatti le spinte fuorvianti della cultura ora dominante (illuminismo e laicismo ed inoltre relativismo ed utilitarismo etici, che insieme sostengono autosufficienza ed autodeterminazione dell’uomo) e contemporaneamente molto forti e generalizzate le attese della società (giustizia, pace, solidarietà) che solo una risposta ferma, motivata e corale di coinvolgimento nelle situazioni bisognose di redenzione (“a partire dagli ultimi”, come aveva indicato il Convegno di Roma) con la Parola di salvezza e nel nome dell’Uomo nuovo, Cristo Gesù, può essere la adeguata risposta-proposta della comunità cristiana all’umanità odierna.

Si avverte una riduzione o snaturamento di valori fondanti la società, ad esempio la tendenza ad isolare ed idolatrare la libertà sganciandola dalla verità e ad enfatizzare la pace senza collegarla con la giustizia od anche ad esaltare l’ingegnosità umana che non conoscerebbe limiti, almeno in prospettiva. Ed è anche per questo che oggi c’è più bisogno di “testimoni che di maestri” come ebbe già ad indicare Paolo VI.

Il risvolto antropologico oggi prevale. E l’incarnazione dovrebbe essere la risposta adeguata ai molti interrogativi (vedasi la bioingegneria) ed alle tante attese (sul senso del dolore e sul significato della morte in primo luogo) che i mezzi di comunicazione sociale enfatizzano, cogliendoli comunque dalle profonde e spesso angosciose domande dell’uomo di oggi.

Mettere al centro delle attenzioni e preoccupazioni comuni la persona umana incontra anche l’assenso di chi non riconosce per ragioni sue l’uomo come “unica creatura voluta per se stessa” (Vaticano II) in quanto creata a “immagine e somiglianza” di Dio (Gn 1,26).

In un simile contesto le migrazioni (come ha giustamente sottolineato la Migrantes nel suo articolato e specifico contributo al Convegno di Verona, cfr. SM 5/06), che sono un forte ed a volte predominante fattore di cambiamento sociale e religioso, vanno considerate come arricchimento e risorsa e conseguentemente occasione di rinnovamento della nostra società civile ed ecclesiale. Esse sono una opportunità di cammino verso la famiglia dell’umanità nella “convivialità delle culture” ed una espressione di cattolicità nella “diversificata unità di popoli, culture e nazioni”.

La felicemente accresciuta attenzione della Chiesa italiana a questo fenomeno abbisogna comunque di ulteriori chiarezze e di aumentati spazi di coinvolgimento e corresponsabilità. Le difficoltà di impatto del popolo nomade, alias zingari, con la società sono al riguardo rivelatrici.

Una nota emergente e rimarcata durante l´intero Convegno è stata sia centralità sia compiti di un laicato responsabile per formazione e testimoniante per competenza nativa ed in forme specifiche in forza del battesimo per “trasformare la vita stando dentro le sue ricchezze e contraddizioni” (Bignardi). E la tensione che ha percorso l’intero svolgimento del Convegno (era anzi nella sua formulazione) è stata la speranza, virtù teologale, e quindi donata, che si incarna però nelle e dà senso alle speranze umane. Orbene le migrazioni sono un inno alla speranza e fanno emergere l’uomo vivente che a qualsiasi costo vuol far trionfare la vita e difendere valori basilari come la famiglia.

Mai “fare bozzolo” o alzare ponti levatoi di difesa, ciò che avvierebbe un processo negativamente involutivo, bensì slancio ed apertura verso la novità (Papa Ratzinger ha messo in guardia contro “un rinunciatario ripiegamento su se stessi” ed invitato al dinamismo per "aprirsi con fiducia a nuovi rapporti”).

In definitiva è l’amore che convince e che rinnova perché “Dio è amore” ( 1Gv 4,8).

Queste considerazioni, che sono una proposta di condivisione, vengono sostenute dalle molte riflessioni che si leggono in questo numero di fine anno 2006 della nostra rivista, con la quale si vuole anche ricordare con affetto e riconoscenza nell’apposito “supplemento” un appassionato ed intelligente difensore e cultore dei valori della mobilità umana ad un anno dalla sua per noi prematura perdita, mons. Luigi Petris, già missionario d’emigrazione e Direttore Generale della Fondazione Migrantes.