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"Il Belgio degli italiani" (G. Tassello)
Recensione

Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/06


Abramo Seghetto, Rosario Nocera: Il Belgio degli italiani. Ricordare è giusto, non dimenticare è un dovere. Prefazione di Carlo Azeglio Ciampi. Roma, Rai Eri, 2006

 

Sono trascorsi 50 anni dalla tragedia mineraria di Marcinelle (8 agosto 1956). Il  23 agosto 1956 due membri della squadre di soccorso, dopo estenuanti ricerche, pronunciarono la terribile frase: “Tutti morti”, mettendo fine ad ogni speranza di ritrovare ancora in via qualche minatore.

Da allora sono cambiate tante cose in emigrazione. Eppure nonostante si siano susseguite tante celebrazioni, a volte conclusesi in dissacranti strumentalizzazioni, rimane vivo nella memoria dei “sopravissuti per raccontare”, come recita un altro bel libro di Abramo Seghetto, il desiderio struggente di narrare i ricordi non per vendetta, poiché gli antichi dissapori sono spenti, ma per far sì che queste sciagure non si ripetano più. Il libro vuole fare proprio il desiderio dei sopravissuti di lasciare in eredità non un cumulo di ricchezze, del resto impossibile per i minatori italiani in Belgio, ma una saggezza di vita. Aldo Di Biagio, responsabile estero del Patronato ENAS,  ha scritto: “E stato detto che la tragedia di Marcinelle fece di più, per la formazione di una coscienza europea, di quello che fecero tutti i trattati firmati in quegli anni. Nel ricordare i sacrifici dell’emigrazione italiana nessuno può dimenticare la necessità di garantire i diritti e l’accoglienza di quei lavoratori stranieri che cercano in Italia un lavoro ed una vita migliore.”

La pubblicazione di Abramo Seghetto e di Rosario Nocera dal titolo assai significativo “Il Belgio degli italiani”, con prefazione de Carlo Azeglio Ciampi, intende presentare, seppure brevemente, “alcuni aspetti della vita degli operai italiani in un momento difficile per i due paesi: l’Italia e il Belgio” (p. 21). Essa è permeata di rispettosa attenzione  per “l’esistenza eroica, piena di problemi, di difficoltà e di sacrifici” dei minatori, cogliendone le diverse sfaccettature senza mai cadere in quella letteratura commerciale e in quelle interpretazioni faziose che l’hanno spesso deturpata più della polvere del carbone. Sebbene si sia tentati di pensare che tutto sia già stato scritto su Marcinelle, gli AA. sanno scoprire aspetti nuovi, offrendo interpretazioni definitive, basate su documenti di prima mano che vengono sviscerati in tutti i loro risvolti, come i preparativi (L’Accordo minatori-carbone, siglato il 15 marzo 1946) che avevano preceduto la firma del primo Protocollo del 23 giugno 1946. Seghetto e Nocera non mancano di mettere in luce come le formule concordate fossero ben diverse dalla realtà che i nuovi emigrati avrebbero dovuto affrontare. “Nel momento in cui firmava il Protocollo, il Governo belga sapeva chiaramente che non avrebbe potuto rispettare i patti” (p. 25) come la clausola degli “alloggi convenienti”.

“Si può affermare che veniva inviata all’Italia la produzione di una o due giornate di estrazione al mese; il rimanente restava al Belgio” (p. 49). “Anche l’Italia, asserisce lo studioso belga Albert Martens, “otterrà qualche vantaggio: in cambio della sua manodopera (la cui forza è medicalmente assistita) essa riceverà del carbone”.

Il volume si compone di quattro parti. Nella prima gli autori ripercorrono la storia dell’emigrazione italiana in Belgio, iniziando dalla presenza italiana prima della prima guerra mondiale. Vincenzo Gioberti aveva soggiornato in Belgio dal 1839 al 1845 e a Bruxelles nel 1842 aveva pubblicato “Del primato morale e civile degli italiani”. Gli AA. si soffermano soprattutto sul viaggio dei minatori verso il Belgio, la loro vita negli alloggi, la stampa, la nascita dei gruppi di solidarietà e le varie istituzioni ed enti che ruotano attorno a questo mondo, in particolare il Movimento ACLI trapiantato in Belgio nel 1954 da Giacomo Sartori.

Non manca la storia degli sconfitti, coloro che di fronte agli orrori della miniera sono presi dal panico oppure chi è rifiutato perché ritenuto non idoneo ai lavori nel sottosuolo o chi si assenta dal lavoro più di tre giorni. Tutti vengono rinchiusi nel Petit Château di Bruxelles in attesa di essere rimandati in patria.

Negli anni ‘60 e ‘70 si possono toccare con mano le prime trasformazioni e tanti italiani possono finalmente realizzare il loro sogno di sempre: “Io un pezzettino di Belgio l’ho comperato” (p. 27). L’aspetto originale di questa - ma anche delle altre parti - è l’ampio spazio che gli AA. riservano alle testimonianze e ai commenti dei protagonisti.

Nella seconda parte l’attenzione è diretta alla catastrofe del Bois du Cazier a Marcinelle poiché, come recita il sottotitolo del volume “Ricordare è giusto, non dimenticare è un dovere”. Marcinelle è l’occasione che fa emergere i problemi che si era preferito accantonare, nonostante accuse puntuali, come quelle dello scalabriniano Giacomo Sartori, spesso sollecitato a tacere dalle autorità consolari italiane. La sciagura mineraria fa conoscere all’Italia la storia realistica del lavoro degli emigrati e mette in moto un meccanismo che porterà a tutelare maggiormente i diritti dei lavoratori italiani all’estero.

Nella terza parte gli AA. toccano un tema di solito lasciato ai margini nei libri di emigrazione: la presenza della chiesa in emigrazione. Dal primo sacerdote inviato dalla Santa Sede in Belgio, don Guido Piumatti, che il 1°marzo 1928 apre la Missione Cattolica Italiana di Seraing, al fiorire delle successive missioni, sviluppatesi soprattutto dopo il secondo dopoguerra pur tra notevoli difficoltà, scopriamo molteplici attività formative, ricreative e religiose attorno al missionario e alle suore.

Questa presenza di chiesa è  stata “la prima, e inizialmente anche l’unica, a essere presente tra una popolazione sradicata in un altro ambiente” (p. 249) ed ha contribuito in modo determinante a rendere meno dura la vita delle famiglie emigrate. E non per un paternalismo di maniera: i missionari, infatti, sono stati dei forti sostenitori dei diritti dei migranti.

La quarta parte del libro è interamente dedicata alla presentazione di una preziosa documentazione, con testi spesso difficilmente reperibili e con una statistica dell’evoluzione della comunità italiana in Belgio.

Il libro è corredato da foto che colgono la quotidinità della vita dei minatori e delle loro famiglie; foto non professionali e quinsdi assai diverse da quelle dei tanti grandi fotografi che si sono avvicinati al mondo dell’emigrazione spettacolarizzandone l’aspetto tragico, ma evitando la quotidianità dell’esperienza di un cielo sempre uguale e del nero dei terril.

Sono foto che sanno rendere bene l’idea di una vita aspra ma che non rinnega alla ricerca di dignità e di normalità. Al lettore fanno venire in mente le celebri narrazioni di Archibald Joseph Cronin dei villaggi dei minatori gallesi.

Si tratta di un libro in cui si è prestato voce e attenzione al mondo dei minatori, ricco di puntualizzazioni e di interpretazioni che rendono onore alla memoria dei caduti. Un libro la cui utilità non viene cancellata da alcune pagine in cui uno stile più stringato avrebbe giovato di più o da alcuni refusi tipografici.