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Le donne emigrate e immigrate (F. Massarotto)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/06


 

Gli studi sulla storia dell’emigrazione italiana al femminile sono  iniziati da pochi decenni e già si profila in maniera chiara l’utilità di comparare il vissuto delle connazionali emigrate all’estero con le vicende delle straniere che vivono in Italia.

 

Al di là delle differenze (per tempi storici, cultura e quantità dei flussi) il confronto può sorprendere, ma ci aiuta a capire le dinamiche e le problematiche che travagliano oggi il mondo complesso e poco conosciuto dell’immigrazione straniera.

Oltre ai numeri (le connazionali rappresentano il 45% dell’intera collettività  espatriata stimabile attorno ai 27milioni, mentre le straniere in Italia sono il 49,9% dell’immigrazione complessiva pari a 3.035.000), sono soprattutto le esperienze vissute e le reazioni emotive suscitate dal trauma dello sradicamento e dalle difficoltà d’integrazione ad accomunare i vissuti di ieri e quelli di oggi.

Come per le straniere che vivono da noi, anche la presenza dei milioni di donne italiane all’estero pare sia stata “invisibile”: nonostante la rilevanza numerica, infatti, la figura femminile è diventata tema da discutere soltanto dopo la 1° Conferenza “Donna italiana in emigrazione”, svoltasi a Roma nel novembre ’97. Esattamente dopo 120 anni dall’inizio della grande migrazione.

In quell’occasione le 80 italiane giunte a Roma, a nome di tutte hanno chiesto “ascolto” e “visibilità” e il riconoscimento del ruolo svolto dalla donna nelle comunità espatriate. Un ruolo fondamentale, che ha cambiato la fisionomia delle collettività in maniera definitiva.

Vediamone la storia. Dalla fine dell’Ottocento ai primi decenni del Novecento le italiane partivano verso le Americhe con tutta la famiglia. La donna non aveva possibilità di decidere: doveva seguire la volontà del marito, dei fratelli, dei genitori. La traversata oceanica su navi a vapore era spesso rocambolesca: gli emigranti venivano ammassati sulle stive delle navi, le donne e i bambini separati dagli uomini. In balìa di tempeste, epidemie, naufragi, imbrogli di ogni tipo, non tutti riuscirono ad arrivare a destinazione. I bambini e gli adulti che non sopravvivevano alle traversate venivano gettati in mare.

Nel dopoguerra molte connazionali espatriarono per raggiungere  i mariti o i fidanzati in attesa di matrimonio. Nei Paesi europei arrivarono a decine di migliaia anche giovani sole, spesso minorenni, per lavoro. Non appena conoscevano il futuro marito, avviavano una famiglia lontano da casa.

In ogni situazione, esse subivano uno sradicamento doloroso dall’unico mondo che conoscevano, fatto di affetti, legami con i parenti, tranquilla vita di paese.

Eppure, in ogni luogo di emigrazione l’arrivo della donna è stato un fattore determinante per l’equilibrio e la permanenza dignitosa all’estero dell’intera comunità. In Europa e negli Stati Uniti i primi flussi italiani erano soprattutto di manovali precari e stagionali i quali, finito il lavoro, tornavano a casa o vagavano alla ricerca di nuove occupazioni. Gli uomini soli vivevano ammassati in camerate e baracche di prima accoglienza, dove dormivano e cucinavano insieme, attendendo il momento di poter tornare in patria. Le cronache del primo Novecento raccontano con dovizia di particolari del proliferare di truffatori e approfittatori senza scrupoli (i moderni “banchisti”), che lucravano sulla buona fede degli emigranti e sulle loro necessità. Soli e sradicati, i lavoratori italiani erano visti con sospetto dalle popolazioni locali e fatti oggetto di pregiudizi pesanti.”Gente rissosa e portata al crimine”li definiva a fine Ottocento la stampa americana.

La donna ha cambiato definitivamente la composizione di queste collettività, rendendole permanenti, basate sulla famiglia, sulla salvaguardia delle proprie origini e allontanandole dagli sfruttatori.. Nelle periferie delle grandi città dell’America del nord, nelle colonie del Sudamerica, in Australia e nei Paesi europei, le donne hanno mantenuto modelli di vita, tradizioni e valori appartenenti al vecchio mondo contadino, un mondo intensamente religioso, dedito al risparmio, alla solidarietà, al lavoro e al rispetto per le leggi. Hanno dunque salvaguardato un ricco patrimonio di valori che, con il ruolo materno,  è stato trasmesso alle nuove generazioni.

La massiccia presenza di tante famiglie e il diffondersi di negozi e quartieri italiani in tanti continenti, ha costretto governanti e amministratori a provvedere ad alloggi decorosi, a leggi per favorire i ricongiungimenti familiari, ad asili e scuole per bimbi stranieri, a servizi sanitari adeguati, ad opportunità di inserimento lavorativo e tutele sociali. Infine, hanno dovuto concedere anche la presenza di chiese etniche, affinché i connazionali potessero continuare a pregare nella loro lingua e a portare i figli al catechismo e alla comunione. Tutte opportunità che anche gli immigrati e le immigrate chiedono oggi a noi.

“Appena arrivata in Belgio, pensavo che Dio, la Madonna e i santi avessero cambiato nome - ha raccontato Giacomina Pisetta emigrata a Charleroi in Belgio -. Alla Messa non capivo niente. Solo dopo anni, imparando il francese, mi sono accorta che avevo pregato con parole che non avevano alcun significato.”

Il tema del lavoro è un campo di confronto assai utile per comprendere le dinamiche dell’immigrazione. Come le straniere che lavorano da noi, le italiane hanno svolto all’estero i lavori più umili, marginali e sottopagati (erano serve, badanti, donne di pulizia, operaie generiche, contadine, cuoche, sguattere) contribuendo con il loro lavoro al risparmio domestico e alla riuscita del progetto migratorio di tutta la famiglia, accettando anche di restare all’estero quando il “sogno del ritorno” sfumava. Al contrario di quante arrivano oggi, la gran parte delle connazionali era senza qualifiche professionali e titoli di studio.

Nelle liste d’espatrio per professione compilate dalle questure italiane nel 1948-’49, la voce “domestica”o “casalinga” rappresentava il 25% dell’intera emigrazione. Le donne che partivano erano più numerose degli operai, dei minatori, dei muratori, fabbri o carpentieri…Venivano registrate sui passaporti “in condizioni non professionali” o come “personale di servizio e fatica”.

 In Svizzera, nel secondo dopoguerra si è realizzata una vera e propria emigrazione femminile di massa: donne giovani, spesso minorenni, partivano sole per aiutare le famiglie in Italia, cui inviavano mensilmente i risparmi. Una volta sposate, non potendo accudire ai figli, mandavano i neonati al paese dai nonni, dove restavano fino all’età della scuola.

 In Belgio, in Svizzera, in Germania la donna italiana ha spesso vissuto in baracche di legno, dove ospitava parenti e “bordanti”, questi ultimi compaesani soli e senza famiglia, che  ricevevano dalle sue mani cure e alloggio, pasti caldi e biancheria pulita, in cambio di un piccolo contributo in denaro.

“Si, abbiamo abitato in una baracca, una stanza in tutti - ha ricordato Ester Faes emigrata in Belgio dal Trentino nel 1967 -. Due letti per dormire, un tavolo e una stufa. Papà, mamma, noi quattro femmine e un maschio. Per fortuna papà lavorava di notte, sei mesi siamo stati così, e tra le assi vedevi fuori. La mattina bevevi un po’ di caffè e poi…noi bambini fuori della porta!”.

Nei quartieri minerari e operai della Fensch nella Mosella francese, o nella Ruhr in Germania; nei “coròt” della Vallonia e del Limburgo in Belgio, nei convitti e nelle fabbriche svizzere, la donna italiana ha diffuso solidarietà, tradizioni, speranza nel futuro. Ed ha favorito l’integrazione di tutta la famiglia nel tessuto sociale del Paese ospitante, mentre i sentimenti di rimpianto e nostalgia per la propria terra restavano così forti da arrivare intatti fino alle attuali terze e quarte generazioni.

Il costo di tutto questo? Per la donna, il senso di una profonda e continua solitudine, con momenti di malinconia, disorientamento e perdita di sé. “Piangevo la domenica su una panchina lungo il lago - ha confessato Maria Teresa Granello da Ginevra -. Ero sola, non c’era nessuno a consolarmi. Mia mamma scriveva che le mandassi i soldi che guadagnavo. Ricordati, scriveva, tutti i soldi mandali a casa! No, non vorrei tornare  ad avere vent’anni.  I miei vent’anni sono stati così tristi!”.

E oggi? Oggi altre donne, sole o al seguito di altri, ripercorrono lo stesso cammino. Si sradicano dagli affetti e da ogni certezza, e s’incamminano verso una terra straniera alla ricerca di un futuro dignitoso, di un migliore avvenire.

 Sono le immigrate straniere che arrivano in Italia. Accettano lavori umili, spesso sottopagati, ci chiedono accoglienza, case in cui vivere e crescere i figli e un’accettazione umana e priva di pregiudizi verso la loro “diversità”. Spesso provviste di titoli di studio, sono da noi ricercate soprattutto come badanti, inservienti negli ospedali, lavapiatti, operaie, colf... Oggi siamo noi ad affidare loro le nostre case, i figli da custodire, i genitori anziani, gli ammalati.

Insieme agli uomini rappresentano oltre l’8% della forza-lavoro italiana.

 Anche in questo universo straniero la presenza della donna ha portato il moltiplicarsi dei nuclei familiari e sta favorendo stabilità e integrazione. Stanno aumentando infatti ogni anno le richieste di ricongiungimenti familiari, mentre è in crescita il numero dei residenti in Italia da oltre 5 anni. La forte tendenza alla stabilità si rileva anche dall’alto numero di bambini stranieri che vanno a scuola. Quest’anno sono quasi 500.000 e il 90% di loro frequenta la scuola pubblica. In certe regioni un alunno su 4 è straniero (dieci anni fa gli studenti stranieri erano appena 50.000).

La tendenza alla permanenza è data inoltre dall’aumento delle richieste di mutui per l’acquisto di un’abitazione. Ecco alcuni dati elaborati da Assofin-Crif-Prometeia: i mutui-casa importanti, quelli per 20 anni, dal 2000 al 2004 sono cresciuti per gli immigrati del 39%. L’importo medio erogato per il mutuo-casa nel 2004 è stato di 109.294 euro, mentre nel 2000 era di 73.500 euro. In crescita anche i prestiti finalizzati ad attività commerciali e artigianali. Nel 2004 il volume complessivo di credito erogato agli immigrati è stato di 4mila 484 milioni di euro, oltre 5 volte quello erogato nel 2000. I  nuclei familiari stranieri stanno dunque diventando una parte integrante della nostra società; ormai le nostre banche si fidano e gestiscono con loro gli stessi rapporti che hanno con i cittadini italiani.

Anche le nuove famiglie chiedono ciò che noi abbiamo chiesto all’estero: abitazioni decenti, scuole per i figli, corsi di lingua, spazi associativi, luoghi di culto, ma soprattutto accoglienza e aiuto all’integrazione. “Lavoro come badante in casa di un’anziana 24 ore su 24 - racconta Slasja, ucraina -, ma sono contenta, mi tratta bene. Mia figlia non vive con me, sta con il papà e i nonni in Ucraina, spero che cresca bene. Il mio sogno è di averla con me, con la famiglia, ma dovrei trovare un lavoro per mio marito, una casa…Ma è tutto così difficile. Chissà!”.

Le difficoltà scolastiche rilevate tra gli alunni stranieri, dovute principalmente alle differenze linguistiche e culturali, non costituiscono una stranezza: come italiani ne abbiamo esperienza diretta. In Germania, ad esempio,  oggi l’ 8,1% dei ragazzi italiani frequenta la scuola differenziale tedesca ed ha grossi problemi di inserimento; il 30% di loro non riesce ad arrivare al diploma. Questo dato non  è nuovo, ma dura da parecchi anni senza soluzione di continuità.

Abbiamo dunque una storia di emigrazione particolarmente significativa, dove il ruolo della donna all’interno della famiglia è stato ed è ancora essenziale. Riscoprendo la nostra memoria collettiva di popolo migrante, dovremmo essere in grado di sostenere l’integrazione delle comunità straniere nel nostro Paese, aiutando soprattutto la donna. Come abbiamo visto, la sua figura garantisce stabilità affettiva, maggiore dignità, cura del benessere fisico e psichico dei propri cari,  ricerca di un’integrazione che non annulli le peculiarità culturali d’appartenenza, ma favorisca un’integrazione  graduale, non traumatica.

 Il confronto con valori, tradizioni e modelli di vita  diversi, (a partire dalla varietà delle lingue ai sapori dei piatti di cucina, dal folclore alla musica, dalla letteratura alla danza, fino ai giochi infantili) può rappresentare per noi una ricchezza e un’opportunità preziose, ed essere uno stimolo all’apertura mentale e al cambiamento.

Al convegno “Identità, cultura, solidarietà: l’autorità della donna italiana in emigrazione” organizzato il primo ottobre 2005 dal “Messaggero di S. Antonio” a Padova, donne d’origine sarda emigrate in Australia, Stati Uniti, Canada, Francia, Argentina, Belgio e Germania si sono date appuntamento per discutere.  Dopo aver esaminato a fondo le esperienze vissute e il ruolo svolto dalla donna italiana in emigrazione, hanno dichiarato: “Noi donne migranti dobbiamo far tesoro della nostra esperienza e pensare alle tante immigrate straniere che oggi cercano, come abbiamo fatto noi, pane e lavoro in altri Paesi. Dobbiamo metterci al loro servizio, per aiutarle a percorrere il cammino che noi abbiamo percorso, sviluppando solidarietà, partecipazione e vicinanza…”.