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Intervista a Don Emidio Di Pasquale (S. Ridolfi)
Un protagonista nella pastorale di emigrazione in Abruzzo

Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/06


 

Scheda: Don Emidio Di Pasquale, classe 1931;

Presbitero della Diocesi de L’Aquila dal 1953;

Parroco di Fontecchio (AQ) dal 1960;

Delegato diocesano e regionale UCEI (ora Migrantes) negli anni ’70 e ’80;

Membro della Consulta regionale Emigrazione di Abruzzo–Molise, anni ’70.

 

 

Don Emidio, come mai hai un passaporto nordamericano e quali situazioni ti hanno portato ad interessarti di emigrazione?

Sono nato in Italia e qui ho fatto tutti i miei studi, compresi quelli teologici. Ma quando mio padre, emigrato in USA, diventò cittadino americano in base alla legge sulla naturalizzazione, essendo io ancora piccolo, acquistai quella cittadinanza, che ho sempre mantenuto anche se non ho mai votato.

Quando nel 1960 divenni parroco a Fontecchio (a 20 km da L’Aquila), che allora contava 570 abitanti (oggi sono meno di 300), nel 1960 mi preoccupai di fare uno “stato di famiglia” della mia parrocchia girando casa per casa. Mi accorsi che non c’era una famiglia che non avesse un emigrato, più all’estero che in qualche altra regione d’Italia. Oltre metà della popolazione. Fu un campanello di allarme. E mi posi il problema di raggiungere anche questi “parrocchiani fuori parrocchia”.

Mi venne l’idea di pubblicare un bollettino parrocchiale di informazioni locali (quelle minime e concrete: il nome nuovo di una strada, le mucche o pecore al pascolo, morti, nascite, matrimoni, ecc.) e di collegamento (da diffondere in parrocchia o da inviare a tutti quelli che vivevano fuori parrocchia). Il titolo mi venne suggerito da amici di Fontecchio, “I 50 rintocchi” con riferimento all’antica torre medievale del paese che ogni sera, alle due di notte, batte 50 colpi di campana a ricordo dei 50 giorni di assedio da parte di Fortebraccio da Montone: “…per tener sempre desta, viva la fiamma verso il proprio paese, verso la religione e la famiglia”. Così scrissi nell’editoriale del 1° numero del mensile, il 1° gennaio 1963. Da allora ad oggi la pubblicazione è uscita puntualmente, salvo alcuni accorpamenti a causa della mia recente malattia.

 

I tuoi compiti in campo sociale hanno quindi avuto origine in questa forte motivazione pastorale.

Sì. Ed ho iniziato come assistente provinciale delle ACLI; venni anche proposto per andare in Sardegna a collaborare con una diocesi locale, ma il Vescovo non fu del parere.

Dalle ACLI all’emigrazione il passo era facile, tanto più che l’allora Vice–Direttore UCEI (ora Migrantes), Mons. Gaetano Bonicelli, proveniva pure lui da una esperienza ACLI. E mi venne proposto di essere prima Delegato diocesano e poi anche Delegato regionale UCEI (ora Migrantes).

Mi proposi queste finalità: sensibilizzazione del clero (necessaria, ma non facile; li ho esortati a mettere insieme l’indirizzo dei loro emigrati); assistenza (poca) e collegamento con gli emigrati.

Nel 1965 fui in USA poiché mio padre era morto senza riuscire a ricongiungere a sé la sua famiglia. E io ne rimpatriai la salma. Vi ritornai nel 1968 ed ebbi un commovente incontro con i minatori in Pennsylvania con una interessante intervista.

Precedentemente nel 1996 fui a Livorno e poi più al Nord, Torino e Genova, per poi passare in Francia e quindi anche in Svizzera e Lussemburgo, sempre per conoscere le situazioni concrete degli emigrati e per stabilire dei rapporti. A tutti poi ho sempre inviato il mensile “I 50 rintocchi”, il “bollettino che pur lontano ti fa sentire vicino”.

Un momento importante di sensibilizzazione è sempre stata la “Giornata Migrazioni”. Ma molti paesi facevano incontri estivi in occasione del rientro per ferie, a parte il tradizionale pellegrinaggio estivo a S. Gabriele dell’Addolorata, cui la nostra gente è molto affezionata.

Purtroppo abbiamo avuto pochi sacerdoti resisi disponibili per l’emigrazione, alcuni invece per l’assistenza a bordo come cappellani.

Molti sono i clubs e le associazioni di abruzzesi nel mondo.

La nostra Regione ha dato un doloroso contributo anche in tragiche catastrofi come nella miniera di Marcinelle (Belgio): su 262 morti italiani 67 erano abruzzesi.

 

Qui vedo un complesso imponente di opere: come è sorta questa attività?

Ero preoccupato già dai miei primi anni di permanenza a Fontecchio di favorire uno sbocco lavorativo ai giovani, maschi e femmine.

E allora mi inserii nella iniziativa dei corsi professionali: ne organizzai per minatori e termoidraulici (i ragazzi) e stenodattilografe (le ragazze). Nasce così il “Centro di formazione professionale” (1966). Ma non fu facile ottenere il terreno che apparteneva a ben sette proprietari.

Prima ancora, 1963–64, avevo dovuto affrontare  la demolizione della inabitabile canonica e la sua ricostruzione. Segue poi la “Casa Serena” (1974) per i genitori dei figli degli emigrati, altrimenti abbandonati soli in case fatiscenti.

Quindi, venendo incontro ad un espresso desiderio formulato in un convegno, mettemmo mano alla “Residenza Sanitaria Assistita” (RSA, 1990–95) in cui hanno trovato ospitalità sacerdoti anziani a mezzo della FACI (Federazione Assistenza Clero Italiano). Una struttura donata recentemente all’Università Cattolica del S. Cuore (un valore di 30 miliardi di vecchie lire). Ed ora stiamo ultimando la “Degenza Sanitaria Assistita”, un ospizio nato da un progetto di opportunità ed aggiornamento dei servizi di ospitalità.

Tutti lavori coordinati ed intestati alla Fondazione “Spes Nostra”. Il Signore ha permesso di realizzare queste opere per venire incontro a necessità di assistenza e promozione. Ora le affidiamo alla Provvidenza, tanto più che da tre anni un ictus mi ha immobilizzato su una poltrona. Sia fatta la volontà di Dio.

 

E, davvero, caro don Emidio, io lodo con te il Signore, che un tempo ti ha dato tanta energia per animare queste opere e ora ti chiede la testimonianza non meno efficace della tua apparente inazione.