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Abruzzo: un passato d'emigrazione, un futuro d'integrazione (L. Gaffuri)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/06


 

Una lunga storia di emigrazione

L’Abruzzo è stato per oltre un secolo contrassegnato da un’emigrazione pressoché ininterrotta, protrattasi almeno fino ai primi anni ‘70 del Novecento e poi ancora, benché con minore intensità, anche nel decennio successivo. Basti solo pensare che, dal 1876 al 1984, gli espatriati hanno superato il milione di persone. Le cause di questo fenomeno, come è noto, vanno ricercate all’indomani dell’Unità d’Italia, un’epoca nella quale la regione versava in una situazione economica tra le più difficili dell’intero paese. Il suo territorio era ancora caratterizzato da un sistema produttivo pre-moderno, i cui principali strumenti d’integrazione lavorativa e sociale rimanevano quelli della transumanza verso le terre del Tavoliere e dell’Agro romano. Il graduale passaggio a un’agricoltura di tipo capitalistico nelle pianure pugliesi e laziali, danneggiò successivamente in modo grave l’economia pastorale delle montagne abruzzesi che andrà lentamente incontro a un’acuta crisi. Sul versante adriatico, invece, si assiste nello stesso periodo a una nuova vitalità, grazie a un’agricoltura intensiva indirizzata secondo le necessità del mercato.

Quando il sistema tributario piemontese fu esteso al resto d’Italia, le condizioni di vita in Abruzzo si aggravarono ulteriormente: nell’ultimo decennio dell’Ottocento, con la crisi agraria causata dall’arrivo sul mercato peninsulare del grano americano, russo e indiano, la situazione di miseria dei contadini fu d’altra parte amplificata dalla crescita demografica. Non stupisce allora che proprio in questo periodo si verifichi l’emigrazione in massa degli abruzzesi, come del resto di molti italiani. Fino al 1880 la più gran parte dei cittadini emigrava dal Nord della penisola, mentre il Centro e il Sud partecipavano in modo relativo, ma nei successivi 45 anni i flussi dal Mezzogiorno crebbero esponenzialmente raggiungendo circa il 40% del totale: se si considera che il carico demografico meridionale era numericamente inferiore a quello settentrionale, si può comprendere il rilevante contributo pagato dal Sud nel bilancio migratorio italiano.

Per i primi vent’anni del nuovo secolo (1901-1920) è l’Abruzzo a detenere il primato negli espatri in rapporto alla popolazione residente, con un’incidenza significativa nelle aree interne montane. Tuttavia, già a partire dagli ultimi due decenni del XIX secolo la regione era caratterizzata da percentuali di emigrazione piuttosto alte. Nei quindici anni che inaugurano il Novecento lasciano la loro terra 470.000 abruzzesi, 50.000 dei quali solo nel 1901, poiché le vie d’oltreoceano (specialmente Stati Uniti, Venezuela e Brasile) o l’Europa (Francia anzitutto) costituivano l’unica alternativa alla povertà. In seguito, il coinvolgimento dell’Italia nei due conflitti mondiali ridusse notevolmente le partenze; d’altro canto, è noto che il regime fascista cercò di comprimere il flusso migratorio e gli effetti di questa politica sono stati particolarmente evidenti in Abruzzo.

Complessivamente, il continente americano ha accolto quasi il 90% dell’intera emigrazione abruzzese fino alla seconda guerra mondiale; terminato il conflitto, gli espatri ripresero consistenza, orientandosi anche verso nuove mete quali il Canada e in particolare l’Australia che, dagli anni ‘50, ha infatti assorbito buona parte degli spostamenti transoceanici. Allo stesso tempo, l’Italia settentrionale e le mete continentali europee sono riuscite a esercitare un maggior interesse, fino a determinare una decisa inversione di tendenza nel giro di un solo decennio. Nello specifico, tra il 1965 e il 1988 il 70% degli emigranti abruzzesi si è diretto verso l’Europa, con una netta preferenza per Germania, Svizzera, Francia e Gran Bretagna. Il Belgio, che pure aveva accolto un numero consistente di italiani, non era più considerato come possibile destinazione, anche a causa della tragedia di Marcinelle del 1956 in cui perirono molti minatori abruzzesi. Il fenomeno migratorio si è poi notevolmente ridotto negli anni ‘70, per esaurirsi nel decennio successivo.

Un nuovo contesto economico e sociale

Pure se al prezzo di enormi sacrifici personali, i benefici di questo esodo non furono pochi: allentamento della pressione occupazionale, messa a disposizione dei risparmi, aumento del tenore di vita, apertura a obiettivi innovativi. L’ondata migratoria, ancora molto vivace dopo la seconda guerra mondiale, col tempo si è andata contraendo e nel 1972 i rimpatri sono stati infine superiori agli espatri. D’altro canto, una così ampia emigrazione ha creato le condizioni per un riequilibrio della domanda e dell’offerta di lavoro, così come della stessa popolazione e delle risorse economiche disponibili. Inoltre, l’improvvisa diminuzione di manodopera impose ai proprietari terrieri di migliorare e ammodernare le tecniche di produzione: l’introduzione di colture intensive, l’utilizzazione di fertilizzanti chimici e il generale incremento delle capacità produttive sono quindi da correlare strettamente alla nuova geografia della popolazione regionale determinata da un esodo di così vaste proporzioni.

L’Abruzzo si presenta oggi con un’economia radicalmente diversa da quella che l’aveva contraddistinto negli anni seguiti all’Unità nazionale. Nell’arco di 140 anni si è compiuto il passaggio da un modello tradizionale basato sull’agricoltura a uno moderno in cui predominano il settore industriale e quello terziario. Il mutamento intervenuto è stato di proporzioni imponenti e probabilmente insperate se paragonate al resto del Mezzogiorno: tra il 1951 e la fine degli anni ’90 si è assistito a una brusca diminuzione degli addetti nel settore primario (dal 61% all’8%) e a una contemporanea ascesa del reddito pro capite. Dopo aver vissuto un periodo particolarmente difficile negli anni intercorsi tra le due guerre, l’economia abruzzese non ha tuttavia perso le occasioni offerte dal boom dell’economia italiana durante gli anni ‘50 che, unite all’avvio dell’intervento straordinario per il Mezzogiorno e alle sempre più consistenti rimesse degli emigranti, in un trentennio hanno consentito alla regione di assumere un profilo differenziato rispetto ai due grandi aggregati territoriali, Nord e Sud, che compongono il classico dualismo italiano.

Le aree maggiormente interessate dal nuovo processo di industrializzazione sono state in larga parte quelle costiere, anzitutto nel Teramano (Val Vibrata) e nel comprensorio Vasto-San Salvo, ma con insediamenti produttivi anche nel Pescarese. Pure le zone dell’interno, benché con ritmi inferiori rispetto alla fascia litoranea, sono riuscite a realizzare progetti nei campi dell’elettronica, dell’elettromeccanica, della chimica e delle telecomunicazioni. Tuttavia, la popolazione mostra una tendenza a trasferirsi verso la costa e il calo della densità demografica nell’Abruzzo montano sembra risparmiare solo i centri maggiori come L’Aquila, Sulmona e Avezzano. La regione ha del resto beneficiato dell’accessibilità garantita dal rinnovato sistema stradale e autostradale sviluppatosi anche verso le aree di marginalità economica. L’efficace rete viaria ha permesso di iniziare un processo di urbanizzazione che ha cambiato gli assetti territoriali, soprattutto sul litorale, mediante un’articolazione equilibrata della rete di città come perno del peculiare modello di sviluppo abruzzese. In un siffatto contesto, non stupisce allora che la regione sia diventata una possibile meta per gli immigrati.

Verso l’immigrazione

La trasformazione dell’Abruzzo in terra di immigrazione è dunque un fenomeno piuttosto recente. Nel corso degli anni ‘80 la regione comincia ad accogliere i primi cittadini stranieri e, in questa fase iniziale, le nuove presenze erano costituite in maggioranza da cittadini nord-africani, spesso irregolari e con alto tasso di mobilità, impiegati soprattutto nel commercio ambulante. In seguito, questo flusso dai paesi del Maghreb fu sostituito da quello senegalese e ghanese, il cui livello di scolarità risultava sensibilmente superiore rispetto al primo, nonostante si trattasse comunque di un’immigrazione prevalentemente maschile, giovane, con basso grado di stanzialità e ancora collocata in maggioranza nel settore ambulante. Particolarmente ridotta era invece la presenza femminile, diversamente da quanto avveniva in altre parti d’Italia e soprattutto nelle grandi città. Tra le altre attività svolte dagli extracomunitari, nuovi sbocchi occupazionali si crearono alla metà degli anni ‘80 nelle attività di ristorazione, nelle imprese di pulizia, nel campo dell’edilizia, nel bracciantato agricolo e nella pesca. Oltre all’Africa, l’America Latina e in parte anche l’Asia erano i continenti di provenienza di un’immigrazione che non si poteva comunque definire di particolare rilievo in questi primi anni: basti pensare che nel 1989 i cittadini stranieri presenti nella regione erano poco meno di 4.500, pari a un modesto 0,3% della popolazione residente.

Nell’ultimo decennio del Novecento, con la dissoluzione della Jugoslavia e la caduta del regime comunista in Albania, l’Abruzzo è diventato a tutti gli effetti una terra di frontiera per molti immigrati dell’area balcanica. Tali eventi laceranti hanno esercitato un’influenza notevole sulla crescita delle presenze straniere in regione; nonostante sia continuato il flusso dall’Africa e si siano affacciate sul territorio nazionalità provenienti dalle regioni asiatiche dell’Estremo Oriente, oggi in Abruzzo l’immigrazione proveniente dall’Europa balcanica e centro-orientale è quella più  rappresentativa.

Del resto, la presenza delle donne si è andata riequilibrando nell’ultimo periodo e tale crescente femminilizzazione dei flussi migratori è da considerarsi come parte fondamentale del processo di consolidamento dei nuclei familiari, come mostra anche l’aumento dei permessi rilasciati per ricongiungimento tra il 1990 e il 2000: gli uomini sono entrati per motivi di lavoro e, una volta stabilizzatisi, hanno deciso di far trasferire anche le loro famiglie.

A sua volta, l’immigrazione femminile è in gran parte impegnata nell’assistenza agli anziani, nei lavori domestici, nelle imprese di pulizia e nella ristorazione: in questo caso, spesso le donne arrivano prima degli uomini, come dimostrano le più recenti procedure di ricongiungimento familiare con mariti e figli rimasti in patria. Complessivamente, poi, il contributo degli immigrati all’economia regionale è piuttosto consistente e la rilevanza che essi hanno nel tessuto produttivo abruzzese appare anche dal volume corposo delle rimesse inviate nei loro paesi d’origine. Se a ciò si aggiunge la presenza crescente dei figli di cittadini stranieri nelle scuole regionali di ogni ordine e grado, appare fuor di dubbio che l’Abruzzo sta vivendo a tutti gli effetti una “seconda fase” dell’immigrazione, orientata a piani di vita più stabili e di lungo periodo.

La situazione migratoria attuale

L’Abruzzo mostra oggigiorno un potenziale d’integrazione medio, emergendo in un contesto meridionale nel quale l’inserimento dei migranti è di livello basso o minimo in tutte le altre regioni; d’altronde, sotto questo profilo, esso supera anche territori dell’Italia centrale, come il Lazio, o addirittura del settentrione della penisola, come la Liguria. Non a caso, in un quindicennio gli immigrati si sono praticamente decuplicati, con una tendenza a crescere in modo più sostenuto di quanto non sia complessivamente avvenuto nella nostra penisola. Dal suo canto, la componente minorile è assai significativa poiché è pari a oltre un quinto dei soggiornanti, vale a dire una quota ben più alta di quella rilevata in media alla scala nazionale e, del resto, di gran lunga superiore alla media del Mezzogiorno.

Tali fattori, abbinati a una suddivisione per sesso con prevalenza delle donne sugli uomini, nonché a un alto numero di permessi per motivi famigliari, rivelano sia una certa stabilizzazione sociale dell’immigrazione sia una tendenza al radicamento territoriale, cui soggiacciono progetti di permanenza duratura da parte degli stranieri che fanno intravedere, anche per il futuro, un processo di consolidamento ed espansione della situazione migratoria.

L’Abruzzo manifesta dinamismi positivi nei rispettivi domini provinciali e, tra di essi, il Teramano è il contesto territoriale con potenziale d’integrazione più elevato, seguito dal Pescarese, dal Teatino e, infine, dall’Aquilano, la provincia che, coincidendo in larga parte con l’area interna montana, mostra maggiori difficoltà nei processi d’inserimento sociale. Nondimeno, l’Abruzzo può considerarsi una “regione-limite” nel contesto del Mezzogiorno, sempre più assimilabile, per caratteristiche strutturali, a talune regioni centro-settentrionali. Esso è infatti diventato un polo d’attrazione per i cittadini stranieri, favoriti nella scelta dei loro percorsi d’insediamento sia dalle discrete opportunità lavorative sia dalle conseguenti possibilità d’integrazione che il territorio regionale è in grado di offrire. In proposito, si consideri che nell’ultimo lustro (2000-2005) il numero degli immigrati extracomunitari occupati è cresciuto continuamente, ogni anno senza flessione, in misura variabile per ciascuna provincia. Complessivamente, il territorio abruzzese ha visto salire la sua popolazione lavorativa extracomunitaria del 61%, passando dai quasi 21.000 occupati del 2000 ai circa 34.000 del 2005.

Più in generale, secondo le stime del Dossier Statistico Immigrazione Caritas-Migrantes, i cittadini stranieri presenti in Abruzzo agli inizi del 2006 sarebbero oltre 46.000, pari al 3,6% della popolazione regionale. Gli immigrati sono distribuiti in proporzioni diverse nelle quattro province che articolano l’organizzazione del territorio abruzzese: se l’Aquilano resta il comparto amministrativo nel quale si registra il più consistente numero di soggiornanti (oltre 14.500), esso è però ormai avvicinato dal Teramano (13.500); più distanziate risultano invece le due rimanenti province, Chieti (più di 9.500 immigrati) e Pescara (poco meno di 8.500).

In termini demografici, si tratta di una popolazione particolarmente giovane (il 71% di essa ha meno di 40 anni), a prevalenza femminile (53%) e, per quanto riguarda lo stato civile, composta in maggioranza da nuclei familiari coniugati, a eccezione della provincia dell’Aquila dove predominano gli immigrati celibi e nubili. La provenienza continentale dei cittadini stranieri presenti in Abruzzo è in massima parte europea (67%); gli immigrati d’origine africana raggiungono il 34 %, mentre gli asiatici si attestano a oltre l’11%.

Dalle “Americhe” giunge in regione l’8% dei soggiornanti, con un’alta incidenza femminile soprattutto negli immigrati d’origine latino-americana. Una percentuale ancor più elevata fanno poi registrare le donne provenienti dai nuovi paesi entrati nell’UE; al contrario gli immigrati africani sono prevalentemente maschi.

In un quadro che include la presenza di ben 190 nazionalità straniere sul territorio regionale, la graduatoria delle prime dieci più numerose in Abruzzo vede all’apice gli albanesi (20%) che distanziano ampiamente i romeni, la seconda comunità d’immigrati (13%). Seguono poi due nazionalità di consistenza analoga (tra il 7 e l’8%), i macedoni e i marocchini: questi ultimi interrompono, al quarto posto, la sequenza europea delle prime cinque posizioni, al cui completamento portano gli ucraini (7%). Cominciano a registrare una presenza ragguardevole sia la comunità cinese sia quella polacca, mentre chiudono l’elenco, in termini decrescenti, serbo-montengrini, senegalesi e bulgari.

Sull’insieme della popolazione immigrata, risultano prevalenti i permessi di soggiorno rilasciati per motivi di lavoro (poco più del 50%), seguiti dai motivi familiari (38%, valore di ben 9 punti superiore alla media italiana), dai titoli concessi per ragioni di studio (2%), per residenza elettiva e per motivi religiosi (entrambi fermi all’1%). Se la percentuale più alta di lavoro subordinato si riscontra nella provincia dell’Aquila, quella per occupazioni autonome ha il suo picco nel Pescarese; a sua volta, il Teatino mostra l’incidenza più marcata nei permessi per motivi familiari, mentre la provincia di Teramo è quella con il maggior numero di minorenni stranieri; da ultimo, i titoli di soggiorno per ragioni di studio e religiose prevalgono ancora nell’Aquilano.

Sotto il profilo della composizione nazionale, nel Teramano è maggioritaria la comunità albanese (25%), seguita da quelle cinese (15%) e romena (che sfiora l’11%). Risultano inoltre statisticamente apprezzabili le nazionalità marocchina, polacca, macedone (tutte tra il 5 e il 6%) e ucraina (4%). Per quanto attiene al mondo del lavoro, nell’ultimo quinquennio la crescita degli occupati d’origine straniera è stata la più alta in Abruzzo. Gli extracomunitari sono soprattutto impiegati nel settore industriale (44%), con una presenza schiacciante nel ramo tessile, seguito da quelli conciario, alimentare e dei metalli. Nel campo dell’edilizia, secondo settore per importanza, è poi occupato un numero assai consistente di albanesi, ma non trascurabile è anche la manodopera neocomunitaria. Nell’ospitalità alberghiera e nella ristorazione, terzo settore per rilevanza, primeggiano i cinesi. Quarto settore in graduatoria nel Teramano è infine il commercio, in cui prevalgono ampiamente gli immigrati extracomunitari. Le occupazioni autonome, infine, predominano in termini percentuali tra i cinesi e i marocchini, ma anche in una comunità più piccola come quella senegalese, mentre quelli per ragioni di famiglia sono prevalenti tra i venezuelani, con un’alta incidenza degli emigranti di ritorno, e ciò vale anche per gli argentini.

Nei due comparti amministrativi di Pescara e Chieti, territorialmente contigui e affacciati sulla costa adriatica, si verifica una situazione migratoria ben differenziata ma, per certi aspetti, complementare. Il Pescarese ha la popolazione straniera mediamente meno giovane ma più femminilizzata a livello regionale, mentre quella del Teatino è relativamente più giovane e con un’inferiore presenza di donne, per quanto sempre molto alta. In provincia di Pescara si riscontra poi tra gli immigrati la più alta percentuale di divorziati e separati alla scala abruzzese, nonché dei vedovi; per contro, in quella di Chieti troviamo il più alto valore assunto dai coniugati.

I cittadini stranieri provenienti dall’Europa balcanica e centro-orientale costituiscono quasi il 74% degli immigrati nella provincia di Chieti, con un’evidente preponderanza degli albanesi (35%), numericamente più che doppi rispetto ai romeni (17%), seconda nazionalità per numero di soggiornanti. A distanza seguono i marocchini che, interrompendo l’omogeneità continentale europea, nel 2005 hanno superato le comunità ucraina, polacca e macedone. Pur essendo prevalenti anche in provincia di Pescara le provenienze balcaniche e centro-orientali europee, la popolazione straniera è tuttavia meglio distribuita. Qui non si ha una nazionalità nettamente predominante e, pur emergendo gli albanesi (14%), essi sono ormai tallonati dalla comunità ucraina (12%). Vengono poi i romeni (11%), seguiti da cinesi (8%), senegalesi (6%), macedoni e polacchi (entrambi a poco più del 4%). Così, il Pescarese è la provincia che, con la sue presenze diversificate, più si avvicina all’idea di società multietnica e multiculturale.

In entrambe le province il mercato del lavoro mostra un certo dinamismo nei confronti degli immigrati. Nel Teatino la maggior concentrazione di occupati extracomunitari si verifica nei settori delle costruzioni e della sanità. A loro volta, i neocomunitari fanno sentire la loro presenza nei settori alberghiero e della ristorazione, edile e dei servizi pubblici. Le nazionalità albanese, romena, ucraina e polacca prevalgono nelle attività di tipo subordinato; le occupazioni autonome sono invece appannaggio soprattutto dei marocchini e degli albanesi, segnatamente nei settori commerciale, manifatturiero ed edile. Dal suo canto, la provincia di Pescara è il territorio abruzzese che fa registrare la più elevata percentuale di addetti stranieri nel settore dei servizi. Tuttavia, la massima concentrazione occupazionale dei cittadini extracomunitari si registra nel settore delle costruzioni, nell’ospitalità alberghiera e nella ristorazione, nell’industria tessile, ma anche nel commercio; per converso, i neocomunitari sono impegnati soprattutto in agricoltura. Il lavoro autonomo, percentualmente massimo nel Pescarese e con un peso preponderante nel commercio, è qui svolto anzitutto da senegalesi e cinesi tramite imprese in gran parte individuali. Il lavoro dipendente, a sua volta, vede il prevalere delle comunità ucraina (con le donne impegnate anzitutto come domestiche e assistenti domiciliari), romena e albanese.

E veniamo infine all’Aquilano, la provincia che a livello regionale ospita la popolazione straniera mediamente più giovane - con una forte concentrazione nella classe d’età tra i 19 e i 40 anni (64%) - e a più spiccata caratterizzazione maschile. Ciò dipende anche dal tipo di occupazione prevalente sul territorio provinciale, dove la più ampia quota d’immigrati extracomunitari si concentra nel settore primario. Qui i cittadini macedoni (16%), benché ormai quasi raggiunti dai romeni, conservano ancora il primato come nazionalità maggiormente diffusa: insediati prevalentemente nell’alto Appennino e spesso non sposati, svolgono lavori legati soprattutto alla pastorizia. In ambito agricolo si mettono poi in luce gli immigrati originari del Marocco (terza nazionalità, con il 14%), impegnati anzitutto nelle coltivazioni intensive e nell’agro-industria del bacino fucense. Essi si dedicano anche al commercio, attività in cui emergono pure le imprese autonome di cinesi, iraniani e libanesi. Secondo settore per importanza è quello delle costruzioni dove, tra i lavoratori autonomi, si segnalano gli albanesi (quarta comunità per numero di soggiornanti), i serbo-montenegrini e i romeni, mentre nella gestione degli alberghi e della ristorazione prevalgono i cinesi e ancora i romeni.

D’altra parte e sotto un profilo più generale, nell’Aquilano le nuove assunzioni degli immigrati nel 2005 sono risultate pari a un significativo 39% di quelle concernenti gli italiani: ciò significa che, in media, su 10 assunzioni quasi 4 hanno coinvolto cittadini stranieri. Si tratta di un dato importante che, unito al quadro complessivo delle altre province, svela il volto di una regione che si conferma tra le più dinamiche del Mezzogiorno, anzitutto grazie alla quantità di assunzioni registrate e alla positività del saldo annuale. Mentre il Sud del nostro paese, essendo già problematico per gli italiani sul piano occupazionale, stenta a offrire stabili opportunità lavorative e solide prospettive di integrazione sociale per gli stranieri, in Abruzzo il grado di inserimento nel mondo del lavoro è forse l’elemento cruciale per testimoniare il livello di accettazione degli immigrati, in quanto influisce in modo fondamentale sul loro profilo di vita e su quello delle rispettive famiglie. Il lavoro costituisce infatti, come è noto, il requisito essenziale per l’inclusione a pieno titolo in una specifica realtà sociale e territoriale: quella abruzzese, già concretamente avviata sulle strade dell’integrazione, consente dunque di ben sperare anche per un prossimo domani fatto di convivenza e condivisione.