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I movimenti migratori in Abruzzo e Molise (D.A. Scotti)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/06


 

I movimenti migratori, sempre esistiti nella storia dell’uomo, raramente hanno all’origine una scelta personale, ma nella quasi totalità trovano la causa in un’organizzazione diseguale dell’economia e della società che obbliga alla mobilità masse enormi di popolazione.

Le disuguaglianze di sviluppo tra aree di uno stesso paese o di continenti diversi impone a masse enormi di forza lavoro l’abbandono del luogo di nascita e di formazione culturale per spostarsi in zone diverse dove cercare lavoro a condizioni il più delle volte imposte dal potere economico.

Questa violenza operata dalle strutture politiche e sociali sugli emigranti mette questi ultimi in condizioni di gravi difficoltà esistenziali, perché, lungi dal cercarne un’integrazione accettabile nei nuovi ambienti di lavoro, ne fa unicamente un lavoratore non protetto e quindi soggetto a condizioni d’impiego discriminatorie rispetto alla manodopera locale.

Ovviamente con il trascorrere degli anni gli emigranti tendono ad integrarsi nel territorio di arrivo, ma, se questo aumenta la coscientizzazione sui propri diritti, provoca anche una profonda alienazione sul piano dell’identità culturale, sociale e religiosa.

Tale fenomeno ha interessato anche il nostro paese. Se gli italiani residenti all’estero nel 1861 erano solo 230.000, nel 2006 essi sono diventati 3.106.251 presenti per il 60% in Europa e per il restante 40% nel resto del mondo, ma in modo prevalente in America.

Più della metà degli italiani nel mondo proviene dal Meridione. In particolare su cento residenti in Abruzzo quindici sono all’estero, mentre per il Molise della popolazione residente un quinto (27,3%) è espatriata.

Le due più forti ondate migratorie si sono registrate tra la fine dell’Ottocento ed i primi anni del Novecento e nel Secondo Dopoguerra. Negli anni cinquanta emigrarono una media di circa 300.000 unità all’anno.

Dopo anni di emigrazione italiana oltreoceano, la direzione del fenomeno si orientò verso i paesi europei all’esterno e dalle regioni meridionali verso le aree industrializzate dell’Italia settentrionale. Il fenomeno vede un’inversione di tendenza solo negli anni ‘70 con il cosiddetto ‘miracolo economico’, ma intanto nelle regioni meridionali dell’Italia esso aveva prodotto danni umani e sociali devastanti.

In particolare nell’Abruzzo e nel Molise, delle quali ci interessiamo nella nostra analisi, assistiamo negli anni che vanno da fine Ottocento al Secondo Dopoguerra ad una vera e propria frana demografica che impoverisce le due regioni di forza lavoro giovane e provoca un invecchiamento della popolazione. Oltre alle cause generali di cui parlavamo prima, le ragioni della fuga degli abruzzesi e molisani dalla propria terra vanno ricercate nella carenza sistematica di piani di sviluppo in grado di dare loro una sia pur tenue speranza di vita accettabile all’interno della propria regione.

La politica dei cosiddetti poli di sviluppo poi, messa in atto negli anni settanta, ha creato nelle due regioni delle aree circoscritte di espansione industriale, ma ha finito per penalizzare ulteriormente i territori montani interni, nei quali ormai molti sono i Comuni che non superano i cento abitanti.

Purtroppo nelle due regioni, al di là dei dati bibliografici e delle documentazioni di archivio, non esistono se non da qualche anno soggetti e gruppi che operano con continuità e criteri interdisciplinari sul piano della ricerca e dell’approfondimento storico e culturale.

Mentre ad esempio nella nostra area territoriale si conosce il tributo che anche le regioni meridionali hanno dato a Marcinelle in Belgio, pochi conoscono il numero elevato di novecentocinquantasei morti, tra cui tanti emigranti abruzzesi e molisani nella miniera di Monongah in West Virginia il 6 dicembre 1907. Un professore di Duronia (CB), Umberto Berardo, nel suo volume “Storie di vita” espone per la prima volta in un racconto tale episodio finora tenuto fuori dai manuali di storia. Il paese molisano che ha avuto più morti nella tragedia di Monongah è stato proprio Duronia che ha perso in quella miniera ben trentasei persone.

Conoscere questi martiri del lavoro italiano all’estero significa dare alle nuove generazioni una testimonianza storica importante su uno degli aspetti fondamentali del fenomeno dell’ emigrazione.

Lodevole la nascita in Molise di un Centro Studi Molisani nel Mondo che si propone di aumentare il patrimonio di documentazione e conoscenze sulla diaspora dei molisani dandone memoria ai giovani, di realizzare uno degli assi di sostegno della rete dei molisani nel mondo, di aggiungere un fattore propulsivo ai processi di internazionalizzazione, di coordinare le diverse iniziative pubbliche, associative ed individuali per sviluppare un processo di integrazione interculturale.

L’Abruzzo ed il Molise ovviamente non sono solo terre di emigrazione, ma anche di immigrazione. Antiche comunità di albanesi e croati sono presenti soprattutto nel Molise. E difficile dare cifre precise sulla presenza di stranieri da noi, perché spesso si tratta di clandestini, ma i dati parlano di poco più di ventimila presenze di immigrati in Abruzzo e di poco più di duemila in Molise.

Le chiese diocesane si sono sempre attivate attraverso le parrocchie per aiutare i disoccupati a superare le difficoltà burocratiche per l’espatrio, ma si sono anche rese operanti per mantenere un rapporto di evangelizzazione con i cittadini emigrati, dando loro attenzione e sostegno nella difficile condizione di vita iniziale nei paesi di arrivo e cercando con i cosiddetti “Bollettini parrocchiali” di costruire un ponte di dialogo tra loro e quelli rimasti nei paesi di origine.

Un tempo le distanze rendevano difficile le relazioni ed il dialogo, ma oggi le moderne tecnologie facilitano il rapporto con quanti sono andati via dal paese di origine a cercare migliori condizioni di vita.