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Il punto sulla famiglia immigrata in Italia (B. Mioli)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/06


 

Quante le famiglie coinvolte nelle migrazioni?

Se qualcuno chiedesse che gli si fornisca, come dato previo per ogni altro discorso sulla famiglia migrante, quante sono con esattezza queste famiglie coinvolte nella vicenda migratoria, facilmente rimarrebbe un po’ deluso della risposta, perché questa deve tenere conto di un ventaglio di situazioni molto diverse e complesse. Non mancano dati precisi, questi però non bastano a tracciare il quadro completo. Questi sembrano gli elementi più rilevanti per dare completezza al quadro anche sotto l’aspetto quantitativo.

1. Appena due anni addietro in Italia gli stranieri celibi-nubili erano il 46,3% mentre i coniugati erano ancora al di sotto della metà (49,9%). All’inizio del 2006 fra i 3.035.000 immigrati regolari, i non sposati erano scesi al  43,8% e gli sposati erano saliti al 52,7% (cui è da aggiungere una frangia del 3,5% di vedovi, separati e divorziati). Continua dunque un rapido divario fra le due categorie, in continuità con quanto si sta verificando dall’inizio di questo decennio e si può pertanto calcolare che oggi i coniugati siano circa 1.600.000, ma sarebbe indebito concludere che i nuclei familiari costituiscano la metà di tale cifra, dal momento che in molti casi un coniuge è in Italia, l’altro coniuge è al Paese di origine.

2. è da sottolineare la rapida crescita dei ricongiungimenti familiari, passati dai 16.000 di cinque anni fa ai 78.000 del 2004 e ai 94.000 dello scorso anno; non è detto che vi corrisponda esattamente la ricomposizione di altrettanti nuclei familiari, perché più ingressi per motivi familiari possono riguardare la medesima famiglia, ma si tratta di numeri molto significativi per la causa dell’unità del focolare domestico.

3. Purtroppo è notevole anche un fenomeno di segno contrario a quello ora accennato e non tanto per il rientro in patria di uno dei due coniugi e di conseguenza per la scomposizione del nucleo familiare, quanto per l’invio al paese di origine ancora in tenerissima età di figli nati in Italia. Ne sono particolarmente interessati lo Sri Lanka e le Filippine. Motivo ufficiale è la possibilità per il bambino di apprendere lingua e cultura del posto; motivo prevalente sembra essere la libertà di dedicarsi al lavoro, eventualmente di ambedue i coniugi, senza il condizionamento della cura del bambino.

4. Realisticamente è da tenere presente che la forzata lontananza del coniuge può mettere a dura prova la reciproca fedeltà e provocare altre unioni di fatto, senza procedere a una formale separazione o dichiarazione di divorzio. Indagini accurate hanno indotto a ipotizzare che fra le coppie latino-americane una su tre abbiano costituito una nuova famiglia. Si aggiunga che le libere convivenze, senza vincolo nemmeno civile di matrimonio, così frequenti tra gli italiani, non lo sono di meno tra italiani e stranieri oppure tra gli stessi stranieri.

5. E infine vanno in qualche modo assimilate a queste famiglie straniere quelle originate da matrimoni misti e quelle che hanno già acquisito la cittadinanza italiana; giuridicamente queste famiglie non sono “immigrate”, però portano chiari i tratti, non soltanto somatici, che delle famiglie immigrate condividono più di un aspetto e di problema, in particolare per quanto riguarda i figli.

Quanto ai figli minori va segnalato il rapido aumento a motivo dei ricongiungimenti ma soprattutto per le nuove nascite, che nel 2005 hanno raggiunto in Italia le 53.000 unità. Non fa pertanto meraviglia che nell’anno in corso si siano aggiunti nelle nostre scuole 70.000 alunni stranieri, portando la loro presenza globale a oltre mezzo milione e facendo prevedere ormai prossimo il traguardo di 100.000 unità annue. Anche questo è un fenomeno che tocca da vicino la famiglia immigrata, anzi tutta la società italiana.

La normativa italiana sulla famiglia immigrata

Noi italiani siamo un po’ portati a denigrare le cose nostre, enfatizzando i limiti e le disfunzioni, senza tenere un occhio aperto su quanto c’è di positivo e che probabilmente ci colloca un passo avanti su altri Paesi europei. è il caso delle politiche riguardanti la famiglia immigrata. Quanto detto sui ricongiungimenti familiari, già consentiti e promossi con la prima legge sull’immigrazione del 1986, dovrebbe farci intendere che anche in Italia, pur zoppicando, si cammina. Una certa restrizione e complicazione burocratica si è avuta con modifiche nel 2002, ma non va dimenticato che gli ingressi per motivi di famiglia negli anni 2004 e 2005 hanno toccato il vertice sopra riportato, in pieno regime Bossi-Fini. Quindi la porta è stata, almeno sulla carta, un po’ socchiusa e in tanti casi si è messo a dura prova la pazienza di chi è stato sottoposto ad esasperanti attese, dopo le quali però è arrivato il momento per l’abbraccio dei ricongiunti.

Dette restrizioni sono state rimosse nel luglio scorso con un decreto legislativo in applicazione di una Direttiva dell’Unione Europea, grazie alla quale viene allargato il criterio per l’ingresso in Italia sia dei figli maggiori che non siano autosufficienti sia dei genitori in condizione di particolare precarietà.

Comunque è più che legittimo insistere per una maggiore adeguatezza della legge a criteri di civiltà e al rispetto dei diritti umani fondamentali, ma ancor prima per una adeguata informazione e sensibilizzazione su quanto la normativa già oggi consente.

Aspetti positivi sulla famiglia straniera

Il dispositivo della legge sulla famiglia immigrata non provvede soltanto al ricongiungimento, ma più ampiamente a tutelare “il diritto all’unità familiare”, si estende poi a tutto il problema dei minori, della salute, dell’integrazione e della prevenzione e contrasto delle discriminazioni razziali; e non ultimo vantaggio è che il familiare adulto, uomo o donna, una volta entrato in Italia, da subito può fare ingresso nel mondo del lavoro e far lievitare il bilancio familiare.

Purtroppo a quanto c’è sulla carta non corrisponde sempre una autentica volontà politica e tanto più una soddisfacente efficienza dell’apparato burocratico. Per fortuna non tutto dipende dalla legge, non tutto piove dall’alto; c’è un sistema di forze sociali, di associazioni e movimenti di solidarietà, fra i quali distinguono quelli di ispirazione cristiana, che integrano quanto viene offerto dall’apparato pubblico e spesso, troppo spesso, devono fare opera di supplenza per i tanti ritardi e inadempienza di chi avrebbe il compito istituzionale di provvedere.

L’immigrato però, nel più dei casi, non sta lì soltanto ad attendere dagli altri; si fa strada anche per conto suo, sente la responsabilità del suo progetto migratorio, particolarmente quando questo non è progetto suo individuale ma per tutta la famiglia. E ringrazia il cielo se trova via libera per provvedere da se stesso; e in Italia sembra che questa via non venga sempre sbarrata. E così ti trovi di fronte a situazioni inaspettate come le seguenti: il tasso di disoccupazione è pressoché il medesimo degli italiani, non va oltre l’8%, anche se tanto spesso si tratta di lavoro precario; tantissimi ormai lavorano in proprio o in piccole aziende a conduzione familiare; oltre un milione e mezzo di auto e di patenti ha per titolare uno straniero; nell’11% dei casi ad acquistare nel milanese un immobile è uno straniero e le banche, fino a qualche anno fa riottose e sospette nel far credito all’immigrato, ora si contendono il cliente di colore che vuole accendere un mutuo per l’acquisto della casa; sono decine ora le testate di periodici stampati qui tra noi in tutte le lingue; si consolida la voglia di associazionismo tra gli immigrati e si rafforza la loro presenza nei sindacati; e soprattutto, come già si diceva, i figli di immigrati siedono in numero rapidamente crescente sui banchi della scuola e tornando a casa fanno respirare in famiglia aria italiana.

Tutti segni che l’immigrato, pur con tanta fatica e paziente tenacia, si sta facendo strada e ritiene che la sua permanenza in Italia sia ormai definitiva o almeno di lunga durata. Il processo integrativo dunque è in pieno sviluppo. Naturalmente non si sta tracciando l’immagine di tutti gli immigrati, ma dell’immigrato tipo, quello che non ha niente a che fare con certe cronache di giornali, cronache particolarmente di cronaca nera. Ci sono anche i socialmente disadattati e pericolosi, quelli che hanno a che fare con la giustizia, quelli che popolano le carceri; ma la grandissima maggioranza di costoro vengono dalle fila della clandestinità; degli oltre tre milioni di regolari conosce il carcere in numero non maggiore degli italiani. Questo il contesto socio-economico in cui vive e cresce la famiglia immigrata e tale contesto sembra decisamente positivo.

Aspetti problematici o negativi

Un contesto sostanzialmente positivo, si diceva, per la famiglia immigrata, ma con tutti i suoi chiaroscuri talvolta dalle tinte anche forti; e tanti problemi rimangono aperti. A cominciare per molti dall’incertezza del progetto migratorio; ne è una spia il fatto stesso del rapido crescere delle rimesse, particolarmente verso alcuni Paesi di origine, segno che mente e cuore, oltre che gli investimenti, guardano ancora in modo molto forte verso il Paese di origine e niente di male se tale sguardo non contrastasse con il “qui oggi” in cui è immersa la vita quotidiana fino a rendere vago e instabile il progetto per il futuro e tentennante il processo integrativo. In famiglia non si parla tanto di questa ambiguità, ma la si vive, la si soffre, specialmente quando si guarda in faccia i propri figli e ci si interroga su dove e come sarà il loro domani.

Problemi seri sono connessi anche con lo squilibrio dei sessi, che non figura  dal quadro globale che ha portato ormai ad una parità quasi assoluta le percentuali di maschi e femmine; sta il fatto che al di dentro delle singole comunità etniche lo squilibrio è molto forte fino a portare a una prevalenza femminile di due terzi fra le donne, ad esempio, delle Filippine o dell’America Latina, aree di religione cattolica, e ad una prevalenza ancora maggiore degli uomini dei Paesi del Maghreb di religione musulmana. Sono più che evidenti i riflessi di questa situazione su quanto attiene alla famiglia.

Si è già accennato alle provocazioni cui è sottoposto chi è già legato da un vincolo matrimoniale e la facilità, per chi non vi è ancora legato, a risolvere la crisi di solitudine con facili convivenze secondo l’andazzo dilagante nel nostro mondo occidentale. Fenomeno molto triste è il ricorso all’aborto, cinque volte più frequente che fra le donne italiane. Comprensibili svantaggi anche per il singolo ma tanto più per il gruppo familiare il facile spostamento dovuto soprattutto ad esigenze di lavoro; si compromette quel fragile equilibrio interno della famiglia  e l’altrettanto fragile contatto col mondo esterno, che è duro ricostruire altrove; è duro poi per i figli inserirsi senza eccessivi traumi in altro ambiente scolastico.

Giovanni Paolo II in apertura del suo Messaggio per la Giornata Mondiale delle Migrazioni del 1987 invita a “volgere lo sguardo alle famiglie coinvolte nelle migrazioni” con queste parole: “Si tratta di situazioni complesse e difficili da risolvere, che risultano al centro di tanti problemi e costituiscono quasi il punto più vivo, più acuto e spesso più doloroso di tutto il grande fenomeno migratorio. La famiglia infatti sembra essere la struttura più fragile più vulnerabile e, di fatto, maggiormente investita dagli aspetti scabrosi e negativi della migrazione. Ciò risulta evidente tanto se si considerano le condizioni che affliggono le famiglie lasciate dai migranti, quanto se si riflette sulle difficoltà delle intere famiglie che emigrano  che si formano in terra straniera, quanto infine se si pensa ai non pochi problemi emergenti per questi nuclei familiari che sorgono dall’incontro di persone di differente cultura, lingua, religione, costume”.

Appello alla comunità ecclesiale

Il Papa non si limita a indicare i guai e i pericoli per la famiglia in immigrazione, dà anche preziose indicazioni per prevenirli e per porvi rimedio. La stessa Migrantes in più occasioni è entrata in argomento, particolarmente nel seminario promosso assieme a Caritas Italiana e Ufficio per la pastorale della famiglia nel 1999. La Migrantes inoltre è membro del movimento europeo per il diritto di vivere in famiglia ed ha partecipato a diverse iniziative per il miglioramento della normativa sulla famiglia immigrata e problemi annessi. In più sedi dunque si è riflettuto su questo punto centrale della pastorale migratoria e si sono date molteplici indicazioni sul servizio che la Chiesa locale ha il compito e la possibilità di offrirle, come risulta da altri articoli di questo fascicolo. Qui ci limitiamo a qualche rapido accenno:

1. Pare che poche parrocchie si pongano il problema di una pastorale specifica per le famiglie immigrate o, meglio ancora, di includere queste famiglie nell’ordinaria pastorale familiare. è ora di prenderne coscienza e di esprimere a queste famiglie il benvenuto con qualche gesto significativo, come potrebbe essere il cordiale saluto al gruppo familiare incontrandolo per strada o la tempestiva visita in casa da parte del parroco.

2. Niente è più gratificante ed efficace della schietta amicizia e vicinanza tra famiglia italiana e famiglia immigrata; i figli a scuola annodano presto tra loro questa amicizia, e perché no per gli adulti, particolarmente per la donna di casa che col suo genio femminile può non soltanto guardare in faccia la donna immigrata o scambiare parole di convenienza, ma sa entrare in confidenza, in profondità per coglierne gli sfoghi e le più intime esigenze sulla vita matrimoniale in un contesto culturale così diverso da quello che emigrando ha lasciato ed al quale deve pure adattarsi.

3. La parrocchia o il territorio sono dotati di organismi e strutture, capaci di dare valido aiuto non solo materiale, come i centri di ascolto, la Caritas, gli oratori e centri giovanili per i minori ed altri servizi più specifici, quelli ad esempio prestati dai consultori familiari, dai centri per la vita, dai gruppi di spiritualità familiare, dal Forum delle associazioni familiari. Inoltre è importante che anche in questo settore specifico si metta in atto quella pastorale d’insieme che, sotto un’unica regia, coordini e armonizzi tutti i possibili interventi e orientino, facilitandone l’accesso, ai servizi sociali prestati dagli enti pubblici.

4. La stessa famiglia immigrata va stimolata a gestire la propria condizione da vera protagonista e con piena responsabilità pur valorizzando con  riconoscenza tutti gli aiuti che potrà ricevere da altri.

Va quindi promosso l’associazionismo tra famiglie immigrate oltre che con quelle italiane, va promossa la solidarietà reciproca così che “fratello aiuta fratello” possa tradursi in “famiglia aiuta famiglia”; va inoltre sollecitata la famiglia a chiarire il più possibile il suo progetto migratorio, perché l’incertezza e il rinvio della decisione è di danno per la famiglia ed in particolare per i figli. Per quanta simpatia proviamo con la famiglia immigrata e comprensione per i suoi seri problemi, ci pone un inquietante interrogativo la scelta, già accennata, di inviare presso zii e nonni nel Paese di origine i bambini ancora in tenerissima età: è proprio per salvaguardare la originaria identità linguistica culturale o per essere più liberi ambedue i coniugi a lavorare non per sopravvivere ma per guadagnare il più possibile? Non può subentrare anche qui quella “sacra auri fames” che ha compromesso non tanti anni fa anche molti emigrati italiani?  Su questo problema come su diversi altri è doveroso essere chiari ed anche forti, sarebbe dannoso inganno voler mettere anzitempo un’aureola sul capo di costoro per il solo fatto che sono immigrati.

5. Ed infine sarà utile per noi italiani rinfrescare la nostra memoria; è passato solo qualche decennio da quanto questa stessa vicenda migratoria ha provato duramente milioni di nostre famiglie. Sarebbe penoso se questa memoria non desse per le nuove famiglie arrivate un supplemento di attenzione e di solidarietà.

Piace concludere con le parole stesse con cui Giovanni Paolo II concludeva il suo secondo Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante quella del 1994 ove cita la Familiaris consortio (n. 85): “Possa la comunità cristiana, grazie allo spirito di accoglienza che deve animarla, farvi sentire concretamente che la Chiesa è casa e famiglia per tutti”.