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Messaggio del Presidente della CEMI (L.B. Belotti)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/06


MESSAGGIO DEL PRESIDENTE DELLA CEMI

 

Lino Bortolo Belotti

 

Giornata del migrante… cioè della famiglia migrante, perché in ogni tipo di migrazione vi è quasi sempre coinvolta, in prima persona, una famiglia. Anche quando parte il singolo, la partenza porta a un distacco, che spesso è strappo lacerante per tutti i membri della famiglia, come pure, anche se meno spesso, l’approdo ad altro Paese è ricongiungimento ed abbraccio caloroso fra chi ha sofferto per lungo tempo lontananza e solitudine. E poi chi emigra  ha un progetto che lo sorpassa: sia chi invia mensilmente le rimesse ai familiari e punta alla costruzione di una sua casa da godersi assieme ai suoi al ritorno in patria, sia chi accantona i risparmi per potersi fare finalmente una sua famiglia dove ha trovato lavoro o poterla richiamare da lontano per vivere finalmente tutti assieme al calore di un proprio focolare.

Ormai non si canta più “Partono i bastimenti per terre assai lontane”, quel melodioso canto d’epoca dalla forte venatura romantica; però sono consultabili negli archivi, anche della Migrantes, quelle foto sbiadite in bianco e nero, anch’esse d’epoca,  che ti mostrano sulla banchina o sul ponte della nave sagome di uomini  mescolati a  donne e bambini: famiglie al completo che emigrano oltreoceano, proprio come oggi dalle carrette del mare provenienti dall’altra sponda del Mediterraneo vedi scendere fra tanti giovani anche interi nuclei familiari. Sono solo alcuni spunti di un ricco campionario di situazioni che fanno della famiglia la protagonista della vicenda migratoria.

La famiglia dunque sta al centro, anche se nello scenario dei movimenti migratori non la vedi sempre in primo piano; però nella prossima Giornata del Migrante questa sua centralità viene resa esplicita con piena evidenza e così tematizzata: “Famiglia migrante, parabola di comunione nella diversità”. Proporre questo tema significa che la Chiesa invita le nostre comunità e i singoli credenti a guardare non da incuriositi o con l’interesse semplicemente dello storico o del sociologo questo fenomeno della mobilità umana, ma con occhio che è espressione di una sincera partecipazione umana e cristiana a questa vicenda che soprattutto per noi italiani si trascina da generazioni. Anzi, se rinfreschiamo la memoria, potremo domandarci se anche noi nei decenni passati non abbiamo avuto un qualcuno di casa nostra che ha provato sulla sua pelle questa esperienza migratoria.

La Giornata non ci pone davanti solo i “classici” emigranti che vanno all’estero per motivi di lavoro. Al recente Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona erano presenti, quali invitati d’onore, anche trenta immigrati cattolici e fra questi spiccava per la sua brillante tinta nera Belyse, scappata oltre una decina d’anni fa con la mamma e gli altre tre fratelli dal Burundi all’inizio della furibonda guerra civile, della quale è rimasto vittima anche suo papà. Fuggiti dal Burundi questi bambini con la mamma hanno vagabondato tra Rwanda e Congo per due anni prima di trovare scampo in Italia. Mi domando come il 14 gennaio prossimo sarà celebrata in casa di Bélyse la Giornata della famiglia migrante e nella parrocchia dove mamma e figli sono parte attiva. Aggiungo un mio riferimento personale: negli anni che fui Direttore Generale della Fondazione Migrantes ebbi frequenti occasioni di fare visita ai circhi per incontrare la gente dello spettacolo viaggiante e appena ti mettevi a parlare con qualcuno di loro subito ti correvano attorno frotte di bambini; già, dentro a quelle carovane non c’erano solo artisti, ma famiglie di artisti. La stessa cosa mi succedeva tra gli zingari, partecipando a qualche loro convegno, magari all’aperto; gli adulti li avevi davanti e sullo sfondo vedevi i più piccoli ruzzolare sull’erba. Era impossibile invece imbattersi su qualcosa di simile nelle “Stella maris” dei porti italiani, frequentate solo da uomini, dai marinai in libera uscita per qualche ora, non per divertirsi o fare un giro turistico in città, ma per stringere tra le mani la cornetta  di un telefono e sostare a lungo in conversazione con i propri cari in ascolto, probabilmente, nell’altro emisfero; se poi rimaneva del tempo, ci si sedeva in cerchio e  il discorso andava a finire sulle ultime notizie ricevute da casa.

è tutto un mondo in mobilità, appunto il “people on the move”, che interessa a livello planetario duecento milioni di persone con le loro famiglie, a livello nazionale più di tre milioni di connazionali all’estero e quasi altrettanti immigrati in Italia, oltre al grande numero di rom e sinti, di circensi e lunaparkisti, di gente del mare.

Dicevo prima: guardare con senso di partecipazione umana a questo campionario di umanità che ci sta davanti e su questa piattaforma “umanitaria” credo che tanti italiani; compresi quelli che sono piuttosto al margine della vita ecclesiale, non rimangano indifferenti al messaggio. Ci preme però sottolineare che la Giornata vuole ridestare un vivo senso di partecipazione cristiana, alimentata alla genuina fonte della Parola di Dio. Infatti non possiamo sfogliare le pagine della Bibbia senza sentire un brivido di inquietudine quando leggiamo già nelle prime pagine (cf. Gn 4, 9): “Che ne hai fatto di tuo fratello? E altrettanto  non possiamo non aprire il cuore a un esaltante grido di speranza nell’attesa di sentirci dire alla fine dei tempi: “Venite, benedetti,… perché ero forestiero e mi avete ospitato” (Mt 25, 34–35). Parole che assumono una ricchezza di significati, il primo dei quali è quello rigorosamente letterale, come ci ricordano le recenti celebrazioni natalizie: Gesù nasce da una famiglia che si trova fuori casa e fuori patria e, giunta a Gerusalemme, si vede sbattere la porta in faccia,  costretta perciò a trovare riparo tra gli animali di una stalla. E poi la fuga precipitosa verso l’Egitto per un soggiorno a tempo indeterminato e un ritorno quasi da clandestini perché il tragitto per la Giudea poteva nascondere altre insidie. Non può non colpire il fatto che questo Bambino, che diciamo di stirpe regale,  inauguri la sua vita terrena con questo drammatico andirivieni assieme alla sua famiglia; non è un incidente di percorso, rientra nei disegni di Dio che questo Bambino nasca non a Nazareth ma a Betlemme e ricalchi le orme dei padri rifugiatisi e poi liberatisi dall’Egitto. Sta dunque bene la Festa della S. Famiglia nel cuore delle celebrazioni natalizie e dovrebbe risultare spontaneo per la nostra sensibilità cristiana, a pochi giorni dalla chiusura del periodo natalizio, mettere in connessione la Famiglia di Gesù con le tantissime famiglie che ne condividono oggi la sorte di migrazione e di esilio. Va però tenuto presente che per la Famiglia di Nazareth non tutto è stato rifiuto, indifferenza ed esodo forzato, c’è stata pure l’affettuosa accoglienza da parte di Simeone e Anna, dei pastori e dei magi, un’accoglienza che la comunità cristiana è chiamata a dimostrare oggi verso chi arriva tra noi, anche se è “altro”, se è “diverso” da noi.

Parola conclusiva: la storia dell’infanzia mette il Salvatore e la sua Famiglia a capofila di questa interminabile carovana di migranti. Diciamo di più: la sua stessa preistoria ci fa risalire ad altra famiglia di emigrati, come ci racconta il libro di Rut, da cui ha origine David e tutta la genealogia che porta fino a Gesù di Nazareth. Quel Gesù che, misteriosamente identificato ai migranti, continua a percorrere le nostre strade e bussare alla nostra porta.