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Emigrazione italiana in Germania (G. Homeyer)
Il

Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 4/06


Da un ampio studio di una ricercatrice tedesca occupata presso l’Università di Calabria, Gerda Homeyer, su “L’emigrazione italiana sotto l’aspetto economico, politico e religioso”, stralciamo la parte, interessante e movimentata, sulla Volkswagen di Wolfsburg, una situazione unica e forse emblematica per la Germania. Ringraziamo la ricercatrice per questo suo contributo. (sr)

Patto di amicizia Hitler-Mussolini del 23 novembre 1938

Situazione prima della II Guerra mondiale

Nel 1937-38 iniziarono le trattative per l’accordo cultuale e/o di emigrazione, poi firmato in data 23 novembre 1938, tra il regime nazista di Hitler e il regime fascista di Mussolini. Inizialmente furono chiamati 2.500 lavoratori per l’agricoltura di cui 500 con permesso permanente e 2.000 come lavoratori stagionali. In seguito ad una integrazione dell’accordo il numero salì dopo un anno a 31.071 e dopo due anni a 36.000 per arrivare nel 1940/41 a 50.000/53.829 nel settore dell’agricoltura. Il Mantelli (1992)1, pagine 148/152, riporta le città di provenienza oltre al numero degli operai che vanno a lavorare in Germania; ad esempio 200 persone da Cosenza. Oltre la richiesta di lavoratori per l’agricoltura il Terzo Reich richiedeva anche forza lavoro per l’edilizia, per le miniere e per le fabbriche (metalmeccanici).

Il numero complessivo degli operai italiani nel settembre 1941 è pari a 216.834, di cui 177.823 nell’industria cioè l’87,2%. Il governo tedesco ne avrebbe desiderato un numero ancora maggiore. Comunque gli italiani si spostarono volentieri in Germania sia per un salario alto e garantito sia per sottrarsi al servizio militare.

Nel periodo tra l’autunno del 1938 fino alla fine del 1939 arrivarono 9.500 operai per l’edilizia che vennero distribuiti nel seguente modo: 2.400/3.000 furono mandati a KdF (Kraft-durch-Freude-Stadt, Fallersleben) per la costruzione della fabbrica Volkswagen e della città KdF ed altri a Salzgitter per costruire le acciaierie; altri ancora ad Hagen per costruire una azienda di accumulatori, nella Slesia superiore nella fabbrica chimica IG-Farben e poi, a partire dal 1941, per costruire bunker soprattutto nel bacino della Ruhr, ossia nella Renania Vestfalia.

Ritorniamo al 1938 e ai circa 2.400 italiani mandati a KdF per completare la costruzione della fabbrica Volkswagen (auto del popolo). La città si è sviluppata a sud dell’area industriale, fondata con il nome Kraft-durch-Freude-Stadt (KdF) che significa “città-della-forza-attraverso-la felicità”2. è interessante il fatto che sin dall’inizio dell’emigrazione italiana a KdF veniva pubblicato un periodico bilingue curato dalla direzione della Volkswagen che, purtroppo, alla fine dell’anno 1941 cessò di esistere.

Hitler voleva creare una città modello secondo le sue idee. Il giovane architetto austriaco Peter Koller protetto anche dall’architetto Albert Speer - l’architetto prediletto in assoluto dal regime nazista - progettò per intero sia la città che la fabbrica. La prima pietra per la costruzione fu posta da Hitler il 26 maggio 1938. In seguito furono chiamati operai non solo da tutta la Germania ma anche dai paesi occupati dal regime.

Per la politica di Hitler fu ordinata la costruzione di fortificazioni lungo il confine tedesco della Germania occidentale e venne ordinato di erigere la città e la fabbrica, nella Bassa Sassonia e precisamente a KdF . Il cantiere dava lavoro a 6.314 operai, di cui 2.400 italiani. In quel periodo la situazione politica nella KdF era piuttosto favorevole agli italiani che hanno creato, insieme ai tedeschi, la fabbrica e la città intorno, interamente pianificata. Gli italiani avevano l’opportunità di esprimere la loro identità sociale, culturale e urbanistico-architettonica.

Situazione durante e dopo la II Guerra mondiale

Nel 1942 il numero degli italiani a KdF scese a 500 a causa del conflitto tra Italia e Germania3. La produzione automobilistica venne interrotta e la fabbrica riconvertita per la costruzione di veicoli militari e armi.4

R. Azara5 nel suo lavoro descrive soprattutto la situazione degli internati militari italiani del periodo 1943-45 nella fabbrica della Volkswagen. Egli ha adottato il metodo della “Oral History” per integrare le sue ricerche. Le testimonianze riportate non solo arricchiscono le fonti scientifiche, ma ci rendono tutti partecipi alle loro sofferenze e quindi intensificano il desiderio di lavorare per una migliore comprensione tra i due popoli.

Il giovane studioso nel suo abstract ci tiene a precisare che anche dopo l’8 settembre le condizioni di lavoro degli italiani erano totalmente differenti se lavoravano nelle fabbriche e nelle miniere oppure se lavoravano nelle piccole aziende artigianali o agricole con famiglie tedesche. I rapporti erano a volte amichevoli e di rispetto reciproco; inoltre, ovviamente, l’approvvigionamento era migliore.

Nel lavoro di Karl-Heinz Bögershausen6 si parla dell’assistenza religiosa degli italiani e dei tedeschi nella città di KdF. A Fallersleben si trovavano due chiese antiche passate ai protestanti cristiani luterani.

In quel periodo luterani e cattolici non interagivano per niente e si rese necessario un luogo dove svolgere le funzioni religiosi per i cattolici italiani e/o tedeschi. Agli italiani fu concessa dal Vescovo di Hildesheim per le Messe domenicali una sala di una trattoria, mentre i cattolici tedeschi non avevano un luogo ufficiale dove incontrarsi. Solo dopo lunghe trattative da parte del cappellano tedesco Antonius Holling con le autorità ecclesiastiche italiane venne concesso a lui e alla comunità tedesca di utilizzare la sala degli “italiani” per le Messe domenicali.

L’ultimo accenno agli italiani è il loro ritorno in Italia per le festività natalizie nel 1940. Nel lavoro si continua a parlare di Holling come sacerdote coscienzioso che si impegnava oltre per i tedeschi del luogo, anche per quelli espulsi dai paesi dell’Est e per polacchi, belgi e olandesi.

Le conseguenze della II Guerra Mondiale hanno portato all’occupazione della Germania da parte delle quattro potenze vincitrici, URSS, Inghilterra, Francia e Stati Uniti per garantire la costruzione democratica della Germania (1949 Legge Fondamentale per una Germania federale in una economia sociale di mercato). L’URSS occuperà la Germania dell’Est (regime socialista). Gli inglesi cambiarono il nome di KdF in Wolfsburg, che divenne città modello per la Germania ovest del dopoguerra. Le due chiese cristiane, cioè quella cattolica e quella luterana, parteciparono alla ricostruzione anche con l’aiuto economico della fabbrica Volkswagen. Il lungimirante Presidente dell’azienda Volkswagen Nordhoff (dal 1948) non solo si concentrò sulla produzione automobilistica, ma si dedicò all’arte: erano famosi i concerti a Wolfsburg da parte dei filarmonici berlinesi diretti da Karajan. Altrettanto famose erano le varie mostre d’arte negli anni ‘50 e ‘60 di opere del periodo dell’impressionismo e dell’espressionismo7.

Nell’anno 1957 l’architetto finlandese Alvar Aalto progettò e costruì la casa di cultura ed un centro culturale con scuola serale e biblioteca. Anche l’architetto Koller collaborò, insieme al finlandese, nella ricostruzione della città e della fabbrica nel dopoguerra. Wolfsburg, il microcosmo, conserva tutt’oggi la sua importanza sia dal punto di vista architettonico sia dal punto di vista economico e aziendale. Il personale della Volkswagen godeva sempre di privilegi tariffari stabiliti dal vertice dell’azienda insieme al sindacato IG Metall e al consiglio di fabbrica.

La città non solo cresce velocemente ma provvede anche all’integrazione delle persone venute da lontano ed anche dei rifugiati e dei tedeschi espulsi dai paesi dell’Est. La perdita della propria patria è sempre molto dolorosa ma qui migliaia di persone trovarono una nuova patria nella “famiglia” Volkswagen. Nel 1953 Wolfsburg contava 50.000 abitanti e produsse il cinquecentesimo Maggiolino. Nel 1955 la “famiglia” Volkswagen festeggiò il millesimo Maggiolino uscito dalla fabbrica, tra l’altro con gruppi folcloristici e cori provenienti da tutti i paesi dove si esportava il Maggiolino, ivi compresi gli Stati Uniti.

Uno sviluppo totalmente diverso invece è avvenuto nella parte Est della Germania, dove l’URSS cominciò la costruzione del socialismo e parallelamente venne chiuso anche il confine con la Repubblica Federale di Germania. Alla frontiera con la Polonia fu costruita la città di Eisenhüttenstadt che divenne città modello della “Repubblica Democratica Tedesca”. Negli anni ‘80, però, perse sempre più la sua importanza. Il comune era fortemente indebitato e la gente cercava lavoro altrove. Neanche l’acquisto della zona industriale da parte dell’azienda belga Cockerill Sambre fece migliorare la situazione8.

Accordo bilaterale tra i due stati Italia e Germania del 20 dicembre 1955

Il boom della ricostruzione e la crescita della domanda spinge a fronteggiare la carenza di personale reclutando manodopera all’estero. Il governo italiano cerca di dirigere l’emigrazione italiana non solo verso le Americhe, Nord e Sud, ma anche verso l’Europa dell’ovest. Il Presidente del Consiglio di allora, Alcide De Gasperi, cercò di invogliare gli italiani del Mezzogiorno e delle Isole con lo slogan Imparate una lingua straniera ed emigrate. Infatti dalla fine del 1953, il Ministero degli Esteri contattò il governo tedesco per preparare un accordo sul reclutamento di manodopera italiana in Germania. Il governo italiano desiderava fortemente questo accordo per diminuire il deficit statale con le future rimesse degli emigrati, infatti due anni dopo, e precisamente il 20 dicembre 19559, fu siglato un accordo bilaterale. Nei primi anni il governo tedesco, però, si è servito piuttosto dei rifugiati e degli espulsi dai Paesi dell’Est e solo a partire dal 1960/61 inizia la diffusione in Italia di manifesti pubblicitari e cortometraggi che invitano anche a lavorare alla Volkswagen di Wolfsburg come Gastarbeiter (lavoratore ospite). In seguito alla legislazione CEE del 16 agosto del 1961 (in particolare articolo 48 sulla libera circolazione della manodopera nell’ambito del mercato comune) con la sola carta d’identità ci si può trasferire in un altro paese europeo. Infatti arrivarono circa 100.000 italiani, quasi esclusivamente dal Meridione d’Italia.

Risalgono a questo periodo anche i primi accordi tra I.N.A.M. e AOK e la collaborazione tra DGB (Deutscher Gewerkschaftsbund) e la CISL (Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori)10. E, da pare sua, la Chiesa italiana manda i sacerdoti e la Caritas gli assistenti sociali già a partire dal 1956. Per dare un’idea di quanti italiani si sono spostati dopo la firma del Trattato di Roma nel 1957 specificamente nelle miniere della Ruhr, 2.840 nel 1957, 3.944 nel 1960 che scendono a 958 dieci anni dopo, a 834 nel 1980 e 477 nel 1990. La percentuale dei minatori italiani sul numero complessivo dei minatori stranieri nella Ruhr tra il ‘60 e il ‘90 scende dal 33,1% al 2,2%.11 Il tradizionale flusso migratorio costituito pressoché esclusivamente da lavoratori, prevalentemente di origine contadina, destinato nelle aree di grande immigrazione ad occupazioni nell’industria o nell’edilizia, è ormai un retaggio del passato. Sono ormai diversi gli sbocchi occupazionali nelle aree di immigrazione europee, ma soprattutto è diversa la composizione socio-professionale del flusso migratorio. Emigra, dunque, gente diversa, perché diversa è la struttura sociale del Mezzogiorno12.

Già nel 1962, dopo l’arrivo dei primi italiani, la Volkswagen alla fine del mese di gennaio 1962 contava più di 3.000 lavoratori e 5.000 nel 1965 (Oswald A. von 1997)13.

Ci sono due importanti ragioni perché Wolfsburg, che include la fabbrica Volkswagen, possa dirsi una città italiana. La prima è collegata alla storia economica e politica del periodo 1937/38-1945 quando con un primo accordo bilaterale arrivarono tra 2.400 e 3.000 italiani soprattutto dal Mezzogiorno.

E sono alcuni dei 500 rimasti in fabbrica come lavoratori coatti ad accogliere i primi italiani nel dopoguerra. Wolfsburg è una delle mete preferito degli italiani perché questi insieme ai tedeschi hanno costruito la fabbrica e la città intorno.

La seconda ragione si riferisce al periodo dal 1953 al 1973, periodo del boom economico in Germania che si basa sull’economia sociale di mercato, modello di Alfred Müller-Armack ed applicato da Ludwig Erhard. Sempre, il Presidente della Volkswagen Heinz Nordhoff (dal 1948) aveva personalmente eccellenti contatti con il Vaticano, come testimoniato da documenti epistolari suoi con il Vaticano che risalgono a questo periodo. Una sua richiesta di 3.000 operai italiani inoltrata nel mese di ottobre 1961 viene soddisfatta dopo pochi mesi, cioè nel gennaio 1962.

Per questi uomini la Volkswagen copriva le spese del viaggio, del pernottamento e l’approvvigionamento prima di arrivare a Wolfsburg. Nel 1962 per tutelare gli operai e garantire i loro diritti si insedia la sezione dell’ACLI (Associazione Cattolica dei Lavoratori Italiani) a Wolfsburg (in Italia le ACLI sono riconosciute dal 1947 come associazione cristiana in dialettica con i sindacati laici CGIL, fondata fine ottocento/inizio novecento e UIL/CISL nel secondo dopoguerra).

Il 13 settembre 1964 viene inaugurato il Centro Italiano a Wolfsburg,14 nel quale si potevano esprimere con più soddisfazione l’identità e la cultura italiana. Vi si poteva leggere il Corriere d’Italia, che tuttora esiste, così chiamato dal 196315 (precedentemente si chiamava La Squilla).  Chi invece voleva sentire la radio in lingua italiana poteva sintonizzarsi sulla frequenza del WDR (Westdeutscher Rundfunk) a partire dal 1° dicembre 1961 in seguito alle provvidenze del governo tedesco (Presse- und Informationsamt der Bundesregierung). Nei primi anni le trasmissioni duravano 15 minuti al giorno. Dal 1° novembre 1964 si trasmetteva in lingua italiana per 43 minuti.16

Il reclutamento degli italiani con il sostegno della Chiesa italiana spiega perché un’azienda come la Volkswagen ha potuto coprire per più di 10 anni la richiesta di manodopera estera esclusivamente da un unico Paese, cioè dall’Italia. Soltanto a partire dal 1970 vennero chiamati lavoratori spagnoli, greci, jugoslavi e tunisini nonostante accordi siglati 10 anni prima. Wolfsburg per gli italiani era un mito tanto è vero che veniva definito “il più grande villaggio italiano oltre le Alpi”. Il culmine del numero dei lavoratori italiani, ossia 9.161, risale alla prima metà dell’anno 1971.

Le donne alla Volkswagen, insieme ai loro figli. cominciarono ad arrivare subito dopo la fine della guerra: vedove di guerra, rifugiate, donne i cui mariti erano imprigionati, donne nubili. Il Presidente Nordhoff volle aiutare queste donne aumentando loro il salario. Le donne sposate avevano la possibilità di lavorare nella fabbrica solo se erano loro a dover mantenere la famiglia oppure se avevano iniziato a lavorare in fabbrica da giovanissime e nubili. Consultando i dati riportati da Christine von Oertzen (1997)17, si evidenzia che il numero degli operai maschi è in notevole crescita nei confronti delle femmine.

1947: 1.062 donne e  7.320 uomini

1950: 1.664 donne e 13.300 uomini

1954: 2.000 donne e 23.000 uomini

In termini percentuali, la presenza femminile all’interno della fabbrica scendeva da 15% a 8,6%. E vero che per tutti gli anni ‘40 in fabbrica si presentarono prigionieri di guerra liberati che avevano una certa precedenza, ma è anche vero che l’immagine della famiglia tradizionale, sia tedesca che italiana, prevedeva la donna casalinga. Ovviamente c’erano tante famiglie che avevano la necessità dell’entrata economica della donna (madre, moglie, compagna).

Molte donne dovevano spostarsi anche in periferia per trovare lavoro, per esempio nella fabbrica di patate Maizena, affiliata della Knorr, oppure nelle fabbriche di tabacco od anche con lavoro stagionale.

Vorrei precisare che il reclutamento da parte della fabbrica Volkswagen nel Mezzogiorno d’Italia sopra citato si riferisce solo ad uomini. Soltanto a partire dal 1978 la politica dell’azienda permette di assumere personale femminile proveniente dall’Italia. Il microcosmo dell’azienda Volkswagen non rispecchia la situazione della donna emigrata in Germania in generale.

Un altro fenomeno del microcosmo di Wolfsburg è la grande fluttuazione tra operai che arrivano e operai che se ne vanno. Il vertice dell’azienda avrebbe preferito chiamare sempre operai italiani. Però, l’esagerata fluttuazione lo ha costretto dal 1970 in poi a chiamare manodopera da altri paesi stranieri. La mobilità esagerata si comprende ancora meno considerando che, almeno dal 1966, la maggior parte degli italiani vive in Germania con la famiglia. Se si fa il confronto tra la fluttuazione tedesca e quella italiana nella Volkswagen si evidenzia un forte contrasto. Il sindacato IG Metall ha comunque cercato di tutelare gli operai italiani per non compromettere la pace sociale.

Infatti, nel periodo dal 1962 al 1975 la percentuale del deflusso degli italiani era pari a 57,2%. Dopo il 1973, anno del cosiddetto Anwerbestopp, cioè divieto da parte del governo tedesco di reclutare manodopera estera, gli italiani potevano farsi raggiungere dalle loro famiglie.

I dati del Bundesamt für Statistik confermano, a livello nazionale, la fluttuazione che abbiamo constatato per gli operai della Volkswagen. Vorrei riportare i dati complessivi che si riferiscono al periodo 1957-2004 dei flussi migratori fra Italia e Germania: 4.089.330 gli emigrati in Germania, 3.659.381 coloro che sono tornati in Italia; il numero di coloro che sono rimasti in Germania è, dunque, 429.949, che corrisponde al 10,5%.

 

 

Note

1  Cancelleria del Reich; “Ergebnisse der Erhebung über die ausländischen Arbeiter und Angestellten” in Mantelli B., (Camerati del lavoro - I lavoratori italiani emigrati nel Terzo Reich nel periodo dell’asse 1938-1943, Scandicci Firenze), La Nuova Italia Editrice, 1992

2  Gerroni A. La città che guarda oltre il Maggiolino in Il Sole 24 ore, 26 settembre 2004, p. 7

3  Siegfried K.J. Das Leben der Zwangsarbeiter im Volkswagenwerk 1939-45; Francoforte sul Meno-NewYork, 1988

4  Beier R. Aufbau West-Ost. Die Planstädte Wolfsburg und Eisenhüttenstadt in der Nachkriegszeit, conferenza tenuta in occasione della mostra con il titolo Aufbau West-Aufbau Ost; die Planstädte Wolfsburg und Eisenhüttenstadt in der Nachkriegszeit - Una mostra del Museo Storico Germanico a Berlino in collaborazione con l’Istituto per Musei e la Storia dalla città di Wolfsburg e il Museo della città di Eisenhüttenstadt, allestita a Berlino presso lo Zeughaus dal 16 maggio al 12 agosto 1997

5  Azara R., Die Italienischen Militärinternierten in der Stadt des Kdf-Wagens bei Fallersleben 1943-45, Diplomarbeit, Technische Universität, Braunschweig 1998

6  Bögershausen K.-H., Die Notkirche der ersten deutschen katholischen Kirchengemeinden in Wolfsburg 1940-1941, hrsg. St. Christophorus-Kirchengemeinde, Wolfsburg

7  Widman K. Eine Gemäldeausstellung in dieser Arbeiterstadt? Kunst in den Aufbaujahren Wolfsburgs und Stalintadts, conferenza tenuta in occasione della mostra con il titolo Aufbau West-Aufbau Ost; die Planstädte Wolfsburg und Eisenhüttenstadt in der Nachkriegszeit - Una mostra del Museo Storico Germanico a Berlino in collaborazione con l’Istituto per Musei e la Storia della città di Wolfsburg e il Museo della città di Eisenhüttenstadt, allestita a Berlino presso lo Zeughaus dal 16 maggio al 12 agosto 1997

8  Beier R. op. cit.

9  Nota dell’autore: sul sito http://dbk.de si legge parte dell’accordo in lingua tedesca

10  Rieker Y., Ste wollen Mensch unter Menschen sein. -Das Ruhrgebiet und die italienische Arbeitsmigration in: Neapel-Bochum-Rimini - Arbeiten in Deutschland. Urlaub in Italien catalogo della mostra allestita nel Museo Industriale Zeche Hannover a Bochum dal 12 luglio al 26 ottobre 2003, pp. 14/15

11  Rieker Y., op. cit. p. 11

12  Pugliese E., Continuità e innovazioni nell’emigrazione italiana in: Inchiesta, N° 62, ottobre-dicembre 1983, Edizioni Dedalo spa, Bari

13  von Oswald A. Venite a lavorare con la Volkswagen! Gastarbeiter in Wolfsburg 1962-1974, conferenza tenuta in occasione della mostra con il titolo Aufbau West-Aufbau Ost; die Planstädte Wolfsburg und Eisenhüttenstadt in der Nachkriegszeit - Una mostra del Museo Storico Germanico a Berlino in collaborazione con l’Istituto per Musei e la Storia della città di Wolfsburg e il Museo della città di Eisenhüttenstadt, allestita a Berlino presso lo Zeughaus dal 16 maggio al 12 agosto 1997

14  Gerroni A. Il Sole 24 ore op. cit.

15  Dal 1951 al 1963 era La Squilla

16  Rieker Y., op. cit. p. 16

17  Oertzen Ch. von Männerwelt Volkswagenwerk. Frauenarbeit und Geschlechterpolitik in der “Käferstadt”, conferenza tenuta in occasione della mostra con il titolo Aufbau West-Aufbau Ost; die Planstädte Wolfsburg und Eisenhüttenstadt in der Nachkriegszeit - Una mostra del Museo Storico Germanico a Berlino in collaborazione con l’Istituto per Musei e la Storia della città di Wolfsburg e il Museo della città di Eisenhüttenstadt, allestita a Berlino presso lo Zeughaus dal 16 maggio al 12 agosto 1997