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La Migrantes e gli altri Organismi ecclesiali (B. Mioli)
Una crescente e convergente attenzione al fatto migratorio

Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 4/06


Premessa

L’ultimo importante documento della Chiesa Italiana sulle migrazioni (novembre 2004) ha l’identico titolo del grande Convegno celebrato l’anno precedente a Castelgandolfo a cura di quattro organismi della CEI: “Tutte le genti verranno a te”; era una chiara allusione all’aspetto più nobile e, per così dire, seducente delle migrazioni, alla loro dimensione missionaria, di evangelizzazione. Il sottotitolo del documento “Lettera del Consiglio Episcopale Permanente alle comunità cristiane su migrazioni e pastorale d’insieme”, mentre espressamente riconosce che il buon esito di quell’evento è da attribuire particolarmente alla stretta intesa e collaborazione fra i vari organismi nella preparazione e gestione del convegno, indica la via su cui procedere speditamente perché i benefici effetti del convegno non durino per una breve stagione, ma segnino la strada su cui procedere dopo il convegno ed abbiano una positiva ricaduta su tutte le Chiese particolari in Italia. Qualcosa in questa direzione si è mosso e continua a muoversi anche a livello locale.

è importante però che anche a livello centrale, da parte dei vari organismi della Chiesa Italiana si dia un esempio stimolante di questa pastorale d’insieme, pur conservando ognuno di essi la sua specificità e originalità. Si potrebbero passare in rivista molti di questi organismi ecclesiali o di ispirazione cristiana che da tempo sono all’opera in questo campo. Non intendiamo però in questo articolo fare una panoramica generale di questa interessante mobilitazione; ci limitiamo a riportare tre brevi testimonianze presentate direttamente da rappresentanti di tre di questi organismi: l’Ufficio nazionale della pastorale sociale e del lavoro, la Caritas Italiana, l’Associazione Cristiana Lavoratori Italiani (Acli).

Le migrazioni per l’Ufficio CEI della pastorale sociale e del lavoro

“Nel mondo attuale, in cui si aggrava lo squilibrio fra paesi ricchi e paesi poveri e in cui lo sviluppo delle comunicazioni riduce rapidamente le distanze, crescono le migrazioni di persone in cerca di migliori condizioni di vita. … Gli immigrati nella maggioranza dei casi rispondono ad una domanda di lavoro che altrimenti resterebbe insoddisfatta” (n. 297). Il compendio della dottrina sociale della Chiesa, qui sopra citato, dedica due importanti numeri sul tema emigrazione e  lavoro richiamando come l’immigrazione per i paesi sviluppati, anziché un ostacolo per lo sviluppo, può essere una vera risorsa. Tuttavia aggiunge “le istituzioni dei paesi ospiti devono vigilare accuratamente affinché non si diffonda la tentazione di sfruttare la manodopera straniera, privandola dei diritti garantiti a lavoratori nazionali, che devono essere assicurati a tutti senza discriminazione” (n. 298).

Gli immigrati vengono in Italia per lavorare e costituiscono la fascia più bassa della stratificazione sociale del lavoro. Fascia che crescerà sempre più a causa del calo della natalità e della scarsa propensione dei giovani italiani per il lavoro manuale. Il lavoro serve per guadagnarsi il sostentamento quotidiano ma il suo valore non si ferma certamente a questo livello. La Laborem exercens, di cui ricorre proprio quest’anno venticinque anniversario, ce lo ricorda.

Il lavoro ha anzitutto una dimensione umana fondamentale. Non è certo il lavoro che “fa” l’uomo, ma è un fatto che l’uomo “si fa” anche attraverso al lavoro: il lavoro è un luogo decisivo della realizzazione di sé. Il lavoro poi ha una dimensione sociale evidente. E’ la porta attraverso la quale l’immigrato entra in relazione, è luogo di incontro e di confronto, di solidarietà e di tensioni. Il lavoro ha inoltre una dimensione “cristiana”, nel senso che non è neutro o estraneo alla fede cristiana. Sia L’AT che il NT si aprono con l’icona di Dio che lavora. La teologia del lavoro ha messo l’attività umana in relazione con la creazione, con la croce e con l’escatologia. La Gaudium et Spes ha assunto un lungo percorso di riflessione che è stato successivamente rielaborato in termini ancora più netti nella Laborem exercens, anche esplicitamente in termini di spiritualità del lavoro. Il lavoro ha infine una dimensione ecclesiale e la Pastorale sociale e del lavoro è testimone di quanto il lavoro abbia sfidato la Chiesa, di come si sia sviluppato un movimento missionario intenso e contrastato che ha portato la Chiesa stessa a ripensare la sua presenza nel mondo e la sua opera di evangelizzazione.

Proprio in ragione di questa densità del lavoro riteniamo che il lavoro debba essere messo esplicitamente a tema nel percorso formativo delle comunità cristiane e debba includere anche gli immigrati.

L’intervento ecclesiale a favore dei migranti, nella sua completezza, può essere immaginato come un grande arco che va dall’accoglienza, al servizio, all’accompagnamento verso il lavoro, al formarsi di comunità cristiane per lingua o per nazione, fino all’inserimento nelle comunità locali. Nelle grandi città, il primo approccio degli immigrati cristiani avviene generalmente attraverso le comunità etniche. I pregi evidenti di questo primo incontro consistono nel garantire una certa continuità, un primo contatto, un rapporto caldo. I rischi stanno nel pericolo di isolamento ma soprattutto nella pratica di una religiosità ancorata ad una situazione sociale radicalmente diversa. L’obiettivo ultimo è chiaro a tutti: il pieno inserimento di questi fratelli nella comunità ecclesiale locale.

La pastorale sociale e del lavoro propone un obiettivo intermedio, per darsi cioè gli strumenti perché questo passaggio avvenga bene. Si tratta di accompagnare gli immigrati cristiani nell’incontro con la nuova realtà del lavoro e della complessa problematica che incontrano, perché maturino una fede che si confronti con la storia e con la situazione della religiosità nel paese di accoglienza, una fede che alimenti nuove forme di impegno sociale. In pratica si tratta di sviluppare quanto è  accennato nel sussidio “Nella Chiesa nessuno è straniero” (CEI, Supplemento al Quaderno n. 33, dicembre 2000, pp. 62 e 129-131), nonché in “Vangelo, lavoro e migrazioni” (CEI, Quaderno n. 13, giugno 2001, p. 63).

In questi anni sono sorte nelle diocesi alcune esperienze di gruppi di evangelizzazione a partire dai temi del lavoro per immigrati ed un ruolo importante è svolto sempre più da alcune associazioni (Api-Colf, Acli-Colf, Fai-Cisl, Coldiretti …). è quanto mai importante lavorare in rete fra l’Ufficio per i problemi sociali e il lavoro, la Fondazione Migrantes, la Caritas italiana. Il seminario annuale promosso insieme è occasione importante di incontro, di verifica e di rilancio delle attività sul territorio a partire da problematiche specifiche. Iniziative importanti sono nate a seguito dei seminari. Di particolare interesse quanto è nato in collaborazione con Apicolf dal seminario sulle collaboratrici familiari: si è aperto cioè con i cappellani di rito ortodosso un interessante confronto tra fondamenti della concezione sociale della Chiesa ortodossa russa e il compendio della dottrina sociale della Chiesa cattolica.

Coinvolgimento della Caritas Italiana nel mondo della immigrazione

Fin da principio la Caritas Italiana ha cercato di leggere e interpretare il fenomeno migratorio come un chiaro segno dei tempi al quale nessuno sembra ormai potersi sottrarre, tanto meno la Chiesa. “In effetti sono tanti, nel nostro tempo, i bisogni che interpellano la sensibilità cristiana. Il nostro mondo comincia il nuovo millennio carico delle contraddizioni di una crescita economica, culturale, tecnologica, che offre a pochi fortunati grandi possibilità, lasciando milioni e milioni di persone non solo ai margini del progresso, ma alle prese con condizioni di vita ben al di sotto del minimo dovuto alla dignità umana” (Lettera Apostolica Novo Millennio Ineunte).

I numerosi migranti che ogni anno varcano i confini del nostro paese per contribuire ad un benessere che li ha visti fino a quel momento esclusi, chiedono dignità. La loro accoglienza diventa per noi un imperativo categorico, una ragione per cui investire risorse umane ed economiche. Lo stesso Pontefice Benedetto XVI, nell’Enciclica Deus Caritas est, ricorda il ruolo del fedele come colui che non può “abdicare alla molteplice e svariata azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune” (n. 29).

Aiutare i migranti ad uscire dall’ombra, assicurando il pieno godimento di tutti i diritti di cui beneficiano i loro concittadini europei (lavoro, abitazione, salute, istruzione, partecipazione alla vita pubblica), è il presupposto su cui si fonda l’azione della Caritas Italiana. In questi anni il lavoro congiunto con le Caritas diocesane e parrocchiali e con le altre realtà ecclesiali e civili ha permesso di supportare e talvolta di supplire ad un sistema di accoglienza non sempre in grado di dare risposte ad un numero crescente di persone bisognose di aiuto. Per questo motivo dal 1995 la Caritas italiana si è dotata di un Ufficio Immigrazione che ha sollecitato le realtà locali a non rimanere prigioniere dell’emergenza continua e della logica assistenzialista, ma di reagire concretamente alle molteplici richieste che provengono dal territorio.

Attraverso tre coordinamenti (asilo, immigrazione/ integrazione, contro la tratta) Caritas Italiana vuole sostenere lo sforzo delle Caritas locali a rispondere con strumenti sempre più adeguati alle sollecitazioni che vengono dal mondo dell’immigrazione, in sinergia con altri uffici pastorali della Cei, primo fra tutti la Fondazione Migrantes con la quale Caritas Italiana promuove da anni il Dossier Statistico Immigrazione.

I migranti irregolari, i rifugiati e i richiedenti asilo, le vittime di sfruttamento, i minori e le donne sono certamente le categorie di migranti che meritano più attenzione. Si tratta, però, di un’attenzione che riguarda non solo un livello meramente operativo ma anche conoscitivo al fine di poter elaborare di concerto con le altre organizzazioni un piano strategico complessivo che prenda in considerazione il forte bisogno di integrazione della popolazione migrante.

In questo senso sembra irrinunciabile il ruolo della Caritas quale parte attiva nel dibattito pubblico sull’immigrazione dove da anni cerchiamo di portare avanti una linea chiara sui cosiddetti temi chiave: lavoro, scuola, partecipazione politica, salute, irregolarità e asilo.

Il precedente Governo ci ha abituati ad un immobilismo per certi versi cronico: le uniche accelerazioni si sono avute in occasione della modifica in senso restrittivo del testo unico sull’immigrazione verso il quale, peraltro, non sono mancate forti critiche da parte nostra. Oggi si apre un nuovo capitolo, almeno sulla carta, ed è quindi l’occasione non solo per ribadire il nostro impegno ma soprattutto per sollecitare l’attuale Governo in merito all’urgenza di alcuni temi che non possono più rimanere ostaggio di un approccio ormai anacronistico. In quest’ottica, dunque, è necessario giungere ad una legge organica sull’asilo  superando l’attuale eccessiva frammentazione che fino ad oggi ha caratterizzato questo ambito.

Inoltre il soggiorno in Italia non può più essere vissuto dal migrante come un calvario, dove la precarietà esistenziale diventa quotidianità. Ritardi nei rilasci e nei rinnovi dei permessi di soggiorno, tempi infiniti per l’ottenimento della carta di soggiorno, difficoltà nei ricongiungimenti familiari, la cittadinanza italiana che viene concessa con il contagocce, sono solo alcuni degli infiniti problemi che lo straniero deve sopportare in un Paese che fa fatica ad accettare una presenza che ormai sfiora i 3 milioni di presenze regolari.

Sul fronte dell’inserimento lavorativo degli immigrati, oggi fortemente ostacolato dalle complesse procedure d’ingresso, bisogna agevolare l’incontro fra domanda e offerta di lavoro attraverso la previsione di un permesso di soggiorno per ricerca lavoro. è necessario, dunque, mettere in campo tutti quegli strumenti in grado di stabilizzare la posizione del lavoratore migrante perché è innegabile che ogni processo di inclusione deve partire da un corretto inserimento lavorativo.

Il quadro interno sull’immigrazione necessita, quindi, di essere rivisto, senza dimenticare però che va inserito in una cornice più ampia. è ormai chiaro, infatti, che il fenomeno dell’immigrazione non ha più solo una valenza nazionale ma coinvolge in diversa misura tutti i paesi europei sia come paesi di immigrazione che di emigrazione. Per questo la Caritas Italiana, quale membro di Caritas Europa, partecipa attivamente ai tavoli europei sull’immigrazione e l’asilo contribuendo all’elaborazione di proposte e raccomandazioni ai singoli Governi e in particolare all’Unione europea affinché si faccia sempre di più parte attiva di questo difficile processo. In tal senso, nel corso del 2006, abbiamo partecipato all’elaborazione del terzo rapporto sulle povertà di Caritas Europa dedicato alle migrazioni e del quale, attualmente, stiamo predisponendo la versione italiana.

L’invito, infine, è quello di riflettere attentamene sulle sollecitazioni che ci provengono da un importante testo qual è  il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa che ci ricorda come “L’immigrazione può essere una risorsa, anziché un ostacolo per lo sviluppo. Nel mondo attuale (…) crescono le migrazioni di persone in cerca di migliori condizioni di vita, provenienti dalle zone meno favorite della terra: il loro arrivo nei Paesi meno sviluppati è spesso percepito come una minaccia per gli elevati livelli di benessere raggiunti grazie a decenni di crescita economica. Gli immigrati, tuttavia, nella maggioranza dei casi, rispondono a una domanda di lavoro che altrimenti resterebbe insoddisfatta, in settori e in territori nei quali la manodopera locale è insufficiente o non disposta a fornire il proprio contributo lavorativo”.

Le ACLI da sempre a fianco degli italiani all’estero e degli immigrati

Le Acli, Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani, nate nel 1945, oggi contano circa 900.000 soci, e in Italia raggiungono, con i loro servizi, circa 3 milioni di utenti, attraverso le oltre 6.500 strutture territoriali. Sono presenti anche in 16 Paesi europei ed extraeuropei, laddove vi è stata una forte emigrazione di lavoratori italiani. Esse fondano sul messaggio evangelico e sull’insegnamento della dottrina sociale della Chiesa la loro azione per la promozione dei lavoratori ed operano per una società in cui sia assicurato, secondo democrazia e giustizia, lo sviluppo integrale di ogni persona.

Le Acli possono contare su alcune importanti risorse che fin dall’inizio fanno parte del proprio patrimonio ideale ed esperienziale, in particolare una di queste è costituita dall’ ampia visione politica, la quale, superando il particolare egoistico, si apre al mondo intero e ai suoi problemi per una convivenza pacifica e rispettosa e un’equa cooperazione fra culture ed etnie diverse. Un ulteriore elemento è dato dalla sua lunga esperienza a fianco degli emigrati italiani all’estero, da quella esperienza le Acli tanto hanno ricevuto e tanto hanno dato. Un importante successivo elemento  è quello della professionalità acquisita in lunghi anni di assistenza e progettazione sociale sotto varie forme, dagli sportelli del Patronato alle cooperative sociali. Da ultimo un’altra importantissima risorsa è la dimensione associativa che fornisce a tutti i servizi quel contesto comunitario e di relazioni sociali e amicali che non può mancare là dove si ha a che fare non con cose ma con persone.

Quanto premesso è la base su cui si è costruito l’impegno delle Acli nell’attenzione al fenomeno immigrazione in Italia, già dal suo primo apparire, e alla costituzione di servizi capaci non solo di rispondere ai bisogni degli immigrati ma anche di anticiparli e, dove possibile, di essere anche in grado di dare spazio a quei bisogni latenti che spesso non trovano voce e risposte.

Questo movimento di ispirazione cristiana ha sviluppato, in questi venti anni, tutta una rete di attenzioni e di interessi attorno alla vita degli immigrati, recependone i bisogni, le attese, tanto da  anticipare, a volte, la stessa trasformazione del fenomeno. Si pensi al lavoro di collegamento intessuto nei territori dalle tante espressioni delle Acli provinciali per rendere più dignitosa la prima accoglienza degli immigrati, riconosciuti sin dall’inizio come i nuovi cittadini; dai primi corsi di alfabetizzazione a quelli professionali promossi dall’Enaip. Così come al servizio reso dalle Acli-Colf verso quella loro categoria che cominciava ad avere caratteri più colorati e lingue nuove.

Oggi il sistema Acli ha impiantato una rete complessa di servizi, di partenariato, di inclusione (molti cittadini immigrati lavorano ormai in molte delle strutture dell’Associazione), promuovendo progettualità e anche pensiero che contribuiscono a dare valore e dignità a questa società in piena evoluzione grazie anche al fenomeno immigratorio. Dalla nascita degli sportelli immigrati presso ormai ottanta sedi di Patronato, alla realizzazione del progetto “Le radici e le Ali”, realizzato con l’Arci e la Compagnia delle Opere, dai corsi promossi dalle Acli-Colf alle nuove frontiere formative sostenute dall’Enaip, dall’Us-Acli, dall’impegno alla lotta alla discriminazione razziale con il Progetto che vede le Acli a fianco dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziale presso il Ministero delle Pari Opportunità, alla partecipazione ai tavoli territoriali per l’accoglienza e l’inserimento socio-lavorativo e abitativo dei richiedenti asilo e dei rifugiati.

Non mancano momenti di riflessione, di elaborazione quali il Seminario nazionale promosso a Modena nello scorso gennaio su lavoro e famiglia in ambito immigratorio, quale il Primo Rapporto sulle Famiglie migranti in Italia; ma anche quelli avviati dai Giovani delle Acli, dal Coordinamento delle donne, da molte Associazioni provinciali. Non vanno dimenticati gli ormai consueti incontri biennali che vedono coinvolte le Acli provinciali di Modena, con la collaborazione della sede nazionale, sul dialogo islamo-cristiano.

In ordine proprio alla riflessione e alla elaborazione le ACLI hanno partecipato con la Caritas Italiana e la Fondazione Migrantes alla stesura di un Documento di critica ma anche di proposta sulla attuale legge sull’immigrazione, presentato il 9 novembre 2004 all’allora Ministro dell’Interno, on. Giuseppe Pisanu.

Le ACLI, dunque, si sentono implicate in una trasformazione culturale che coinvolge i diritti delle persone e si sentono chiamate, in virtù della loro storia, a rilanciare una riflessione approfondita sul senso del fenomeno immigrazione in Italia  e sull’esigenza di sollecitare, anche a livello territoriale, politiche attive per l’integrazione.