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Il servizio pastorale del Direttore Diocesano nella chiesa locale (PG. Saviola)
Dopo Chianciano: aggiornamento sulla situazione del Direttore Diocesano Migrantes

Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 4/06


Con il Convegno nazionale Migrantes dal titolo “Benedetto Colui che viene tra noi: per una pastorale di Chiesa migrante”, tenutosi a Chianciano Terme nei giorni 27-30 settembre 2004, sono due le finalità che ci siamo proposti di raggiungere:

- una immediata: un rilancio del servizio pastorale del Direttore Diocesano Migrantes;

- l’altra che mai verrà meno: renderci consapevoli delle motivazioni profonde del nostro impegno.

Quanto è emerso dal Convegno è stato trasmesso a tutte le Diocesi perché al Direttore Diocesano venisse riconosciuto il suo ruolo importante di coordinatore della pastorale migratoria per esplicito mandato del Vescovo. Per cui il Direttore Diocesano Migrantes, in Diocesi, assume i compiti pastorali che in sede nazionale la Chiesa Italiana ha assegnato alla Fondazione Migrantes, organismo della Conferenza Episcopale Italiana.

Queste in dettaglio le motivazioni di quanto sopra annunciato:

Il DD nella normativa della Chiesa

Il Direttore Diocesano (DD) della pastorale migratoria esisteva in Italia già molto prima della Migrantes, istituita nel 1987; prima di quell’anno, col nome di “Delegato Diocesano” egli faceva riferimento all’UCEI (Ufficio Centrale Emigrazione Italiana) e il suo campo di azione era prevalentemente, anche se non esclusivamente, quello dell’emigrazione italiana. La Fondazione Migrantes continua ad interessarsi degli italiani all’estero, ma ora la sua missione si estende a ogni forma di mobilità umana, escluso il pellegrinaggio e il turismo; quindi include, oltre al fenomeno relativamente nuovo dell’immigrazione, anche i Rom e Sinti, i fieranti e circensi, gli addetti alla navigazione marittima e aerea.

Lo Statuto della Migrantes, approvato dal Consiglio Permanente della CEI nel 1987, all’articolo 5 così dice: “Per un più puntuale perseguimento delle proprie finalità la Fondazione (Migrantes) può operare anche mediante centri e servizi articolati su base regionale”. Notiamo: può operare; una semplice possibilità dunque di costituire centri e servizi dislocati sul territorio e limitatamente all’area regionale. Sarà la Commissione Ecclesiale (ora Episcopale) per le Migrazioni (CEMI), che nel 1990 riconosce l’esigenza di una diramazione periferica della Migrantes e ne delinea la configurazione a livello regionale e diocesano e prevede anche la costituzione di un Centro diocesano, di cui si definiscono compiti e articolazione interna.

La nuova Istruzione Pontificia “Erga Migrantes Caritas Christi” (anno 2004) parla del Direttore Diocesano e dell’Ufficio diocesano per la pastorale migratoria in questi termini: “Se risulta necessario, il Vescovo diocesano… nomini un Vicario episcopale con l’incarico di dirigere la pastorale relativa ai migranti, oppure costituisca un Ufficio speciale per i migranti stessi presso la Curia vescovile” (art. 16, § 1). Vi è una allusione anche quando si parla del Coordinatore nazionale: “Il Coordinatore nazionale dovrà dunque operare in stretto contatto con i Direttori nazionali e diocesani della pastorale per i migranti” (n. 74); accenno che viene ripetuto nella parte “giuridico-pastorale”, all’articolo 20 dove si parla della Commissione (o Direzione nazionale) per le migrazioni, fra i cui compiti c’è pure quello di “animare e stimolare le relative commissioni diocesane, che a loro volta lo faranno con quelle parrocchiali che si occupano del vasto fenomeno, più generale, della mobilità umana”.

Il DD alla luce della teologia della Chiesa particolare

Il Direttore Diocesano, pur sembrando sotto l’aspetto normativo una figura secondaria, ha una sua giustificazione ecclesiologica profonda. Infatti alla luce della teologia della Chiesa locale, è una figura esigita dalla missione stessa della Chiesa, la cui mancanza creerebbe un vuoto molto serio nell’organigramma del servizio pastorale. Il Direttore Diocesano è collaboratore del Vescovo, esecutore di un suo mandato che a ragione diciamo “divino”, perché è il mandato ricevuto da Cristo di pascere quella Chiesa particolare che è la sua diocesi.

Naturalmente la medesima affermazione può essere fatta per ogni collaboratore del Vescovo, ma c’è motivo di particolare attualità e urgenza per riferirla al responsabile della pastorale migratoria. Le migrazioni infatti, come oggi si presentano in Italia, costituiscono una grossa novità che viene a connotare in vastità e profondità la vita delle nostre Chiese, alle quali - oberate come sono da tanti altri impegni e urgenze - può con facilità sfuggire questa novità non tanto come fatto di cronaca con i suoi risvolti sul piano sociale ed etnico-culturale quanto per le sue implicazioni sul piano strettamente pastorale.

Il Concilio Vaticano II a tal proposito è molto esplicito e insistente. Basta richiamare l’avvertimento ai Vescovi, nel Decreto “Christus Dominus” ad avere “un particolare interessamento per quei fedeli che, a motivo delle loro condizioni di vita, non possono godere dell’ordinario ministero dei parroci o sono privi di qualsiasi assistenza; come sono moltissimi emigrati, gli esuli, i profughi, i marittimi, gli addetti a trasporti aerei, i nomadi ed altre simili categorie di uomini”. Il medesimo avvertimento viene dato subito dopo alle Conferenze Episcopali Nazionali, le quali vengono esortate perché “dedichino premurosa attenzione ai più urgenti problemi riguardanti le predette categorie di persone e con opportuni mezzi e direttive, in concordia di intenti e di sforzi, provvedano adeguatamente alla loro assistenza religiosa, tenendo presenti in primo luogo le disposizioni date dalla Sede Apostolica da adattare convenientemente alle varie situazioni dei tempi, dei luoghi e delle persone”.

Dunque si chiede ai Vescovi, presi singolarmente e collegialmente, “un particolare interessamento”, una “premurosa attenzione”, non vaga e generica, ma rispondente “alle varie situazioni dei tempi, dei luoghi e delle persone”. Se pertanto “la diocesi è quella porzione del popolo di Dio che viene affidata alla cura pastorale di un Vescovo con la cooperazione del presbiterio” (CIC, can. 369), ne consegue che “appartiene prima di tutto all’Ufficio episcopale far sì che la Chiesa particolare esprima la sua cattolicità nella accoglienza di tutti nel suo seno”, un “Ufficio episcopale” che non può essere delegato ad altri, ma che il Vescovo non può adempiere solo in prima persona ed è per questo che sceglie un collaboratore “particolare, premuroso” dal suo presbiterio perché gli sia accanto nell’assolvere ai suoi doveri episcopali verso questa porzione tutta particolare del suo gregge. Questo è il Direttore Diocesano.

Una precisazione importante: non sono soltanto le varie categorie di migranti l’oggetto di questa cura pastorale specifica, lo è tutta la Chiesa particolare, perché questa assuma di fronte al fatto nuovo delle migrazioni atteggiamenti coerenti con la sua professione cristiana e colga nelle medesime un segno dei tempi, vero passaggio e messaggio dello Spirito. Lo Statuto della Migrantes, nel primo articolo che ne definisce la natura, dice che questo organismo ecclesiale è costituito non solo “per assicurare l’assistenza religiosa ai migranti italiani e stranieri”, ma pure “per promuovere nelle comunità cristiane atteggiamenti ed opere di fraterna accoglienza nei loro riguardi”. Questo è anzi il suo compito prioritario in vista di coinvolgere tutta la comunità cristiana come protagonista e non come semplice spettatrice di questo servizio ai migranti.

La “fraterna accoglienza” (termine da usare con chiaro riferimento al Vangelo) è come un’iride che prende le più varie sfumature: dall’assistenza caritativa in risposta alle tante emergenze alla condivisione e alla solidarietà, alla partecipazione alla vita ecclesiale nelle sue più varie espressioni fino a quelle forme originali di comunione che sono l’ospitalità e la convivialità.

Vescovi e Direttori Diocesani in più parti d’Italia danno esempio di questo tipo di accoglienza ispirato al radicalismo evangelico.

In negativo, “accoglienza” esclude ogni sentimento e comportamento di intolleranza, di sistematico sospetto e di pregiudiziale condanna dello straniero, con tutte le sfumature del rifiuto, anche xenofobo e razzista, e non senza legami con certe ideologie che sono in contraddizione con lo spirito e la lettera del Vangelo. Non occorre spendere parole per dire quanto questa insidia stia in agguato anche in casa nostra e di quanta vigilanza ci sia bisogno.

Tornando all’aspetto positivo, il compianto Mons. Luigi Petris così diceva all’inizio della sua relazione al Convegno dei Direttori Diocesani tenutosi a Rocca di Papa quattro anni fa: “In questa prospettiva cristiana si scopre nelle migrazioni una carica di novità tale da cambiare la Chiesa (cf SM nr. 1/2000); parola audace ma del tutto ortodossa se vogliamo intendere che la Chiesa, confrontandosi con le migrazioni e ponendosi al servizio dei migranti, scopre sempre di più se stessa, diventa sempre più se stessa, esprime in modo sempre più trasparente e convincente il suo vero volto di Chiesa una e cattolica, ecumenica e missionaria”.

è il pensiero contenuto nei paragrafi conclusivi (nn. 38-41) della Nota pastorale della CEI del 1993 “Ero straniero e mi avete ospitato - Orientamenti pastorali per l’Immigrazione”. Pensiero che con soddisfazione ritroviamo anche nella Istruzione “La carità di Cristo verso i migranti” al n. 97: “Nella comunità cristiana, nata dalla Pentecoste, le migrazioni… fanno parte integrante della vita della Chiesa, ne esprimono bene l’universalità, ne favoriscono la comunione, ne influenzano la crescita… Dunque offrono alla Chiesa l’occasione storica di una verifica delle sue note caratteristiche. Essa di fatto è una anche in quanto esprime, in un certo senso, l’unità di tutta la famiglia umana; è santa pure per santificare tutti gli uomini…; è cattolica altresì nell’apertura alle diversità da armonizzare; ed è apostolica anche perché impegnata ad evangelizzare tutto l’uomo e tutti gli uomini”.

Attuale situazione del DD

In questi ultimi tempi, in modo particolare dal 2004, il numero dei Direttori Diocesani Migrantes sembra registrare un progressivo aumento, arricchendo di nuovi dinamismi pastorali molte Chiese particolari, e ne prendiamo atto non per vantare chissà quali benemerenze, ma con gratitudine a Dio, perché vi cogliamo la presenza dello Spirito, che suscita operatori e iniziative pastorali illuminanti e stimolanti.

C’è infatti bisogno di molta luce e di forti stimoli, perché le belle testimonianze che cogliamo con compiacimento in questo campo non ci fanno dimenticare, anzi pongono in maggiore rilievo le zone d’ombra che persistono in altre diocesi.

Naturalmente il Direttore è presente in quasi tutte le 225 diocesi italiane, ma talora si tratta di adempimento burocratico, quasi per dare completezza all’organigramma pastorale della diocesi; una completezza poco più che formale che coesiste con un vuoto di effettiva presenza.

Questa carenza effettiva non fa eccessivo problema quando si tratta di diocesi di modesta dimensione, dove il fenomeno migratorio è scarsamente avvertito. Non così invece quando si tratta di diocesi più estese e fortemente interessate alle varie forme della mobilità umana. Basti per ora questa considerazione generale, che non ci autorizza a fare valutazioni e tanto meno ad esprimere giudizi su questa o quella diocesi: diciamo solo che alcune motivazioni addotte per la scarsa vivacità della pastorale migratoria non convincono.

Non convince la scarsità di clero, perché in alcune diocesi svolgono un eccellente servizio di pastorale migratoria diacono o laici ed è significativa anche la presenza femminile suore o donne impegnate; non convince il fatto che della pastorale migratoria è stato incaricato il direttore di altro settore, ad esempio quello della carità o delle missioni, perché si potrebbe citare il caso di diocesi dove il direttore di due uffici porta avanti in modo soddisfacente l’uno e l’altro settore, senza che vengano mortificate o annacquate le specifiche esigenze della pastorale migratoria.

Pur tenendo presenti queste lentezze e carenze, l’attenzione nostra si porta su quanto si registra di positivo: infatti già alla luce della semplice logica umana le forti testimonianze, le buone prassi di una diocesi possono incoraggiare altre alla sana emulazione, che - lontana dal materiale mimetismo - accende la fantasia creativa, che si traduce in progetti e scelte originali fatte su misura di quella particolare situazione; alla luce poi della fede si è portati a fare attenzione a ciò che lo spirito ha da dire anche alle nostre Chiese, nel santo timore di non “spegnere lo Spirito” (I Tes 5,19).

“Prendere il largo”

Il Convegno di Chianciano, nel suo messaggio alle Chiese, ha elaborato i principali campi di azione del Direttore Diocesano, i medesimi che lo Statuto assegna alla Migrantes nazionale e che qui enuncio soltanto:

- favorire la vita religiosa dei migranti, offrendo in particolare modo ai cattolici, attraverso una costante opera di evangelizzazione e di catechesi, i mezzi sacramentali e di culto necessari per un loro libero e originale inserimento nelle Chiese locali;

- sollecitare l’invio di operatori pastorali ai ministeri in favore dei migranti… concorrendo alla loro specifica formazione e sostenendoli attraverso un costante collegamento;

- “promuovere la crescita integrale dei migranti, perché nel rispetto e sviluppo dei loro valori culturali e religiosi, possano essere protagonisti nella società civile della quale fanno parte;

- curare una adeguata informazione dell’opinione pubblica e stimolare l’elaborazione di leggi di tutela dei migranti per una convivenza più giusta e pacifica” (nell’art. 4  questo enunciato si trova al n. 5);

- coordinare le iniziative, a favore delle migrazioni, promosse dalle Chiese locali e dagli organismi di ispirazione cristiana;

- mantenere i contatti con gli uffici ed enti pubblici ecclesiali e civili per le migrazioni (nell’art. 4 dello Statuto questo duplice enunciato si trova ai nn. 3-4).

“Nel mio intervento - diceva Mons. Petris, al Convegno di Chianciano - si è presentata una grande quantità di progetti, di impegni, di priorità, che sembra portare fuori di quella realtà del vivere quotidiano che ci costringe ad accostare questo cumulo di cose con tante altre, tutte ugualmente importanti e urgenti. Anzitutto non ci si deve lasciar prendere da eccessivi allarmismi: in questo quadro, che cerca di essere abbastanza completo, vengono presentate le varie possibilità fra le quali si farà una cernita, secondo quanto è maggiormente richiesto sul proprio territorio e quanto è compatibile col tempo, le energie e le competenze di ciascuno. Ad esempio tutti dovrebbero avere a cuore il problema dei marittimi come problema di Chiesa italiana, non tutti però, solitamente, hanno da dare contributi effettivi e spendere tempo in tale settore; altrettanto si dica per certe diocesi del Sud o della Sardegna dove è ancora scarsa la presenza immigrata, mente lo spopolamento di tanti paesi dice con eloquenza che l’emigrazione italiana non può ritenersi un capitolo del tutto chiuso.

Inoltre si è appena parlato di collaborazione fra tutte le forze ecclesiali il tema di migrazioni e si spera che già da quest’anno questa collaborazione prenda forma più ampia, strutturata e convinta, con la benedizione del Pastore della Diocesi. Dunque non sono io, soltanto io a scendere in campo; sono incluso in un ‘noi’ dove la fatica del lavoro è compensata dalla positiva esperienza di una pastorale d’insieme. Troppa idealità? Poco realismo? Si chiudono gli occhi sulle difficoltà? No, le difficoltà sono presenti e possono continuar a ingenerare quel senso di impotenza che si traduce in tentazione di tirare i remi in barca. Ma, grazie a Dio, la fede sostiene e anche la fedeltà alla missione ricevuta. Ce n’è abbastanza per concludere: «Nel tuo nome getterò di nuovo le reti - Nel tuo nome prenderò il largo»”.