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Dossier: il dibattito sul diritto di voto agli stranieri immigrati (A. Pertici)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 3/06


IL DIBATTITO SUL DIRITTO DI VOTO AGLI STRANIERI IMMIGRATI

 

evoluzione e problemi aperti

 

di Alessandro Pertici

 

La partecipazione politica degli stranieri rappresenta un aspetto centrale delle politiche di inclusione nello Stato e va acquisendo un peso sempre maggiore nel dibattito in materia di immigrazione. Nel corso degli ultimi tempi si sono susseguite diverse proposte circa il riconoscimento agli stranieri del diritto di voto, riportando all’attenzione della pubblica opinione il tema dei diritti politici degli stranieri.

A livello europeo la situazione appare piuttosto diversificata. In materia non esistono specifici dispositivi normativi comunitari ma solo una nutrita serie di atti non giuridicamente vincolanti, per quanto politicamente rilevanti, in favore di un’estensione del suffragio agli stranieri lungo-residenti.

Il processo di integrazione comunitaria e la connessa elaborazione della cittadinanza europea avrebbe potuto favorire la graduale affermazione di una cittadinanza c.d. di residenza. Invece, la cittadinanza europea, nel tentativo di disegnare un demos transnazionale1, ha poi nella sostanza irrigidito le distanze tra cittadini comunitari ed extracomunitari. L’esercizio dei diritti elettorali all’interno del territorio dell’UE, infatti, è connesso al possesso della cittadinanza europea che, essendo duale, presuppone la cittadinanza di uno Stato membro e alla residenza in uno degli Stati.

Da tempo, peraltro, in diversi Paesi europei gli immigrati possono partecipare alle elezioni locali; tra questi: dopo solo 6 mesi di residenza in Irlanda (dal 1963); dopo tre anni in Svezia (dal 1975 e anche per i referendum). Si sono via via uniformati a tale esempio la Danimarca nel 1981, l’Olanda nel 1983, la Norvegia nel 1993, la Finlandia nel 1995 e il Lussemburgo nel 2003.

Nel 2004 il Belgio ha approvato una disciplina che prevede il riconoscimento del diritto di voto amministrativo agli stranieri dopo cinque anni di residenza e subordinatamente a una dichiarazione di adesione ai principi della democrazia.

In Italia, in assenza di una legge dello Stato, sono proliferate differenti esperienze locali, con la conseguenza di una prassi molto variegata e dagli incerti contorni giuridici.

Proprio nel nostro Paese la questione del diritto di voto a livello locale degli stranieri si lega a due aspetti: da un lato l’importanza crescente delle politiche di integrazione nella gestione di flussi migratori sempre più strutturati e consistenti, e dall’altro il ruolo sempre più rilevante delle amministrazioni locali nel farsi carico dell’erogazione di servizi sociali fondamentali, in particolare a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione ad opera della Legge costituzionale n. 3/2001.
 
In allegato il testo completo