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Le immigrazioni non sono un fenomeno patologico (P. Schiavon)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/06


LE IMMIGRAZIONI NON SONO UN FENOMENO PATOLOGICO

 

ma una realtà fisiologica da valutare positivamente

 

di Paolo Schiavon

 

L’estate scorsa camminando per un sentiero di montagna, ad un certo punto, sul muretto che delimitava la strada, lessi queste parole: “Homo viator, spe erectus”.

“Homo viator”. L’uomo è un viandante. Questa condizione, che appartiene alla struttura stessa di esistere, è felicemente illustrata nella Bibbia dalla presenza di personaggi come Adamo, espulso dall’ Eden per il suo atto di disobbedienza; come Abramo, padre nella fede, volontario pellegrino per obbedienza. E come dimenticare Mosè che ha fatto di Israele un popolo pellegrinante nel deserto di Sinai.

Anche i cristiani portano in sé la vocazione di viandanti. Nella prima lettera di Pietro c’è una frase che definisce i cristiani come “stranieri e pellegrini”. Del resto non potrebbe essere diversamente se si pensa che Dio si è fatto anche lui pellegrino seguendo il suo popolo, e in Gesù, accompagna questo popolo lungo il percorso che si inoltra nella dimensione inesauribile del divino, rinnovando continuamente la consapevolezza che nessun luogo di questa terra può mai diventare la meta definitiva.

Per questo S. Paolo, in merito al ragionamento sulla meta, poteva dire: “...questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Gesù Cristo” (Fil 3,12-14).

Ma sentirsi viandanti è una condizione difficile da interpretare, a causa di nostalgie e difficoltà impreviste; ecco perché è importante anche la seconda parte della iscrizione citata all’inizio: “spe erectus”.

Per poter camminare come viandanti verso una meta è importante sentirsi sostenuti dalla speranza.

E la speranza per noi cristiani ha un nome: si chiama Gesù. E Gesù che ci permette di attraversare le difficoltà senza cedere allo sconforto, come è avvenuto per i due discepoli di Emmaus.

Nella nostra epoca, possiamo vedere le migrazioni come nuove forme del pellegrinare, ed è un fenomeno che sta aumentando in maniera considerevole come espressione tra le più significative del mondo globalizzato.

Il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, qualifica le Migrazioni di oggi, come il più vasto movimento di persone di tutti tempi, ed i demografi prevedono che nel 2050 i Migranti nel mondo saranno oltre 230 milioni.

Ci sono sempre più immigrati che bussano alle porte dell’Europa, provenienti da regioni meno favorite, in cerca di migliori condizioni di vita.

Papa Benedetto XVI, nel messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del gennaio 2006, dice che il fenomeno delle Migrazioni è da annoverare sicuramente come un segno dei tempi da interpretare alla luce del Vangelo.

Nello stesso messaggio sottolinea come questo fenomeno abbia ormai una configurazione strutturale, diventando una caratteristica importante del mercato del lavoro a livello mondiale, sotto la spinta poderosa esercitata dalla globalizzazione.

Questo “segno dei tempi” comprende le migrazioni interne ed internazionali, quelle forzate e quelle volontarie, quelle legali e quelle irregolari, soggette anche alla pratica del traffico di essere umani. A queste migrazioni si deve aggiungere la categoria degli studenti esteri, il cui numero aumenta ogni anno nel mondo, e, tra coloro che emigrano per motivi economici tutto il fenomeno della crescente presenza della componente femminile.

Ma che cosa spinge queste persone ad abbandonare i propri luoghi ed i propri affetti? E la speranza; è la “terra promessa” come metafora; è il sogno di un miglioramento soprattutto materiale che porta l’immigrato a decidere di abbandonare il contesto di origine.

E ormai celebre la frase di quel migrante italiano negli Stati Uniti: “Sono venuto in America perché mi avevano detto che le strade erano pavimentate d’oro. Quando sono venuto ho scoperto tre cose: una, che le strade non sono pavimentate d’oro; due, che le strade non sono pavimentate affatto; tre, mi hanno chiesto di pavimentarle”. Il sogno della terra promessa si trasforma troppo spesso in una realtà difficile ed a volte dai contorni anche drammatici.

La lettera congiunta (ottobre 2005) della Congregazione per la Evangelizzazione dei popoli e del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e Itineranti, evidenzia che le migrazioni, oggi, interessano 175 milioni di persone, un numero pari al 2,9% della popolazione mondiale. Oggi, in Italia oltre 3 milioni di persone di altri Paesi, hanno il permesso di soggiorno; ed i motivi del soggiorno confermano un netto desiderio di inserimento stabile, dal momento che 9 immigrati su 10 sono in Italia per motivi di lavoro o di riunificazione familiare. Nel corso degli ultimi anni, l’immigrazione è aumentata secondo un ritmo vivace, sotto una pressione che continuerà e porterà una presenza degli immigrati consistente e diffusa su tutto il territorio, con un inserimento diversificato nelle regioni, con un notevole rapporto a livello lavorativo, ed una integrazione a metà del guado.

L’immigrazione, in quanto indicatore del dinamismo occupazionale del Paese Italia, è più concentrata al Nord ( 59% del totale degli immigrati), seguito dal Centro (27%) e dal Sud (14%).

Se il fenomeno dell’immigrazione prima ci lasciava abbastanza distaccati, ora che le previsioni del dinamismo migratorio indicano un consistente superamento dell’ attuale 5% degli italiani, ci si presenta davanti uno scenario della mobilità umana che richiede una maggiore attenzione e comprensione del significato di tale ritmo di crescita.

Certamente l’immigrazione non è un problema semplice ed è una questione che evoca forti passioni e dibattiti di sicurezza nazionale, economica, legali, sociali; ma non dobbiamo dimenticare che coinvolge la dignità fondamentale e la vita della persona, creata ad immagine e somiglianza di Dio.

Ed è a causa di questo impatto sulla dignità umana e sulla vita umana che l’immigrazione è in primo luogo una questione morale.

A causa di un sistema difettoso nella risposta umana all’immigrazione, vediamo famiglie separate, persone sfruttate, migranti abusati dai contrabbandieri e che a volte muoiono nel “deserto”.

L’aumento della immigrazione irregolare, considerata e vissuta come una grave minaccia alla sicurezza, a causa dei reati ad essa connessi, porta con sé il rischio di caratterizzare, nell’ opinione pubblica, in negativo tutto il fenomeno dei migranti, con la conseguenza di atteggiamenti di chiusura.

Certamente questi problemi e situazioni dolorose non si possono risolvere con politiche unicamente nazionali, ma attraverso una collaborazione sempre più intensa tra Paesi interessati al fenomeno dell’ immigrazione ed attraverso un più efficace sistema di dialogo e consultazione tra Governi e organizzazioni internazionali.

Le migrazioni e le difficoltà che gli immigrati devono affrontare è un tema che occupa e preoccupa la Chiesa.

La Chiesa nella sua universalità, ma anche nella sua realtà locale, è chiamata a scrutare ed interpretare, alla luce del Vangelo, un tale segno del nostro tempo, cogliendone non soltanto le “piaghe” e le lacerazioni, ma anche i messaggi di speranza offerti dalla stessa vicenda migratoria. Tale discernimento deve:

- portare a sensibilizzare l’opinione pubblica sugli atteggiamenti, sui modi di porsi e di vedere il fenomeno dell’immigrazione;

-            interagire con i responsabili delle leggi relative alle immigrazioni;

- ispirare, nelle Chiese particolari, azioni e strutture che tutelino la persona umana, ma anche l’istituto famigliare interessato dall’immigrazione.

Prima di tutto è importante aiutare l’opinione pubblica a vedere l’immigrazione non solo come una realtà che fa problema, ma come un fenomeno fisiologico da valutare nella sua positività.

Lo stesso Beato Giovanni Scalabrini, l’apostolo degli emigrati, insegnava che l’arrivo degli immigrati è una occasione importante di crescita per la nostra fede e un contributo per creare l’unità tra gli umani.

E questo aspetto che desidero evidenziare perché mi pare che, in genere, sia poco sottolineato.

La mobilità umana in atto è una opportunità, e non solo una minaccia al nostro benessere, alla nostra cultura, alle nostre istituzioni e al nostro senso religioso.

- L’esperienza immigratoria fornisce un grande contributo all’economia globale; contributo che generalmente passa inosservato.

- Inoltre, considerati i bassi tassi di natalità di molti Paesi industrializzati, il mantenimento della prosperità economica di queste nazioni dipende, in parte, proprio dalla migrazione internazionale.

- Anche per l’Italia gli immigrati sono una risorsa, soprattutto dal punto di vista demografico e occupazionale; grazie ad essi la popolazione non diminuisce e si aggiunge una quota di forza lavoro suppletiva indispensabile in diversi lavori.

Solo nel 2005 sono nati in Italia circa 50.000 figli di stranieri; ed altrettanti sono i bambini nati da coppie miste.

Dall’ultimo Censimento sappiamo che gli immigrati, lungi dall’essere ignoranti, hanno un livello di istruzione buono. In Italia tra i residenti stranieri abbiamo: 12,1% laureati; diplomati 27,8%; licenza media 32,9%.

I tanti dati evidenziati dall’Osservatorio Romano sulle migrazioni, elaborati dalla Camera di Commercio e Caritas Romana, ci dicono che l’immigrato non solo si va sempre più integrando nel tessuto del mercato economico del Paese, dal settore dei servizi a quello edilizio, ma ha anche intrapreso la via del protagonismo personale: il 7% delle imprese romane è in mano ad un imprenditore straniero.

- Per quanto riguarda i Paesi di origine, le rimesse in denaro (secondo i dati rilevati nel 2005) ammontano a circa 150 miliardi di dollari all’anno (125 miliardi di Euro), ossia tre volte tanto il valore degli aiuti pubblici allo sviluppo.

- Le migrazioni sono pure un possibile veicolo di dialogo e di annuncio del Messaggio Cristiano; sono occasione di nuova Evangelizzazione e di Missione, con spazio anche per il dialogo interreligioso, e per un sostegno della dimensione spirituale di tutti.

Si può essere nello stesso tempo saldi nei valori più autentici della cultura occidentale e aperti alle altre culture e al dialogo.

Lo stesso Cristo può essere ulteriormente riscoperto quando si testimonia il Divino assieme ad altri credenti.

Sotto l’aspetto religioso le opportunità che l’immigrazione offre sono diverse. Tra gli emigranti in Italia abbiamo il 49,5% di cristiani; di questi: 22,6% cattolici, 20,3% ortodossi, 4,7% protestanti e 1,9% altri gruppi cristiani.

I musulmani sono il 33%; gli ebrei lo 0,3%; induisti 2,4% e buddisti 1,9%. I sacerdoti stranieri in Italia sono oltre 25.000; di questi quasi 2.000, per il loro servizio pastorale, sono iscritti al sistema di sostentamento del Clero.

Tutta questa realtà migratoria viene a trovarsi in un mondo occidentale dove lo stile di vita è percorso da una cultura edonistica che confonde il senso degli affetti, e da una cultura consumistica che confonde il senso del lavoro.

I tanti latino-americani e i filippini cattolici, se curati spiritualmente in modo opportuno, possono aiutare il tessuto italiano a non perdere la propria “anima” cristiana.

I latino-americani e i filippini possono sostenere il senso cattolico della famiglia, un senso cattolico della comunità, un amore cattolico per la vita, generosità e rispetto per la dignità della persona, anche quando è anziana.

La presenza in casa nostra dei Cristiani non cattolici ci offre la possibilità di conoscersi, di frequentarsi, di parlare assieme, di pregare insieme e di sostenere reciprocamente la profonda aspirazione a una piena unità della Chiesa Cattolica e Ortodossa.

La presenza dei non Cristiani offre non solo l’opportunità di rafforzare la nostra fede donandola, ma anche di ravvivare lo spirito missionario delle nostre Chiese locali e così rendere più luminoso “il volto missionario delle Parrocchie in un mondo che cambia”.

Attraverso il dialogo esistenziale e l’annuncio, ogni anno diversi stranieri che sono tra noi si aprono alla fede in età adulta e ricevono il Battesimo.

I numerosi sacerdoti stranieri, debitamente sostenuti ed aiutati, potrebbero suscitare un ruolo attivo del laicato nella catechesi, nell’assistenza sociale degli immigrati all’interno della loro stessa comunità.

Un altro aspetto positivo da sottolineare è la possibilità, tramite i sacerdoti stessi, di concretizzare una ecclesiologia di comunione, tra le Chiese di partenza e di arrivo degli immigrati, intessendo un dialogo e una cooperazione per il bene di tutti gli interessati.

Nel nostro Paese Italia, alle tante sfide da affrontare, se ne aggiunge un’altra: è la sfida di frontiera, quella dei confini geografici, che siano chiamati non a restringere sulla misura del nostro benessere, bensì ad allargare, nella misura del possibile, con l’accoglienza, l’ospitalità, con la buona cittadinanza offerta anche a chi viene da lontano.

La comunità cristiana può dare il suo contributo significativo alla progressiva integrazione ecclesiale e civile quando, come indica Papa Benedetto, si adopera affinché “chiunque si trovi lontano dal proprio Paese, senta la Chiesa come una patria dove nessuno è straniero”.

E questo impegno vale in particolare per i migranti della seconda generazione. Una priorità fondamentale è proprio quella di accogliere ed educare i figli degli immigrati: una istruzione di qualità è importante per il nostro futuro.

Per guardare avanti con fiducia bisogna investire in educazione secondo linee progettuali chiare relativamente ai fini da raggiungere, ai lavori da promuovere e ai protagonisti da sostenere. Nel contempo bisogna fare, dialogare ed interagire i vari “mondi”: famiglia, associazioni- smo, Parrocchia, ente locale ed Istituzioni.