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Gli ambiti pastorali: la cittadinanza (B. Mioli)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/06


I CINQUE AMBITI PASTORALI

 

LA CITTADINANZA

 

di Bruno Mioli

 

Premesse

1. Non meno degli ambiti precedenti, la cittadinanza interessa il cristiano e la testimonianza che egli deve rendere all’interno e all’esterno della comunità cristiana. Tanto è vero che il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa torna sul tema “cittadinanza e cittadino” per una trentina di volte.

2. Cittadinanza è una categoria cristiana anche per il fatto che fa entrare nel cuore della rivelazione e ci dà quasi l’identikit di chi ricevendo il battesimo è già diventato partecipe della “città celeste” e del suo anticipo qui in terra che è la Chiesa.  Però il termine, come dice la Traccia, esprime anche “la dimensione dell’appartenenza civile e sociale degli uomini”. Ed è su questa appartenenza che va la nostra considerazione, con riferimento all’emigrazione.

Cittadinanza mondiale

1. è sempre la Traccia che parla dei “grandi temi della cittadinanza mondiale”. Questi sono: “fame, povertà, giustizia economica internazionale, emigrazione, pace, ambiente”. A ben considerare l’emigrazione non è soltanto uno dei sei casi ma è quello che sta al centro e dice stretto rapporto con quelli che precedono e seguono.

2. Dice stretto riferimento anche agli altri cinque, dei quali è sempre effetto e talora anche causa, perfino dell’ultimo, l’ambiente. Infatti migrazioni anche di massa sono talora dovute a disastri naturali, come la siccità e la desertificazione. Anche per questo motivo il problema delle migrazioni prende dimensione mondiale.

3. In questo contesto mondiale che significato ha parlare di cittadinanza? Questa parola subito ci richiama la saggezza degli antichi che parlavano dell’uomo come “cittadino del mondo” e come tale titolare di diritti e doveri universali. I cosiddetti diritti umani, iscritti nella natura dell’uomo, che precedono ogni formulazione scritta e giuridica. Diritti fondamentali, inalienabili, che vanno rispettati e tutelati in ogni ambiente e circostanza.

4. Questi diritti umani hanno trovato però formulazione scritta, oltre che nella tradizionale dottrina della Chiesa, anche nella Carta dei diritti dell’uomo formulata dalle Nazioni Unite nel primo dopoguerra: “La carta dei diritti dell’uomo”, tra i quali il diritto ad emigrare. Tali diritti sono stati poi maggiormente specificati in successive Carte internazionali, non solo delle Nazioni Unite ma pure di altri organismi con le medesime strettamente connesse, come l’Ufficio Internazionale del Lavoro; quanto ai lavoratori migranti questi diritti sono stati proclamati solennemente e in forma molto articolata nei 96 articoli che compongono la “Convenzione ONU sui diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie” approvata il 18 dicembre 1990. Però è entrata in vigore solo nel 2004, quando il ventesimo Stato ha ratificato questa Convenzione che in sede ONU era stata approvata dalla totalità degli Stati Membri, compresa l’Italia e gli altri Paesi che attualmente costituiscono l’Unione Europea, nessuno dei quali finora ha proceduto alla ratifica.

5. Di questi diritti umani, come s’è detto, è titolare anche il migrante sia regolare che irregolare e ne deve essere pienamente cosciente il cristiano. In lui, in forza del Vangelo che ha come precetto fondamentale l’amore non disgiunto dalla giustizia, ha particolare risonanza la sentenza antica: “Homo sum et nihil humani a me alienum puto - Sono uomo e niente di umano ritengo a me estraneo”. Farsi carico dei problemi delle migrazioni e delle loro cause su scala mondiale è imperativo categorico per il cristiano: deve trovarsi in prima fila. è contento che anche altri se ne facciano carico anche per motivazioni che non derivano dal Vangelo, ma non deve limitarsi a delegare ad altri questo impegno senza il quale non c’è coerenza cristiana;  deve anzi sentire profondo disagio se su questo campo “i figli della luce” lasciano che altri, singoli e movimenti, siano più scaltri e attivi anche con forme di denuncia e di contestazione, quelle però che non degenerano in forme di illegalità e di violenza.

6. è per questo che egli trova logico appoggiare la campagna ora in corso in Italia e in Europa per la ratifica da parte dei Paesi occidentali della predetta Convenzione. La Fondazione Migrantes assieme ad altri organismi di ispirazione cristiana fa parte del comitato promotore di questa campagna ed è impegnata nella raccolta delle firme, idealmente di un milione di petizioni, che sollecitino il nostro e gli altri Governi ad attivarsi entro breve tempo per la ratifica.

Cittadinanza europea

1. Qui il problema si fa più concreto e urgente. L’Unione Europea è giunta ad estendere ora a 25 Paesi una specie di cittadinanza europea, espressa anche in forme del vivere civile, com’è la libera circolazione su tutto il territorio dell’Unione anche per motivi di lavoro e di studio. Ne godono gli oltre quattrocento milioni di cittadini dei vari stati membri.

2. E i 18 milioni di non appartenenti all’Unione Europea? Quelli che solitamente chiamiamo gli “extracomunitari”? Essi continuano ad essere considerati stranieri, senza diritto di cittadinanza. Qualche passo però è stato fatto anche recentemente nella tutela dei loro diritti in genere e del diritto di permanenza nonché di circolazione al di dentro dell’Unione, acquisizioni che possiamo far rientrare nel diritto di cittadinanza. è del 23 gennaio l’entrata in vigore della Direttiva del 25 novembre 2003 (109/CE/03), relativa allo “status dei cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo nella U.E.”. è un passo avanti, ma è da lamentare che pochi stati membri  hanno finora ratificato e, Italia compresa, rischiano per questa inadempienza provvedimenti sanzionatori. Vanno promosse pertanto le iniziative per sollecitare i nostri Governi alla coerenza e pertanto a questo doveroso adempimento.

3. Va poi segnalata la recente campagna per la cosiddetta “Cittadinanza europea di residenza”. Anche per questa campagna, col coinvolgimento pure qui nella Migrantes, è in corso una petizione popolare col tentativo di raccogliere un milione di firme. Questo principio della cittadinanza europea di residenza si chiede che sia ufficialmente riconosciuto e possibilmente inserito nel Trattato Costituzionale. Attualmente l’articolo 47 del Trattato Costituzionale dice che  la cittadinanza europea è la sommatoria delle Nazionalità dei diversi Stati membri. Automaticamente ne sono esclusi gli extracomunitari. La modifica dell’articolo che viene proposta suona così: “è cittadino dell’Unione chiunque abbia residenza nel territorio in uno Stato membro o abbia la nazionalità di uno Stato membro”. La proposta può essere sintonizzata con l’accennata Direttiva per i “soggiornanti di lungo periodo”; si può anzi ipotizzare che siano proprio i “long term” residenti ad acquisire automaticamente questa cittadinanza. Il riconoscimento di diritto non si limita ad una affermazione di principio, può avere conseguenze pratiche di notevole importanza, come la libera circolazione in tutto il territorio dell’Unione.

Cittadinanza in Italia

1. In fatto di cittadinanza il pensiero va immediatamente alla legge italiana del 1992 che restringe rigorosamente l’acquisizione della cittadinanza italiana per stranieri, non soltanto stabilendo una previa permanenza continuativa sul territorio dello Stato per 10 anni, ma lasciando poi l’acquisizione non a un diritto ma a un atto discrezionale di benevolenza delle nostre Istituzioni. Sembrano ormai maturi i tempi per allargare questa rigida strettoia del “ius sanguinis” e meglio armonizzarla col “ius soli”. Già sono depositate in proposito diverse proposte di legge da parte dei più disparati movimenti politici. Si spera che con la prossima legislatura si faccia qualcosa di concreto, ma non ci si può accontentare come cristiani di stare alla finestra e guardare incuriositi come gli altri si muovono: occorre una esplicita scelta di campo e una conseguente pressione sulle forze politiche perché non rimandino a domani quello che si può fare oggi.

2. Per quanto importante sia questa cittadinanza in termini legali, giuridici, molto più importante è la cittadinanza effettiva, ossia il riconoscimento di fatto che lo straniero è parte attiva della “civitas” e gli vengono offerti strumenti per l’esercizio concreto di questa appartenenza “civile e sociale”, come si legge nella Traccia, la quale tuttavia lega la cittadinanza alla “idea di un radicamento in una storia civile, dotata delle sue tradizioni e dei suoi personaggi”. Veramente ci sembra un’idea un po’ restrittiva, perché fa guardare indietro a un passato, mentre la cittadinanza è un valore del presente e proietta nell’immediato futuro. Ora costruttori di questa città del presente e del futuro lo sono anche gli stranieri e forse non meno che gli italiani, anche dal punto di vista demografico; in tal senso intendiamo valorizzare quanto viene aggiunto nella Traccia: tipico della cittadinanza è anche “il suo significato universale di civiltà politica”, un significato grazie al quale anche gli stranieri si sentono a loro agio, già pienamente integrati con gli italiani o in via accelerata di integrazione, insomma cittadini fra i cittadini, anche se non hanno in mano il certificato di cittadinanza italiana, ma  godono di fatto di una cittadinanza effettiva e riconosciuta.

3. Quali le espressioni di questa cittadinanza effettiva? In genere diciamo: lo sono il godimento, garantito dalla legge, sia dei diritti fondamentali, che dei diritti civili ed anche sociali.

- Quanto ai diritti fondamentali l’articolo 2, comma 1 della legge sull’immigrazione si esprime così: “Allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti”. Ciò vale anche per l’irregolare.

- Quanto ai diritti civili, riservati ai regolari, il comma 2 aggiunge: “Lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato gode dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano”. Riconoscimento simile al comma 3 per il “lavoratore” straniero, cui è garantita parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani”.

- Quanto ai diritti sociali, applicabili in parte anche agli irregolari, (ad es. diritto all’istruzione, al ricongiungimento familiare, alla salute) se ne parla in diverse parti della legge.

4. Più in concreto la cittadinanza effettiva fa passi avanti quando vengono garantiti con vera efficienza i seguenti istituti:

- il permesso di soggiorno, che però deve godere della certezza del diritto, fuori dell’eccessiva instabilità e precarietà di cui soffre attualmente;

- la carta di soggiorno, grazie alla quale questa certezza del diritto si rende pienamente effettiva, non più soggetta ad espellibilità per mancanza di lavoro o qualche devianza di non grosso rilievo;

- il voto amministrativo concesso come diritto senza ulteriori ritardi e, nel frattempo, l’istituto dei “consiglieri aggiunti, e delle varie consulte a livello comunale, provinciale, regionale, col grande auspicio che venga riesumata, in adempimento dell’art. 42 del T. U., quella nazionale.

Sono tutti campi in cui il cristiano è chiamato a combattere la buona battaglia.

Cittadinanza in ambito di fede e di Chiesa

1. Cittadino e cittadinanza hanno un significato profondo anche in riferimento alla nostra identità cristiana, sia personale che comunitaria. Il più esplicito in tal senso è Paolo nella Lettera agli Efesini: “Voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio” (2, 19). Anche nella Lettera ai Filippesi: “La nostra cittadinanza è nei cieli” (3, 20). In forza di questa cittadinanza fra i cristiani non può esserci né schiavo né libero: tutti uguali, di pari dignità, perché una cosa sola in Cristo Gesù o, come Paolo dice altrove (Lettera agli Efesini) un solo popolo, mentre prima si era “non popolo”.

Ne consegue che in questo mondo i cristiani sono “stranieri e pellegrini”, come ricorda Pietro nella Prima Lettera (2, 11).

Come essere allo stesso tempo cittadini e stranieri? Ne fa una splendida armonizzazione la celebre Lettera a Diogneto, citata nella Traccia.

2. Questa visione di fede proietta luce anche sull’appartenenza alla Chiesa: in forza del Battesimo si è membri della Chiesa tutti allo stesso modo, radicalmente con pari diritti e doveri. Abbondante a tal proposito il Magistero che si può riassumere nella formula, abitualmente attribuita a Giovanni Paolo II, ma usata da diversi Papi: “Nella Chiesa nessuno è straniero e la Chiesa non è straniera a nessuno”. Anche il Codice di diritto canonico nel Libro II dedicato a “Il Popolo di Dio” tratta di questi diritti e doveri comuni a tutti i cristiani (cann. 208-231).

3. Si è ascritti però a una chiesa particolare (il libro del Battesimo ha un più forte significato nella Chiesa orientale che occidentale), con la quale non può essere cancellato del tutto il legame. In quella Chiesa particolare dopo il battesimo si è sviluppata la vita cristiana in un determinato contesto catechetico, liturgico, linguistico, culturale, sociale: tutto ciò fa parte del proprio patrimonio anche religioso e deve essere rispettato e tutelato anche al di fuori dell’ambito geografico di quella Chiesa, tanto più se, compromettendo questo patrimonio, venisse compromessa di fatto la stessa fede e la vita cristiana.

4. Tutto questo induce la Chiesa a parlare di una pastorale specifica per gli stranieri, che rispetti e valorizzi questo patrimonio da non identificare con la fede e la vita cristiana ma di forte sostegno per  la fede e la pratica della vita cristiana. Criterio per valutare fino a quando va rispettata questa identità personale e di gruppo anche attraverso una pastorale specifica è la “vera utilità del fedele” (DPMC, 12). Perciò è aberrante  la pretesa di chi vuole inserire/integrare lo straniero nelle strutture della Chiesa territoriale nella misura in cui viene a conoscere la lingua del luogo o a scadenza prefissata di due o più anni.

5. Tuttavia è un grande valore anche l’integrazione nella Chiesa locale, integrazione che per essere autentica e non fare violenza ai sacrosanti diritti del battezzato deve essere spontanea e progressiva; nulla da eccepire se il cattolico straniero, per suoi motivi e gusti personali, anticipa questa integrazione e vuole sentirsi a pieno titolo membro della parrocchia territoriale della Chiesa di accoglienza. è però legittima e, spesso di incalcolabile bellezza e utilità anche la formula della duplice appartenenza, formula che nella Chiesa incontriamo con tanta frequenza (si pensi ad esempio alle comunità religiose presenti sul territorio della parrocchia, agli scout, ai gruppi di catecumenato, di rinnovamento nello spirito, dei focolarini) e per tutti si impone l’esigenza, che non è puramente disciplinare ma “ecclesiale” di armonizzare le attività e i tempi dedicati al rispettivo gruppo e il doveroso senso di appartenenza effettiva e attiva alla vita della propria parrocchia.

Questa “cittadinanza di Figli di Dio e della Chiesa, vissuta in atteggiamento di fede e con vero spirito ecclesiale, non mancherà di avere una positiva ricaduta, in termini di mentalità e di operosità, anche in ambito civile. Il buon cittadino della città celeste non può non essere buon cittadino della città terrena.