» Chiesa Cattolica Italiana » Documenti »  Documentazione
Piani pastorali C.E.I. e migrazioni (G. Nervo)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/06


PIANI PASTORALI C.E.I. E MIGRAZIONI

 

di Giovanni Nervo

 

Premessa

Con la regolare cadenza di 10 anni la Chiesa italiana dal 1976 ha tenuto, nel quadro del piano pastorale decennale, un grande Convegno Ecclesiale: nel 1976 a Roma, su: “Evangelizzazione e promozione umana”; nel 1985 a Loreto su: “Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini”; nel 1995 a Palermo su: “Il Vangelo della carità, per una nuova società in Italia”; nel 2006 lo terrà a Verona sul tema: “Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo”.

E un avvenimento di grande importanza che coinvolge tutte le componenti del popolo di Dio, pastori, religiosi e laici, sia nella fase di preparazione, sia nella celebrazione del Convegno, in una profonda riflessione, alla luce della Parola di Dio, sulla vita interna della Chiesa e sui suoi compiti e responsabilità di fronte ai problemi del mondo.

Della ricchezza e profondità di questa riflessione, e anche dei suoi limiti, ci si rende conto rileggendo gli atti di quelle manifestazioni.

Sarebbe interessante e utile analizzare come realmente in questi convegni hanno trovato spazio i problemi più vivi della Chiesa e della società civile, come la Chiesa ha saputo porsi di fronte ad essi e quale incidenza hanno avuto poi gli indirizzi emersi dai convegni.

E vero che la Chiesa è il mistero della presenza e dell’azione dello Spirito, di cui non si può verificare e valutare l’efficacia con strumenti umani, ma è anche vero che sono verificabili e valutabili gli strumenti umani che usiamo nel lavoro pastorale e che possono favorire o ostacolare l’azione dello Spirito. Ma questo non è nel nostro diffuso costume pastorale.

Ad esempio non sarebbe tempo sprecato dedicare una giornata del Convegno di Verona per verificare se e in quale misura sono state attuate le 46 proposte emerse dai cinque ambiti di ricerca del Convegno di Palermo. Ovviamente ciò richiederebbe un adeguato lavoro preparatorio in questa direzione.

Migrantes ha l’interesse specifico di vedere come la Chiesa ha affrontato il problema delle migrazioni, nella sua evoluzione, sia in riferimento alla emigrazione italiana, sia a quella delle immigrazioni in Italia.

Il primo convegno ecclesiale: Roma 1976

Nel 1976 il problema delle immigrazioni non era ancora apparso all’orizzonte. C’erano gli studenti stranieri: se ne era occupato con molta passione e intelligenza mons. Remigio Musaragno nell’ambito dell’Ufficio Missionario nazionale con l’UCSEI (Ufficio cattolico studenti esteri in Italia); ma era un fenomeno di limitate dimensioni e provvisorio: gli studenti, terminati gli studi, in gran parte rientravano nei loro paesi.

C’era invece l’immigrazione interna, dal sud al nord.

Dall’indagine preparatoria al Convegno del 1976 la Chiesa italiana non sembrava molto attenta a questo fenomeno, sebbene avesse dimensioni considerevoli. Anzi appare la difficoltà all’accoglienza del diverso nelle risposte delle Chiese locali alle domande poste dal Convegno: “Esiste pressoché nessuna sensibilità umana, sociale, cristiana nei confronti degli emarginati (…). Caratteristico l’esempio della emarginazione degli immigrati (che erano i meridionali emigrati al nord). In una inchiesta fatta da una diocesi del nord Italia sulla immigrazione dal sud, due bambini della scuola media scrivono: «Non ci gioco molto volentieri con loro, perché mi fanno un po’ schifo», «secondo me, non si sentono contenti di vivere qui, perché per me si sentono umiliati». La riflessione di quella Chiesa continua: «I cristiani non accolgono con simpatia queste persone, le sopportano (…). La comunità cristiana è di scandalo per i suoi pregiudizi e mancanza di amore (…)». In questo contesto è chiaro che l’annuncio di Cristo liberatore non dice nulla”.

Nel Convegno del 1976 non c’è nessun cenno al fenomeno dell’immigrazione dai paesi poveri che esploderà nel decennio successivo, ma affiora già quella cultura della non accoglienza e del rifiuto che caratterizzerà il mondo leghista, che si manifesterà nelle regioni italiane in cui sembrava più sviluppata la pratica religiosa.

E auspicabile che il Convegno di Verona, per dare speranza al mondo dei poveri, che con immensi rischi e sacrifici tentano di approdare in Italia, prenda una posizione chiara e precisa su questo punto, perché non possa usurpare il nome di cristiano chi si presenta alle prossime elezioni con il programma, come è stato detto da un leader leghista, di cacciare dall’Italia tutti gli immigrati “perché non contaminino la nostra razza”.

Il secondo convegno ecclesiale: Loreto 1985

Il Convegno del 1985 si celebra a Loreto quando in Italia c’è già oltre un milione di immigrati, tutti irregolari, perché non c’è ancora una legge che regoli il fenomeno e stabilisca diritti e doveri. La prima legge sull’immigrazione, infatti (legge Foschi), verrà nel 1986, riguarda soltanto i lavoratori e di fatto non viene applicata, perché manca di copertura economica: stabilisce infatti per gli immigrati il diritto all’accesso ai servizi sul territorio, ma non fornisce agli enti locali i mezzi per erogare i servizi.

Il fenomeno troverà una regolamentazione più efficace nella legge Martelli del 1990 e nella successiva legge Turco-Napolitano, svuotata poi, con la vittoria politica delle destre, dalla legge Bossi-Fini.

Tutto questo lascia comprendere che il mondo dell’immigrazione - che veramente è il mondo degli ultimi - è un mondo in grave sofferenza.

Questo problema ha trovato eco nella commissione 25 dell’ambito E) del Convegno di Loreto, dove si dice:

“Anche sul tema dell’emigrazione all’estero e dell’immigrazione straniera nel nostro paese occorre assumere una rinnovata coscientizzazione superando il divario fra affermazioni e prassi pastorale. La scelta degli ultimi sia veramente la scelta degli ultimi, anche sprovincializzando le nostre Chiese e assumendo la dimensione universale della Chiesa. I problemi degli emigrati italiani (5 milioni nel mondo - 2 milioni in Europa) concernono i diritti fondamentali della persona (al lavoro, alla sicurezza sociale, ecc. ); l’identità culturale; i rientri in patria che, talvolta, costituiscono una nuova emigrazione.

L’accoglienza nelle Chiese locali deve essere la piena accoglienza dei figli di Dio. Nessuno può essere straniero in patria!

Sono ancora necessarie le missioni etniche come ponte tra Chiesa di partenza e Chiesa di arrivo.

E urgente impegnarsi per le vocazioni anche per il servizio agli immigrati, dimostrando già ora gratitudine a quanti sono già impegnati in questo settore.

La Chiesa del Signore è una Chiesa senza frontiere.

Ciò comporta che anche all’interno del nostro paese si debbano promuovere la presa di coscienza e la messa in atto di concreti segni di condivisione con gli immigrati stranieri che raggiungono quasi il milione di unità.

Verso questi fratelli l’impegno già in atto in alcune Chiese locali va potenziato e amalgamato, anche con il propiziare la conoscenza della lingua e della cultura italiana per una più rapida integrazione.

La Chiesa italiana si fa voce perché si abbia per loro una legislazione a livello nazionale e una contestuale sanatoria delle situazioni pregresse, nonché la rimozione della clausola geografica per i profughi.

La Chiesa italiana, mentre reclama e denuncia, deve offrire alle grosse comunità cattoliche estere, presenti in Italia - come etiopi e filippini - una responsabile e dignitosa partecipazione alla vita della Chiesa, nel rispetto della propria cultura e rito, offrendo quello spazio e quelle strutture che sono indispensabili per un cammino di comunione. Si auspica la promozione di un rapporto responsabile e continuativo fra diocesi italiane e diocesi straniere, tramite una commissione della CEI che abbia esclusivamente competenze in materia di immigrazione, rapporto che assicuri da una parte il servizio pastorale e dall’altra il ricambio dei sacerdoti. Questa è linea già indicata dal Concilio e ripresa nel vigente codice di diritto canonico.

Nord e sud è tema dalle molteplici implicazioni. Quelle sopraindicate sono sembrate alla commissione le più rilevanti sotto il profilo pastorale”.

La Nota pastorale dei vescovi “La Chiesa in Italia dopo Loreto” recepisce e fa proprie autorevolmente le istanze della 25a commissione: “Una comunità ecclesiale che voglia essere veramente riconciliata non può, infine, non farsi carico dei problemi della migrazione, promuovendo uno scambio profondo tra le comunità degli immigrati e la Chiesa locale in  cui essi vivono. Occorre oggi anche creare, dove non ci sono, strutture di accoglienza per gli immigrati, specie dal terzo mondo, stimolando al contempo un’adeguata legislazione a tutela dei loro diritti umani”.

Il fenomeno dunque della immigrazione è ben presente nella riflessione della Chiesa al Convegno di Loreto, ma quasi come un normale ambito pastorale da curare: non era ancora percepita l’ampiezza che il fenomeno avrebbe assunto e la gravità delle conseguenze pastorali.

Come non c’erano ancora i sintomi del crollo del muro di Berlino, che avrebbe riversato dopo il 1989 in Italia una massa di immigrati dai paesi della cortina di ferro.

Inizio e sviluppo dell’immigrazione in Italia

Il fenomeno dell’immigrazione di lavoratori era incominciato all’inizio degli anni ’80 con i primi nigeriani, che giungevano a Genova come marittimi, sbarcavano e rimanevano in Italia. Allora erano appena qualche migliaio e ricevevano assistenza dalla Caritas, dall’Ufficio missionario e dall’Ufficio diocesano per l’immigrazione in quello stesso Centro S. Giorgio in cui per quasi un secolo erano stati assistiti gli emigranti italiani che si imbarcavano per l’America latina. Ben presto però ci si accorse che l’assistenza non poteva essere la soluzione, anzi aggravava la situazione, perché creava negli immigrati l’illusione che comunque una soluzione per loro c’era.

Sotto lo stimolo di questa situazione i tre uffici pastorali della CEI - Caritas, Missioni, Emigrazione - condussero a livello nazionale per cinque anni una forte battaglia culturale di informazione e di stimolazione sugli organi politici responsabili perché affrontassero il problema con un pacchetto organico di leggi sul soggiorno, sul lavoro, sulla salute, sul rifugio politico, sullo studio degli immigrati.

Si giunse alla legge Foschi, come si è detto, soltanto nel 1986, ma senza copertura economica, quando il Censis stimava già una presenza di 1.200.000 immigrati.

Le istanze di Loreto alla Chiesa italiana

La 25a commissione del Convegno di Loreto presenta con sufficiente ampiezza il problema e presenta tre istanze alla Chiesa italiana:

1) “La presa di coscienza e la messa in atto di concreti segni di condivisione con gli immigrati stranieri”;

2) l’esigenza che la Chiesa italiana “si faccia voce perché si abbia per loro una legislazione italiana a livello nazionale, e una contestuale sanatoria delle situazioni pregresse”;

3) “la rimozione della clausola geografica per i profughi”.

La Nota pastorale dei Vescovi “La Chiesa in Italia dopo Loreto” ha fatto proprie le prime due istanze.

A vent’anni di distanza possiamo chiederci: con quale risultato?

Sulla prima istanza dobbiamo dire che la Chiesa italiana nel suo insieme è stata esemplare nell’accoglienza e nella condivisione, nonostante si sia sentita accusare molte volte di irresponsabilità e di buonismo.

Sulla seconda istanza la legislazione italiana si era andata sviluppando in modo positivo dalla legge Foschi (1986) alla legge Martelli (1990), alla successiva legge Turco-Napolitano; ma poi, come si è detto, con il cambio della dirigenza politica, è gravemente regredita con la legge Bossi-Fini (che inizialmente nella proposta di legge di iniziativa popolare portava i nomi Berlusconi-Bossi), basata sulla chiusura, sul rifiuto degli immigrati e sulla prevalente preoccupazione della sicurezza nazionale.

E da chiedersi come la Chiesa italiana ha reagito a questa legge a tutela dei diritti umani degli immigrati.

Ci furono autorevoli interventi di condanna: ma sufficientemente diffusi, costanti ed efficaci?

La “rimozione della clausola geografica” richiedeva che si superasse il limite della Convenzione di Ginevra, con cui l’Italia si impegnava a concedere rifugio politico soltanto a profughi provenienti dall’est europeo. Quel limite fu superato soltanto con un gruppo di profughi politici del Cile e poi con i profughi del Vietnam. E caduto completamente con la caduta del muro di Berlino.

A tutt’oggi però l’Italia non ha ancora una legge sui rifugiati politici sebbene la Costituzione dica che “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge” (art. 10).

Il terzo convegno ecclesiale: Palermo 1995

Il Convegno Ecclesiale di Palermo (1995) si tiene quando il fenomeno dell’immigrazione si è già enormemente dilatato. Con la caduta del muro di Berlino si sono riversati in Italia, regolari o clandestini, molte centinaia di immigrati dai paesi ex comunisti dell’est europeo e si sono creati problemi nuovi: l’aumento dei matrimoni misti, l’aumento di bambini figli di immigrati nelle scuole, la richiesta dei musulmani di avere propri luoghi di preghiera, le opportunità di sviluppare l’ecumenismo con gli immigrati ortodossi. Quale spazio hanno avuto nel Convegno di Palermo questi problemi?

Il titolo del Convegno “Il Vangelo della carità, per una nuova società in Italia” avrebbe richiesto un ampio spazio adeguato ai vari problemi. L’immigrazione infatti, si voglia o non si voglia, avrà un peso determinante nella nuova società in Italia, perché la sta trasformando in società multietnica, multiculturale, multireligiosa.

Nell’intervento conclusivo il Card. Ruini dice: “Una questione di bruciante attualità, anche di lungo periodo, è emersa con forza in diversi momenti del Convegno: quella degli immigrati. Invitando l’Italia ad aprirsi «in atteggiamento cordiale e solidale anche verso gli stranieri qui giunti alla ricerca onesta di un lavoro e di un futuro migliore» il Papa ha certamente dato voce ai sentimenti profondi di tutti noi qui riuniti”.

Però se si va alla ricerca nei vari documenti del Convegno non si trova che “la questione di bruciante attualità (…) degli immigrati (…)” sia emersa con forza. Al tema della “immigrazione extracomunitaria” è stato dedicato uno dei cinque incontri con la città, in cui si porta la testimonianza di due immigrati, del direttore della Caritas diocesana di Palermo e del direttore dell’ufficio diocesano per l’emigrazione, un intervento di un economista su “Immigrazione ed economia” e di un giurista, su “Immigrazione e legislazione”.

La Commissione 3C sull’ “Amore preferenziale dei poveri” inizia i suoi lavori con questa domanda: “Dove sono i poveri nella Chiesa? I poveri sono alle porte delle nostre Chiese, non dentro…”.

Viene da pensare che lo stesso valga per gli immigrati, perché i gravi aspetti umani e pastorali degli immigrati non affiorano nei temi affrontati e approfonditi dal Convegno: la cultura e la comunicazione sociale; l’impegno sociale e politico; l’amore preferenziale dei poveri; la famiglia; i giovani.

In realtà il Convegno di Palermo ha centrato la sua attenzione sui problemi interni alla Chiesa in Italia, in particolare sui problemi del Meridione e delle regioni dominate dalla mafia: non a caso il Convegno è stato tenuto a Palermo; mentre il problema della immigrazione, strettamente legato alla globalizzazione, richiedeva una apertura a tutti i problemi del mondo.

Questa apertura si è sentita più nei laici (ad esempio Cacciari e Verdone) che negli uomini di Chiesa.

Il Concilio dice che la parrocchia è la Chiesa universale presente in un determinato territorio. Questa apertura è ancora una meta da raggiungere che richiede profonde conversioni.

Comunque anche dopo il Convegno di Palermo possiamo chiederci: la Chiesa italiana ha sufficientemente presenti in tutte le sue sedi e a tutti i livelli le implicazioni umane e pastorali che ha già attualmente e che avrà soprattutto nel futuro il fenomeno della immigrazione?

I responsabili e gli operatori della pastorale, le comunità cristiane, le famiglie cristiane, i cristiani che hanno responsabilità pubbliche hanno sufficiente consapevolezza della dimensione e dell’entità del fenomeno delle immigrazioni che non si presenta, come abbiamo già detto, nella prospettiva evolutiva del futuro soltanto come comune emigrazione, ma come inizio di una trasmigrazione di popoli con evidenti conseguenze su tutta la vita ecclesiale e civile, sulla famiglia, sulla scuola, sulla catechesi, sulla amministrazione dei sacramenti, sulla stessa convivenza civile?

Secondo problema: quali implicazioni avrà, nella vita ecclesiale e civile, una massiccia presenza islamica in Italia in un momento in cui l’Islam mondiale è pervaso da pericolose correnti fondamentaliste?

La Chiesa ha sempre mandato missionari per annunciare il Vangelo nei paesi islamici. Che cosa significa ora annunciare il Vangelo ai musulmani che vivono dentro le nostre comunità?

Un terzo problema: di fronte all’inevitabile aumento di immigrati nelle nostre comunità quali problemi pastorali presenta quella parte di mondo “se-dicente” cristiano cattolico che rifiuta radicalmente gli immigrati come pericolo per la nostra cultura o per la fede cristiana? Se non si convertono potranno ancora chiamarsi cristiani? I responsabili della pastorale, gli operatori pastorali, i consigli pastorali preferiranno tacere per non rendere esplicite le divisioni e per non perdere presenze?

Il Convegno di Verona saprà affrontare anche questi problemi, illuminandoli con la luce della speranza, cioè mettendo in evidenza anche quali opportunità pastorali, quali stimoli alla conversione, quali nuove risorse e prospettive può presentare alle comunità cristiane e ad ogni cristiano il fenomeno incalzante delle immigrazioni?