Quella religiosa è una delle dimensioni alle quali occorre oggi prestare grande attenzione perché portatrice allo stesso tempo di episodi di convivenza interreligiosa ma anche di situazioni fortemente problematiche.
Giovanni Paolo II nell’Enciclica “Redemptoris missio” sottolineava che le migrazioni hanno prodotto un fenomeno nuovo per cui numerosi non cristiani giungono nei paesi di antica cristianità obbligando questi a ricercare nuove forme di contatto, incontro, scambio e dialogo.
Ma cosa accade quando il paese di antica cristianità è proprio il nostro paese? Cosa succede se il non cristiano si avvicina a noi tanto da condividere i nostri spazi? Come è possibile far convivere credi diversi nella stessa città, nello stesso luogo di lavoro, sulle stesse strisce pedonali?
Ahmed è arrivato come clandestino quattro anni fa. In Marocco voleva studiare ma “quando la pancia è vuota la mente fatica a concentrarsi sul significato delle parole”. Nonostante questo Ahmed ha seguito le orme “del grande saggio” che è stato suo nonno e con grande fatica e grande impegno frequentava la scuola e lavorava sin da bambino.
Orfano di padre, il più grande di 5 figli, unico maschio in famiglia, Ahmed decide di partire alla ricerca della felicità o, meglio, “di una minore povertà”.
Giunge in Italia dopo un lungo e avventuroso viaggio per mare. Lui, che è nato sul mare quella notte ha avuto paura: pregava il suo dio affinché arrivasse sulla terra ferma sano e salvo, ma quando il nemico è il mare in tempesta è difficile non pensare che forse si è arrivati al capolinea.
Ahmed musulmano si è ritrovato a Roma nel centro della cristianità del mondo: aveva bisogno di mangiare e di dormire ma non aveva né pane né un letto. Allora gli hanno indicato la Caritas ed è lì che ha trovato conforto e amicizia. Gli anni sono passati, Ahmed è cresciuto, ha trovato un lavoro regolare dopo anni trascorsi nell’irregolarità: ha imparato a fare di tutto e “quando devi essere invisibile, la notte e il buio ti portano a fare strane e losche conoscenze”.
Il “suo” Dio, però, ogni volta gli sussurrava di non lasciare la retta via e così mentre incontrava chi gli proponeva furti e scippi, Ahmed pregava e un modo per andare avanti lo ha sempre trovato. Piano piano Ahmed si è affezionato a quegli amici, giovani come lui ma con i Crocifissi al collo, che pregavano un “loro” Dio ma che erano buoni con lui, sempre pronti a sostenerlo e a prestargli soldi nel caso in cui fosse rimasto al verde.
Ahmed sostiene che “non importa se sei cristiano, ebreo o musulmano quando uno ama la vita ed è per l’amore, non si ferma di fronte a un nome”.
E l’amore Ahmed l’ha trovato tra i suoi amici: Maria di due anni più giovane di lui, nata e cresciuta in una comunità vocazionale, profondamente legata alle tradizioni religiose del suo piccolo paese siciliano dal quale è emigrata per studiare medicina.
Uniti dal volontariato per gli altri soprattutto per i ragazzi diversamente abili, Ahmed e Maria sono oggi considerati volontari ‘storici’: “L’aiutare l’altro - afferma Ahmed -, chi è in difficoltà, chi non ha avuto una vita semplice o chi è solo meno fortunato di te in quel momento, mi ha permesso di sentirmi a casa, di sentirmi considerato. Nel corso del tempo ho sentito che quei ragazzi e gli altri volontari mi volevano bene e io avevo tanto bisogno di sentire che per qualcuno contavo qualcosa, avevo bisogno di sentirmi utile.
Oggi posso sicuramente dire che io avevo ed ho bisogno di loro molto di più di quanto loro avevano ed hanno bisogno di me!”
Ahmed ripercorre con la mente i momenti più belli trascorsi con questi ragazzi e il suo ricordo si sofferma sul Natale. “Al di là del significato delle feste, ciò che resta in me è il tempo della festa trascorso nella gioia e nel calore familiare. Ed è bello il rispetto dell’appartenenza perché facciamo festa insieme e così come io auguro buona festa a loro a Natale o a Pasqua così loro si ricordano delle ‘mie’ feste come la fine del Ramadan e fanno festa con me”.
Senza questa ‘nuova famiglia’ ritrovata a Roma Ahmed non avrebbe probabilmente seguito la strada che poi ha percorso: nei ritagli di tempo dal lavoro, spronato dagli amici e da Maria ha continuato a studiare. Lentamente e con fatica è arrivato al terzo anno di Lingue e letteratura straniera.
Oggi Ahmed e Maria sono marito e moglie “una scelta che ha provocato molte sofferenze perché le nostre famiglie non vedevano di buon occhio questo legame”. “Mia madre - racconta Maria - mi consigliava di lasciar perdere perché la vita è già difficile di per sé, ma se ciascuno di noi unisce lotte inutili diventa davvero invivibile per me, però, Ahmed non era una lotta inutile, non era un capriccio del momento, era l’uomo che amavo e con il quale ho deciso di trascorrere il resto della mia vita”.
Ahmed e Maria professano ciascuno il proprio credo nel rispetto di due principi sacri per entrambi: l’amore e la libertà.
“Ogni giorno ci ritroviamo a pregare nella stessa stanza, ciascuno il proprio Dio. Ognuno di noi può utilizzare nomi diversi per chiamare le cose a seconda della sua lingua. Così è con Dio. Se è indiscutibile che Dio è per l’umanità amore, allora ogni popolo e ogni uomo è libero di pregare perché ci sia amore nella propria vita e nel mondo in cui vive”.
Ahmed e Maria pregano insieme con preghiere diverse in lingua diversa ma con radici comuni, un Dio buono che guarda al bene e opera per la pace.
Qual è il segreto della convivenza fra i popoli nella pace?
Per Ahmed è la conoscenza. “Quando sono arrivato in Italia la vostra religione mi faceva paura, la sentivo troppo presente e troppo opprimente per me che non la professavo. Dovunque in questa città ci sono i segni di una Cristianità millenaria vissuta e sofferta e non faccio riferimento solo alle tante Chiese, ma ai più nascosti angoli delle strade dove su cornicioni storici o tra colonne antiche compaiono statue e altari di devozione. Col tempo ho capito il segreto: io non dovevo condividere, ma conoscere. Solo la conoscenza mi ha permesso di rintracciare quegli elementi simili, quei principi universali che poi oggi mi permettono di vivere felicemente con Maria: l’amore, la libertà e la preghiera meditata”.
La semplicità di queste parole stupisce e colpisce e ci lascia disarmati di fronte alle tante guerre combattute e che hanno come oggetto del contendere l’appartenenza religiosa.
Ahmed lavora in un negozio di abbigliamento e l’assunzione regolare è arrivata anche per la sua capacità linguistica. Ahmed ha sempre avuto facilità di apprendimento delle lingue: italiano, francese, ma anche inglese sono state la sua fortuna. Oggi lavora in una importante boutique al centro.
“Il contesto lavorativo è un’altra fetta importante della vita di un uomo. Scherzando dico sempre a Maria che trascorro molto più tempo con Elena, una mia collega, che con lei! In questa frase è racchiuso una grande verità: l’importanza che il posto di lavoro ha per un uomo. La quotidianità vissuta felicemente con i colleghi di lavoro è indispensabile perché poi 10 ore al giorno sono, nel lungo periodo, una fetta importante di vita. Amo molto il mio lavoro perché mi permette di stare a contatto con le persone. E arrivato in un momento inaspettato e devo ringraziare alcuni dei miei amici del volontariato che mi hanno presentato al proprietario. Oggi riesco a mantenere una famiglia e gli studi di mia moglie. Maria è, infatti, ancora impegnata con la specializzazione, ma presto diventerà una bravissima pediatra”.
Ahmed si ritiene un uomo fortunato, ma non può e non vuole dimenticare la fatica dei primi tempi, gli anni trascorsi da clandestino “in cui ha imparato che l’assenza, l’essere obbligatoriamente non visibile è quello che più costa a un giovane pieno di vita che urla il suo essere nel mondo”.
“Da musulmano non posso non essere riconoscente al grande aiuto che la Chiesa in Italia ha dato a me e continua a dare a tanti miei fratelli che oggi si trovano nelle stesse mie condizioni di allora, di estrema povertà e sofferenza. E importante però che questo non avvenga perché è un principio del Cristianesimo. E importante per l’unione tra popoli di fedi diverse che l’accoglienza sia un principio universale che vada al di là della confessione religiosa. Lo spirito di aiuto e di soccorso deve essere tanto del musulmano, quanto del protestante, del cattolico o dell’ortodosso”.
Questo è ciò che la società multiculturale e multireligiosa richiede: rileggere i principi delle varie confessioni religiose in chiave universale e alla luce della società che oggi ci circonda. Dialogo interreligioso è pregare Dio che è all’inizio dei tempi. Per ciascun uomo che è su questa Terra Dio non può essere per la morte: ciò sarebbe contro la storia dell’uomo.
Dio è per ogni popolazione del mondo un Dio della vita che gioisce e si intenerisce di fronte al sorriso di un bambino e che conforta e consola di fronte al dolore e alle lacrime.
“La fratellanza è possibile. Basta solo non dimenticare che su questa terra siamo tutti uomini uguali in quanto esseri umani ma con spiritualità, caratteri e carismi diversi. La diversità è ricchezza. Ti immagini un arcobaleno di un solo colore? Mi spieghi che senso avrebbe? La stessa cosa vale per il mondo e l’umanità: che senso avrebbe se fossimo tutti uguali? Dove sarebbe il bello delle sfumature?”.