» Chiesa Cattolica Italiana » Documenti »  Documentazione
Ricordando Mons. Luigi Petris (L.B. Belotti)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 1/06


Se l’essere missionario significa aver sollecitudine per tutta la Chiesa, senza steccati di colore, cultura, nazionalità come il Concilio Vaticano Il e il Magistero della Chiesa continua a insegnare, Don Luigi lo fu sempre.

Se essere missionario significa avere predilezione per gli ultimi, gli emarginati dalla società - i migranti sono tra questi - Don Luigi lo fu per tutta la sua vita di sacerdote.

La personalità umana, culturale, pastorale, spirituale del compianto amico e fratello Don Luigi è inscindibile da questa veste che non deve essere solo sacerdotale ma anche di ogni vero cristiano. Ne ho potuto gustare la forza e l’esemplarità. Gli sono perciò debitore, come lo sono stati tanti laici e sacerdoti da lui avvicinati e a lui avvicinatisi.

Fu un missionario dal cuore grande grande che nei quasi quarant’anni di ministero nel campo migratorio ha cercato di modellarsi alle comunità a lui affidate:

- la missione tra i migranti di Saarbrücken lo ha temprato e irrobustito;

- il compito di Delegato dei Vescovi per i missionari di tutta la Germania lo ha forgiato ed educato;

- l’impegno a Roma come direttore di tutti gli emigrati italiani nel mondo lo ha entusiasmato;

- il servizio prestato a tutti i settori della mobilità umana come Direttore Generale Migrantes hanno dato al suo cuore una dimensione, un battito mondiale.

Non per nulla è stato definito: uomo, cristiano, prete senza confini. Un cuore che ha saputo servire e amare senza misura. Fu un missionario con una intelligenza concreta e una volontà creativa prodiga, generosa, sempre disponibile, testarda a volte. Confesso di aver patito un po’ di gelosia vedendolo lavorare senza interruzione per ore e ore… a volte saltando i pasti. Non una volta sola i custodi degli uffici gli hanno ricordato gli orari di lavoro. Un giorno gli dissi scherzando: ti meriti la laurea laboris causa. Un’intelligenza e volontà consacrate all’ideale di farsi fratello coi fratelli migranti.

Fu una vita profondamente sacerdotale. Niente fronzoli, ma tesa all’essenziale: nutrita di solida dottrina anche se priva di titoli e ornata di rispetto e riverenza come aveva promesso nel giorno della sua ordinazione sacerdotale. Una vita che ha saputo coltivare l’amicizia soprattutto con quanti vivevano le stesse problematiche. E giusto che si aspetti e gli si dica un “grazie”, un grazie grande quanto il mondo che ha percorso per visitare, confortare, consigliare, sostenere i confratelli e i migranti nella certezza però che sarà il Signore a coronare con un “grazie eterno” una vita - la sua - data in dono per i fratelli migranti, per la gloria di Dio e per il bene della Chiesa.

Penso di aver interpretato i sentimenti degli operatori sacerdoti e laici della Migrantes, dei membri della Commissione episcopale italiana per le migrazioni, dei sacerdoti e amici che hanno come lui e con lui condiviso in Italia o all’estero lavoro, fatica, gioie e speranze. E mia convinzione che la sua “testardaggine” non verrà meno neppure davanti al Signore e alla Madonna. Troverà tempo e modo per intercedere per il mondo migrante e per le sue urgenze pastorali e sociali, senza dimenticare i fratelli che durante la sua malattia gli sono stati “veri angeli custodi”, il suo paese dove è nato, la sua diocesi di Udine e i tanti amici che ha incontrato.

Grazie Don Luigi.