MIGRAZIONI: UN IMPEGNO SOCIO–PASTORALE DI CHIESA UNIVERSALE
di Luigi Petris
La Migrantes nella sua stampa periodica ha riportato con cura quanto si riferiva alle migrazioni e alla pastorale migratoria nei precedenti Sinodi, in particolare quelli dedicati, nel decennio scorso, ai singoli continenti; e si è raccolto un materiale vario e abbondante. L’Eucaristia, tema del Sinodo appena concluso, pur essendo “fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa”, pareva non offrire occasioni così stringenti e abbondanti per illustrarne il suo particolare rapporto anche con le migrazioni. E veramente il numero degli interventi sull’argomento è stato piuttosto sobrio, ma ciò non pregiudica la loro importanza sotto l’aspetto teologico, liturgico e pastorale. Ne riportiamo i momenti più significativi, da quanto ci è dato di conoscere dal “Bollettino del Sinodo” e dagli abbondanti servizi apparsi puntualmente giorno per giorno su L’Osservatore Romano.
I previ accenni nell’Instrumentum laboris
Già nel primo capitolo del “Documento di lavoro” viene presentata l’esigenza di una pastorale specifica per questa categoria di fedeli, là dove si accenna alle “avversità dei migranti”; il discorso viene ripreso più estesamente al n. 81, con riferimento ai “gruppi di migranti” e alle parrocchie etniche, non essendo in via ordinaria adeguata nei loro confronti la cura ordinaria prestata dalle strutture territoriali della Chiesa locale. Nel n. 86 inoltre si deplora il proselitismo che si accanisce tra gli immigrati cattolici. Ha stretto rapporto col mondo dei migranti anche quanto viene detto dell’Eucaristia come vincolo di unità: “Nel mondo odierno globalizzato, come si dice, poco solidale e… marcato dal terrorismo internazionale e da altre forme di violenza e di sfruttamento”, l’Eucaristia mantiene il suo messaggio attuale, necessario per costruire una società ove prevalgano la comunione, la solidarietà, la libertà, il rispetto delle persone” (n. 79). E ancora: “Nel mondo attuale in cui non mancano motivi di divisione… è opportuno che i cristiani radunati attorno alla mensa del Signore riscoprano le loro comuni radici, che si trovano in Lui” (n. 89).
Anche nella relazione introduttiva del card. A. Scola, Patriarca di Venezia, ai vari interventi e dibattiti sinodali si sono toccati diversi punti in stretto rapporto con la condizione del migrante, in particolare “l’interculturalità dell’evento celebrato” e “l’inculturazione dei riti liturgici”, la dimensione sociale dell’Eucaristia, il problema dell’ “intercomunione” o da chiamare più propriamente “ospitalità liturgica”, caso così frequente oggi in Italia con una folta presenza di ortodossi provenienti dall’Europa orientale, senza propri sacerdoti e centri di aggregazione.
L’intervento del Card. Hamao, Presidente del P.C.P.M.I.
Il Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti ha dedicato tutto il suo denso interventi al nostro tema.
– Nell’Eucaristia il centro unificante per i migranti: Egli premette che “l’abbattimento delle frontiere spesso non coincide con la globalizzazione della solidarietà: infatti si emanano misure sempre più restrittive nei confronti dei migranti e dei rifugiati; si adottano procedure sempre più severe per impedire ai disagiati dei Paesi poveri del mondo la partecipazione al benessere dei Paesi ricchi; la diversità dello straniero è considerata spesso come una minaccia, equivalente a criminalità e degrado, piuttosto che come beneficio di mutuo arricchimento”. E citando il Documento di lavoro prosegue: “La Chiesa non è solo sparsa nei cinque continenti, ma è pure in movimento fra di essi e il sacramento dell’Eucaristia le si offre come centro di unificazione, punto di convergenza, dimensione qualificata dell’accoglienza delle diversità nell’unità”.
– Nell’Eucaristia il punto fermo della loro vita: “Soprattutto nei contesti dove è maggiormente presente il fenomeno delle migrazioni, volontarie o forzate, è sempre più evidente che la relazione tra l’Eucaristia e la comunità che la celebra non è statica, ma dinamica e attiva. Uomini e donne in movimento, con proprie modalità, che si radicano nella cultura, nella tradizione, nel rito proprio, nell’uso della lingua vernacola, nella devozione popolare, trovano nella celebrazione dell’Eucaristia il punto fermo della loro vita, spesso frammentata e sconvolta”.
– L’Eucaristia legame di fraternità: “L’Eucaristia celebrata con e dai fratelli e sorelle in mobilità è legame di fraternità, di solidarietà, di compartecipazione con i poveri. E’ fonte di opere buone, di dirittura nell’azione in quanto conduce alla testimonianza dei valori evangelici nel mondo”.
– Dimensione escatologica: “L’Eucaristia tende verso il futuro escatologico, in quanto pregustazione del banchetto del Regno, al quale l’umanità intera è chiamata a partecipare… Ecco allora che l’Eucaristia manifesta il significato dell’esistenza cristiana sulla terra come momento nel quale la Chiesa sperimenta il suo essere in cammino, “viandante”, “emigrante”, “pellegrina”. L’Eucaristia è dunque ‘l’alimento dei pellegrini’, sacramento dell’Esodo che continua, il sacramento pasquale, cioè del “assaggio” fino a raggiungere “l’eredità eterna” del Regno di Dio”.
Interventi di altri Padri sinodali
Non molti ma di grande interesse gli interventi nel Sinodo: scegliamo i tre seguenti.
– “Il grido di dolore del corno d’Africa”. Con accorate parole il Metropolita di Addis Abeba (Etiopia) denuncia l’infausto destino dei tanti cristiani di quella terra costretti ad emigrare nelle vicine regioni islamiche: “Nell’Arabia Saudita o in altri Paesi musulmani la domenica è un giorno lavorativo e l’Eucaristia non viene celebrata in quanto non vi sono chiese, sacerdoti o semplicemente perché non esiste libertà religiosa. Molti cristiani dell’Eritrea e dell’Etiopia lavorano e vivono nei Paesi musulmani. Si tratta soprattutto di cristiani delle Chiese ortodosse Tewahdo… Lavorano in quei paesi soprattutto come domestici e come babysitter e badanti per anziani. Non ho sottomano statistiche sul numero di questi cristiani che si trovano in centinaia di migliaia… Prima di andare a lavorare in questi Paesi musulmani, essi sono costretti a cambiare il nome cristiano in un nome musulmano e, in particolare, le donne a vestire secondo i costumi musulmani. Una volta giunti alle loro destinazioni, vengono loro tolti i passaporti e sono fatti oggetto di ogni tipo di abuso e di oppressione. In questa situazione molti sono costretti a farsi musulmani spinti dalla povertà dei loro Paesi e perché le porte delle nazioni cristiane sono sbarrate. Sappiamo che molti cristiani africani muoiono attraversando il deserto del Sahara o annegando nel Mediterraneo nel tentativo di raggiungere le nazioni cristiane dell’Europa e dell’America. E’ la povertà che li costringe a disfarsi del loro retaggio cristiano, della loro cultura cristiana e perfino della loro dignità umana. A loro viene negato il diritto di professare la propria religione: la celebrazione dell’Eucaristia e la Messa domenicale. E’ una delle persecuzioni religiose dei tempi moderni. Chiedo ai Padri sinodali, soprattutto a quanto lavorano in quei Paesi dove i cristiani si recano in cerca di lavoro, di estendere la loro cura pastorale a questi cristiani e di chiedere ai governi musulmani di rispettare la libertà religiosa dei cristiani”.
– Dispersione del prezioso patrimonio dei riti orientali. E conseguenza delle migrazioni lasciate allo sbando. Di questo grave rischio si fa interprete l’Arcivescovo indiano di Changanacherry. “La molteplicità delle tradizioni liturgiche e, quindi, delle tradizioni di fede della Chiesa serve a esprimere la ricchezza del mistero di Cristo e del disegno divino della salvezza… Purtroppo le Chiese Orientali, in diversa misura, attraverso le vicissitudini della storia, non sono riuscite a conservare la loro preziosa eredità. Nel contesto attuale della globalizzazione e della standardizzazione si corre il pericolo che queste piccole Chiese possano perdere ulteriormente le loro prospettive. Pertanto auspichiamo che il Successore di Pietro, che ha il compito di confermare i suoi fratelli nella fede, aiuti le Chiese orientali… a crescere e a dare una testimonianza più efficace al mondo con una maggiore fedeltà alla loro preziosa eredità”.
– Tre accorate raccomandazioni del Vescovo di Ibadan in Nigeria, mons. A. Felix Adeosin Job, che ha dedicato tutto il suo intervento all’emigrazione dal suo Paese.
1. “Esorto ogni vescovo diocesano a considerare i fedeli immigrati come i propri fedeli, unico corpo di Cristo, del quale lo Spirito Santo lo ha fatto pastore: … accoglierli ad ogni celebrazione religiosa, specialmente alla Messa domenicale, perché l’Eucaristia riunisce i fedeli a fa di loro una comunità nonostante le diversità di razza, lingua, nazione e cultura”.
2. Preoccupato pensiero per i sacerdoti che dall’Africa emigrano nei Paesi ricchi: “Non esistono presbiteri vagi. Essi appartengono al presbiterio delle diocesi in cui soggiornano”. Il vescovo pertanto se ne prenda paterna cura.
3. Attenzione al “reclutamento indiscriminato delle giovani donne”: “in questi tempi la diminuzione del numero dei religiosi nell’antica Chiesa e il desiderio di sopravvivenza e di continuità hanno portato a reclutare in modo indiscriminato le giovani donne nei territori di missione. Queste giovani vengono sradicate dalla loro cultura e dalla loro tradizione e trapiantate in Europa e in America, dove spesso sono sopraffatte dal clima, dalla cultura e dalle usanze e vengono espulse dalle istituzioni. Inevitabilmente molte di loro cadono vittime delle persone e delle situazioni. La loro situazione come corpo spezzato di Cristo deve essere guardata con compassione e amore”. Parole che turbano e reclamano una profonda revisione su tutta la faccenda. Il Vescovo nigeriano, nel fare visita alla Migrantes, è ritornato su questi problemi, in particolare sul terzo.
Il Card. Hamao riprende la parola per una coraggiosa denuncia
Durante gli “interventi liberi” il Presidente del Pontificio Consiglio ha ripreso la parola per denunciare i tragici fatti di sangue che hanno avuto per teatro le enclave spagnole di Ceuta– Melilla:
“In questi giorni seguiamo con viva preoccupazione, tra le varie altre complesse realtà migratorie che toccano molte aree del mondo, anche la drammatica situazione di centinaia di immigrati provenienti dai Paesi dell’Africa sub–sahariana in Marocco e nelle enclave spagnole di Ceuta e Melilla. Si tratta di un fenomeno di proporzioni tragiche e che interpella immediatamente le diocesi di Càdiz–Ceuta e Magala, ma che si riflette anche sulla preoccupazione pastorale della Chiesa universale e stimola con urgenza la cooperazione internazionale, allo scopo di adottare soluzioni soddisfacenti sia per i Paesi di origine e di transito, sia per i Paesi che accolgono gli immigrati, salvaguardando la dignità umana, i diritti fondamentali e i valori condivisi della comunità internazionale”.
Dopo questo intervento, il Cardinale Hamao aggiunge poche parole che sembrano essere sintesi del rapporto Eucaristia–migranti: “Coloro che vivono in condizioni di mobilità domandano con insistenza di essere nutriti con l’Eucaristia e fortificati con gli altri Sacramenti, ma spesso si trovano nell’impossibilità di accedervi. Specialmente con il sostegno dell’Eucaristia, alimento dei pellegrini, anch’essi possono contribuire a costruire la nuova civiltà dell’amore, basata sulla pace e sulla solidarietà, in unità di intenti non solo con le comunità cristiane cattoliche, ma anche con altri fratelli e sorelle che credono in Cristo, ma non sono in piena comunione con la Chiesa Cattolica, ed anche con coloro che appartengono ad altre religioni. In questo caso, infatti, l’operosità della carità e il dialogo fraterno contribuiranno all’abolizione delle barriere che dividono i popoli, per concretizzare l’incontro delle diversità nell’unità”.
La Proposizione finale su Eucaristia e migranti
Sempre nel citato intervento il Card. Hamao ha invitato il Sinodo “a sottoporre al Santo Padre una proposizione che metta bene in evidenza il dovere di tenere in dovuta considerazione la pastorale della mobilità umana”. E prosegue: “Spetta ai Pastori designare dei cappellani e avvalersi del prezioso contributo di sacerdoti, religiosi, religiose e laici, per il bene di questa particolare porzione del Popolo di Dio”.
Questo testo è il testo della Proposizione che figura con numero 45 fra le 50 che sono state sottoposte, al termine del Sinodo, a Benedetto XVI: “Il Sinodo, ringraziando quanti sono impegnati in questo campo, invita tutti i Vescovi a esercitare la loro cura pastorale verso i migranti. Questi fedeli devono essere accolti come membri dello stesso Corpo di Cristo, a prescindere dalla loro razza, status o condizione, specialmente nella celebrazione eucaristica. La carità di Cristo urge a che le altre Chiese locali e gli istituti di vita consacrata aiutino generosamente le diocesi che accolgono un grande numero di migranti. Inoltre, sia concesso ai migranti di rito orientale, per quanto possibile, di essere assistiti dai loro sacerdoti, affinché le liturgie orientali siano meglio conosciute si stabilisca nei seminari il Dies orientalis”.
Stiamo ora in attesa della Lettera Apostolica che consegnerà alla Chiesa universale i frutti spirituali di questo Sinodo, ma già abbiamo il presentimento che si tratterà di frutti abbondanti anche per la mensa dei nostri fratelli migranti e di quanti condividono in loro favore il servizio pastorale.