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Emigrazione calabrese (Antonino Denisi)
L'esperienza pastorale dell'Arcivescovo Antonio Ciliberti fra gli emigrati calabresi

Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/05


EMIGRAZIONE CALABRESE

l’esperienza pastorale dell’arcivescovo

antonio ciliberti fra gli emigrati calabresi

 

a cura di Antonino Denisi

 

Sua Eccellenza monsignor Antonio Ciliberti, Arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace, è reduce da un viaggio negli Stati Uniti d’America dove si è recato per visitare gli emigrati calabresi. Egli fa con noi una lunga riflessione sull’attuale condizione umana e religiosa dei nostri corregionali. “L’esperienza del passato - riferisce mons. Ciliberti - ed il recente viaggio a Filadelfia, tra i nostri emigrati, mi ha consentito di fermare ulteriormente l’attenzione sul fenomeno dell’emigrazione che coinvolge particolarmente la nostra Calabria.

Infatti, innumerevoli sono i calabresi emigrati. Tanti sono negli Stati Uniti, nel Canada ed in Australia, altri sono in Argentina ed anche in Brasile. Più recentemente i nostri si sono portati in molti paesi d’Europa: Germania, Svizzera, Francia, Belgio, Inghilterra, etc. in cerca di lavoro. La disoccupazione, così consistente nel Sud del nostro Paese, li ha costretti, infatti, ad emigrare.

Questo fenomeno, diversamente configurato nelle Americhe e nel Vecchio Continente, ha prodotto effetti differenziati.

Le prime generazioni di emigrati si sono portate nelle Americhe dove ormai si sono succeduti per quattro generazioni. La loro situazione si è stabilizzata e non c’è, quindi, prospettiva di definitivo ritorno”.

Chiediamo: “Ma qual’è il loro rapporto con la comunità d’arrivo e con quella di partenza?”.

“Dopo varie difficoltà - risponde monsignor Antonio Ciliberti - i nostri si sono inseriti nel mondo del lavoro ed hanno dato un grande apporto allo sviluppo del Paese che li ha accolti. Taluni, tra quelli della seconda e terza generazione, rivestono ruoli importanti nel mondo industriale, politico ed amministrativo. Questo processo di crescente inserimento nel tessuto socio-culturale indigeno mette i nostri emigrati in condizione di pari dignità con gli altri cittadini dello Stato.

Diverso è, invece, il rapporto con il Paese di partenza. Gli emigrati hanno portato con sé l’eredità semplice dei nostri antichi valori, ispirati sostanzialmente all’insegnamento cristiano. Si ritrovano infatti intorno alle avite tradizioni religiose ed, in modo particolare, intorno alla festa del Santo Patrono del paese d’origine. Non supportati dalla nuova evangelizzazione, non hanno seguito il ritmo di rinnovamento conciliare e avvertono improrogabilmente questo bisogno di salutare novità.

Qui si innesta una riflessione ineludibile: è necessario che le Chiese di partenza si prendano cura di questa peregrinante porzione del gregge e, per quanto è possibile, la seguano amorevolmente. Inoltre è indispensabile instaurare un pastorale rapporto di collaborazione con le Chiese di arrivo per facilitare l’autentico inserimento e garantire il processo di maturazione nella fede.

Parimenti le istituzioni civili devono prendere a cuore il problema per seguire il pellegrinaggio degli emigrati e dar loro l’indispensabile supporto culturale e sociale. Questo lavoro solidale, nel rispetto della specificità dei ruoli, metterà Chiesa e Stato nella giusta condizione di animare il fenomeno dell’emigrazione perché si risolva in evento di maturazione culturale, sociale e spirituale. In questa prospettiva, particolare attenzione va riservata all’emigrazione nei Paesi d’Europa dove spesso i nostri sono andati e vanno non per restarvi in perpetuum, ma per sbarcare il lunario, in attesa di situazioni propizie per tornare in famiglia. Questi emigrati hanno particolare bisogno di assistenza perché psicologicamente non sono portati ad inserirsi nella comunità in cui vivono forzatamente, con forte nostalgia per il paese natio.

Per questi la Chiesa deve calibrare un’azione pastorale assai pertinente, sapendo bene che questi suoi figli sono membri effettivi della sua famiglia in cui prima o poi dovranno tornare senza dolorose ferite causate dal distacco.

E necessario, quindi, che come il buon pastore segue sempre le sue pecorelle, anche nei luoghi impervi e tra i rovi, il missionario abbia cura di questi fratelli particolarmente indigenti.

Anche in questo settore dell’emigrazione è necessario che lo Stato sia attivamente presente e non faccia mancare l’indispensabile animazione socio-culturale perché il fenomeno dell’emigrazione in Europa si risolva in un processo di crescita e di maturazione dell’Unione.

La mia ultima esperienza pastorale - conclude la sua lunga riflessione Sua Eccellenza - tra gli emigrati mi ha ulteriormente sollecitato nell’impegno che, in maniera solidale e coordinata, responsabilmente dobbiamo assumere per dare il nostro indispensabile apporto perché il problema dell’emigrazione, da superare in un crescendo di solidarietà tra i popoli, possa essere contenuto nell’alveo della crescita culturale, economica, sociale e spirituale delle nazioni.