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"Se è sempre una gioia" (Giovanni Paolo II)
Discorso del S. Padre ai Vescovi della Calabria in occasione della visita

Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/05


“se è sempre una gioia”

 

discorso del s. padre ai vescovi della calabria

in occasione della visita “ad limina” (10.12.1981)

 

di Giovanni Paolo II

 

[...]

Non si può restare insensibili davanti ai problemi così numerosi, gravi e dannosi, della cosiddetta “questione meridionale”, con le differenze economiche e sociali tra nord e sud; né si può ignorare che anche all’interno della questione meridionale esiste, come voi la chiamate, una “questione calabrese”, che ha dietro alle spalle cause molteplici di natura storica, geografica, culturale e sociale.

E per tutte queste ragioni che la Calabria, come del resto tutto il Sud, è divenuta, almeno da quasi due secoli, e continua a essere, terra di emigrazione.

Un fenomeno, questo, da considerare più in particolare, perché mentre in genere l’Italia, tradizionale terra di emigrazione, si è rapidamente trasformata da qualche tempo in terra di immigrazione, capovolgendo la vecchia realtà, la Calabria, insieme con altre poche regioni italiane, continua a mandare fuori dalla propria terra la sua ricchezza maggiore, cioè i propri figli, le forze più fresche e più giovani.

E uno dei problemi più assillanti di oggi, su cui vorrei richiamare in modo particolare la vostra attenzione e quella di tutta la chiesa locale, affidata alle vostre cure pastorali.

Conoscendo bene il fenomeno e i problemi dell’emigrazione nel mondo, perché già prima di avere sulle spalle la responsabilità pesante di tutta la Chiesa, ho avuto modo di incontrarmi più volte, da Vescovo e da Cardinale, con i connazionali emigrati fuori dalla patria in vari paesi del mondo, al di qua e al di là dell’oceano, e nei miei viaggi internazionali di questi tre anni ho preso sempre contatto con i gruppi immigrati nelle nazioni ospitanti.

Nell’enciclica Laborem exercens, pur riconoscendo il diritto, che ha l’uomo, di lasciare il proprio Paese d’origine per vari motivi, ho presentato l’emigrazione come una perdita del Paese dal quale si emigra: effettivamente, si allontanano uomini e insieme membri di una grande comunità, che è unita dalla storia, dalla tradizione, dalla cultura, per iniziare un cammino, spesso incerto, in mezzo ad un’altra società, unita da un’altra cultura e molto spesso anche da un’altra lingua.

Il fenomeno dell’emigrazione, interna ed esterna, così diffuso nel mondo, dalle proporzioni numeriche calcolabili a non poche decine di milioni, deve sollecitare di continuo l’attenzione e la cura pastorale della Chiesa, sia di accoglienza sia di partenza, con l’occhio vigile su tutta l’ampia gamma delle sue implicazioni.

Si pongono sul tappeto numerosi e complessi problemi di natura non soltanto economica, politica, sociale, giuridica, internazionale, ma anche, e soprattutto, di natura umana, personale, familiare, etnica, religiosa.

Ancora una volta il protagonista, e spesso la vittima, del complesso e grave fenomeno dell’emigrazione è l’uomo. La Chiesa, che guarda all’uomo, non può non guardare all’emigrazione, come del resto ha fatto da quando il problema si è presentato in tutta la sua gravità e complessità, con istituzioni appropriate e figure di apostoli, come Santa Francesca Saverio Cabrini e il Vescovo di Piacenza Giovanni Battista Scalabrini. Per questa ragione la Santa Sede ha costituito, da oltre dieci anni, una Pontificia Commissione specializzata in tali problemi, per studiarli, seguirli e dare utili indicazioni agli operatori pastorali.

La Chiesa ha il dovere di pensare ai colossali problemi degli agglomerati umani che stanno superando ogni prevedibile dimensione, come in America del Sud, dove la Calabria ha inviato, in un primo tempo, tanti suoi figli; così come in seguito, in un secondo tempo, li ha inviati a gruppi nelle grandi città dell’Europa, e, con un fenomeno di massa, nelle grandi città italiane del Nord.

Sono nati i grandi problemi dell’emigrazione, che sono soprattutto problemi dell’emigrante: l’impatto generalmente traumatizzante con le zone superindustrializzate nei Paesi d’arrivo; il distacco e, non di rado, la scomposizione della famiglia; la disparità di trattamento legislativo; lo svantaggio nell’ambito dei diritti, che spesso diventa sfruttamento; la solitudine e l’emarginazione.

Sono soltanto alcuni dei tanti aspetti del fenomeno dell’emigrazione, che io, ben conoscendo la vostra sollecitudine e il vostro impegno in questo campo, richiamo alla vostra considerazione per stimolarvi ad andare sempre avanti, ancora più avanti su questa strada dell’aiuto all’emigrante nei modi propri della Chiesa, soprattutto col servizio pastorale.

Sono ben al corrente della generosità di tanti sacerdoti, che hanno fatto liberamente la scelta di divenire essi stessi emigranti per stare vicino ai fratelli costretti dalla necessità a lasciare il luogo di origine. E un dovere della chiesa locale di partenza non lasciar mancare l’assistenza umana e religiosa ai propri figli lontani. Una cura pastorale apprestata nella propria lingua, col linguaggio della cultura d’origine, pur nel dovere dell’emigrante d’inserirsi nella cultura del Paese di arrivo, ha il vantaggio di essere strumento efficace nel contribuire a salvaguardare valori che non si devono perdere, a fare dell’emigrante cristiano un animatore del mondo contemporaneo, un collaboratore nell’opera di evangelizzazione.

La Chiesa calabrese, sempre ricca di energie umane e generosa nell’offrire agli altri, non mancherà di fare la sua parte nel campo dell’emigrazione. Se alto è il tasso dell’emigrazione della Calabria, anche alto deve essere il contributo della Chiesa locale alla cura pastorale dei migranti. Sono sicuro che i pastori e i sacerdoti s’impegneranno in misura adeguata.

[…]

A. A. S., LXXIV, 1982, pp. 236-238.