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Il mare, la grande parabola dei cieli e terra nuova (Luca Centurioni)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/05


IL MARE, LA GRANDE PARABOLA DEI CIELI E TERRA NUOVA

 

di Luca Centurioni

 

Il mare ha sempre suscitato nella storia dell’umanità emozioni e sentimenti forti.

Il mare è segno di avventura, di coraggio e sfida. Il mare è calmo, sereno, riflette la luce dell’alba e del tramonto

Chi guarda il mare sospira e prova una esperienza di infinito; spesso si indica l’orizzonte e si dice che una cosa è: “è grande come il mare”.

Quando si sa che dall’entroterra si va verso il mare, sapendo di essere vicini alla costa, si sta attenti a non perdere il primo sguardo che ci apre l’orizzonte al grande specchio d’acqua, e la prima vista ci fa sospirare.

Due terzi del globo sono coperti dalle acque e da sempre l’umanità utilizza le imbarcazioni per il trasporto delle cose e delle persone. Le grandi migrazioni sono passate attraverso il mare e del mare vivono villaggi e città di pescatori che ogni notte ma, a volte per lunghi mesi interi, gettano le reti nella speranza di pescare qualche cosa. Il mare: fonte di vita, di sostentamento.

Quanto è pieno di vita il mare, quanta vita ci comunica il mare.

I mari sono solcati da transatlantici di lusso per il turismo di élite e per quello di massa, ci sono barche di grandi o piccole dimensioni che veleggiano da riva a riva dei 7 mari e suscitano in coloro che le ammirano all’orizzonte, il senso dell’avventura, il senso della pace, del silenzio del mare infinito.

Coloro che  viaggiano per mare sono spesso animati da uno spirito di novità. La mèta di ogni viaggio è sempre da raggiungere, da conquistare con la destrezza del navigatore, con la fortuna delle buone condizioni metereologiche. E quando si arriva, il luogo che si incontra è sempre fonte di  forti emozioni. Se la mèta è un luogo ancora sconosciuto, allora l’attesa genera ansia, entusiasmo, passione e desiderio di una cosa nuova che arricchisce la vita, non senza una dose di incertezza di che cosa si troverà. Se la mèta è il porto di casa, allora genera nel viaggiatore o nel marittimo il senso della pace, del riposo del ritorno alla sicurezza delle proprie cose. Genera la gioia di chi sa che incontrerà le persone care che da tempo non vedeva, attende l’abbraccio della moglie o del marito, dei figli o degli amici cari.

Il mare ci carica di tante belle emozioni, è denso di simbolismi positivi, richiama al nostro cuore spazi del mondo e dell’anima più grandi di confini angusti del quotidiano.

Ma in seconda battuta il mare non ci nasconde il suo volto oscuro. L’infinito dell’orizzonte non è solo segno di un’anima che spera infinitamente. L’infinito del mare è segno dell’ignoto, del misterioso.

La linea infinita dell’orizzonte dell’acqua per molti naviganti è stato il limite del non ritorno, per diverse ragioni.

In molti casi il non ritorno è stato causato dalla morte in mare, a causa delle tempeste e dei pericoli della navigazione.

In tantissimi casi il non ritorno è stato di viaggiatori che sono partiti per terre nuove e non sono più tornati alle loro case, perché le necessità della vita li hanno portati a cercare fortuna altrove.

La Bibbia ben conosce il volto buono e cattivo del mare. L’acqua del mare è sempre stata segno di vita e di morte, segno di bene e di male.

L’immagine, anche evangelica, del mare, della pesca, delle barche su cui Gesù predicava alle folle sono spesso interrotte dalle tempeste che, puntualmente, il Signore placava riscontrando la poca Fede di Pietro o di coloro che lo rimproveravano perché “sembrava che dormisse”.

San Paolo nella lettera ai Romani celebra quel simbolismo ormai classico della dinamica morte/vita dell’acqua del battesimo… Battezzati nell’acqua, si muore al peccato e si rinasce a vita nuova. L’acqua uccide, soffoca che vi si immerge, porta via per sempre, pulisce, lava, purifica, toglie.

Ma l’acqua anche rigenera, dall’acqua si esce per respirare ancora, chi si solleva dalle acque, o meglio - chi è sollevato dalle acque, è colui che acquista una nuova vita, è salvato dalla morte delle acque e risorge ad una vita nuova.

La recente tragedia dello Tsunami che ha colpito le coste srilankesi ci ha dato una idea della sua potenza ed aggressività, ma nel cuore di quelle popolazioni cosi duramente colpite, l’amore per il mare non è venuto meno. Chi ha perso anche l’intera famiglia a causa delle acque, in quello stesso mare ha ripreso il largo per gettare le reti e continuare a pescare il pesce che lo ha nutrito, che ha venduto per ricavarne un reddito, che gli ha permesso di riprendere a vivere.

L’uomo ha paura a volte del mare, ma il suo timore non lo ferma di fronte alla necessità e al desiderio di domarlo, di attraversarlo, di trarne da esso sostentamento.

I marittimi che lavorano per tutta la vita a volte sulle navi, siano esse da trasporto, da crociera o da pesca, amano il mare.

Esso li porta via dagli affetti cari, li isola, li costringe ad una vita dura di lavoro su un ferro (la nave) che non li lascia riposare a lungo. Eppure nessuno maledice il mare.

Il mare non è mèta per nessuno, ma senza di esso nessuna terra sarebbe una meta. In mare non si vive, ma esso dà da vivere.

Quel dolce o a volte tumultuoso senso di instabilità che generano le onde sulle quali navigano i marittimi, è un continuo ricordo che non ci si può fermare in mezzo al mare. Bisogna andare avanti. Chi si ferma è perduto. E andare avanti ha sempre una direzione, una mèta, che mai si raggiungerebbe senza dei punti di riferimento, e per tradizione le stelle del cielo.

Si guarda il cielo e si aspetta di scorgere oltre le nubi una luce… e si impara a riconoscere le luci del cielo. A seconda della loro grandezza forma o luminosità esse hanno un nome e ciascuna una posizione precisa. Se un marittimo vede una stella e la sa riconoscere per nome, sa dove essa è, ma per questo la vista di quella stella lo consola: perchè da dove è la stella sa capire anche dove è lui stesso.

Si ripete per il marittimo la stessa gioia dei magi a Betlemme: “Ed essi al vedere la stella provarono una grande gioia” perchè la stella diceva dove era il Bambino, il Re di Israele, il Messia.

Le stelle per il marittimo sono segno sicuro per tracciare una rotta, sono la salvezza per indicare il porto. Respice stellam… diceva una antichissima invocazione mariana. La stella era Maria. Chi guarda a Maria trova il suo Figlio, e c’è una litania mariana che è molto cara al marittimo, Maria, Stella Maris, Stella del Mare, e loro ben sanno che cosa vuol dire, sanno quanto è importante una stella, anche una sola, in mezzo al mare. Tutti i marittimi, indipendentemente dalla religione che professano conoscono questo nome: Stella Maris. Indica Maria, ma indica anche tutti i centri pastorali della Chiesa Cattolica nei porti di tutto il mondo. Anche i centri Stella Maris sono un punto di riferimento per i marittimi.

Quando arrivano nei porti, quando non sanno dove andare, quando non conoscono la lingua del posto, quando hanno bisogno di tutto e nessuno li accoglie, li ascolta; ecco che sotto la loro nave vedono arrivare un pulmino, con la scritta Stella Maris. Anche nel porto c’è una stella che li guida, e trovano cosi nel centro Stella Maris una casa, un rifugio, la loro casa lontano da casa. La maternità di Maria, la maternità della Chiesa che indica, che accoglie, si fa presente in queste periferie del mondo che sono i porti e apre le braccia per tutti.

La grande parabola del mare è una lezione di vita. Le leggi del mare sono poi le leggi della vita.

Si parte, ma si parte per arrivare in un posto nuovo.

Si naviga, ma non senza punti di riferimento.

Non ci si ferma, perchè chi si ferma è perduto.

Per sapere dove andare si guarda in alto.

Il desiderio della mèta fa sopportare ogni fatica.

Quando si arriva si trova la pace, perché anche se la terra è nuova, essa è sempre pace, senza di essa non si può vivere.

Cieli e terra nuova il Signore darà dove regnerà la pace e la giustizia…

Chi naviga guarda i cieli e cerca una nuova terra.

Chi cerca trova, perché il Signore ascolta la preghiera dei poveri e dei piccoli che gridano a lui. I marittimi non si sentono mai dei grandi uomini, perché il mare è infinitamente più grande; tanto vale accorgersi di quello che si è e ammetterlo di essere poveri e piccoli e imparare a gridare al Signore.

Allora il porto di arrivo è una nuova terra, una nuova patria.

Ogni viaggio per mare un pellegrinaggio.

Ogni giorno di navigazione un tempo della speranza.

Ogni ancora gettata è tempo del compimento.

Toccare terra una promessa mantenuta.

Il mare e il viaggiare per mare è una grande parabola della vita. Forse ognuno dovrebbe essere un po’ come i naviganti, e certe pagine del Vangelo come la promessa di un nuovo cielo e di una nuova terra acquisterebbero un significato molto più forte, più convincente, più vero.