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Italiani nel mondo protagonisti nella società (Domenico Locatelli)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/05


ITALIANI NEL MONDo PROTAGONISTI NELLA SOCIETà

 

di Domenico Locatelli

 

Il definire la diaspora italiana che vive fuori dalla penisola “italiani nel mondo” è già riconoscere che c’è stata un’evoluzione del fenomeno migratorio e della sua interpretazione. Quando si dice “emigrati italiani” si dà un tono già rivolto al passato di cui si è scritto a lungo e si realizzano ancora musei e racco lte di testimonianze di ogni genere.

è opportuno, tuttavia, non dimenticare questa realtà che è ancora attuale per moltissimi popoli, compreso quello italiano, che conta ogni anno alcune migliaia di giovani che dal sud prendono le strade verso il nord: i disagi non sono drammatici come un tempo, ma portano le stesse sofferenze.

Italiani nel mondo

La situazione attuale è in una fase di stabilità. Il fenomeno migratorio italiano si è ridotto moltissimo. Fra chi rientra ormai in pensione o perché non ha più lavoro e coloro che partono per l’estero per lavoro la bilancia si posiziona a zero. Anzi, gli indicatori sono verso il rientro per le regioni del nord e centro Italia restando negativi per alcune regioni del sud dove si continua a emigrare.

Da almeno quarant’anni in Europa  e da quasi il doppio per le Americhe e gli altri continenti, il soggiorno temporaneo si è trasformato in residenza all’estero. L’impegno ed il protagonismo degli italiani e delle loro famiglie ha costruito un inserimento radicato e solido nella realtà locale. Il paese di accoglienza si è arricchito di questo scambio e collaborazione favorendo quel “métissage” che è scambio e mescolamento positivo di abitudini, valori, modalità di esprimersi aggiustamento dell’arte di lavorare e di costruire.

Le nuove generazioni nate dall’emigrazione sono protagoniste, ormai, delle proprie vicende umane e a pieno vigore lavorano e si fanno attrici  del destino del paese dove vivono: ne fanno parte a pieno titolo.

Gli italiani nel mondo si trovano a loro agio ed amano la terra ed il paese dove vivono, ne hanno assunto leggi e consuetudini, si sono adeguati ad abitudini, celebrano le festività e le ricorrenze locali, fanno parte e contribuiscono, a loro modo, alla storia attuale che stanno scrivendo.

Pur mantenendo una diversità intima che non si può cancellare perché è nel tratto somatico, nella costituzione fisica, nella mentalità che porta con sé retaggi ancestrali, gli italiani nel mondo contribuiscono naturalmente e con capacità al benessere proprio e del paese in cui vivono.

Due fatiche speciali

Gli italiani hanno superato abbastanza facilmente la barriera linguistica, la sistemazione logistica, l’apprendimento e l’esercizio di un mestiere, l’adempimento delle leggi e dei regolamenti amministrativi, l’inserimento scolastico dei figli, lo sposarsi ed il risolvere conflitti e separazioni che molti hanno dovuto affrontare, ma ci sono due aspetti che hanno posto e pongono tuttora delle difficoltà particolari.

Anzitutto l’inserimento religioso che risulta lento e più lungo. La religione che si è appreso da fanciulli resta talmente radicata nell’intimo che si rimuove, supposto che sia il caso, con grande difficoltà. E’ qualcosa che si tramanda di generazione in generazione, che si racconta ed insegna in famiglia, dove spesso, chi è anziano se ne assume il dovere in prima persona e continua ad esercitarlo occupandosi dei nipotini e trascorrendo con loro molto tempo utilizzando un linguaggio ed una lingua che è un miscuglio di italiano, dialetto, lingua locale appresa nelle parole di sopravvivenza. Ma la forza sta nell’emozione, nel sentimento, nella radicalità propria della fede che va al di là della logica e del razionale.

Anche la lingua ed il linguaggio espressivo giocano la loro parte nell’ambito religioso. Partecipare alla messa e non comprendere l’omelia oppure assistere ad una liturgia che non ricorre quasi mai a gesti, simboli, o espressioni emotive coinvolgenti ed appassionanti, diventa una difficoltà che spesso  porta gli italiani a non praticare più.

Qualcuno sostiene che la presenza delle Missioni Cattoliche Italiane, cioè delle strutture pastorali in lingua, abbiano ostacolato e ritardato l’integrazione religiosa. Di fatto ci sono italiani che sono riusciti ad inserirsi molto bene nelle parrocchie locali e vi lavorano in modo esemplare. Alcuni lo hanno fatto quasi in contrapposizione con la Missione italiana come fossero due realtà antitetiche. Altri hanno preso consapevolezza della propria specificità e diversità e, curando la vita della comunità italiana partecipandovi a pieno regime, hanno imparato a dialogare e a interagire con le altre comunità cristiane del territorio costruendo comunione concreta con le parrocchie locali e le altre comunità linguistiche e contribuendo alla vivacità della chiesa locale di cui si sentono parte completamente e senza complessi. Moltissimi italiani, al pari di molti altri, hanno smesso la pratica religiosa affacciandosi alle “agenzie del sacro”, parrocchie o Missioni italiane per “comprare”  gli elementi religiosi che, per loro, rappresentano l’appartenenza o la consuetudine tradizionale: funerale, matrimonio in chiesa, battesimo per i figli, cresima per sposarsi in Italia: ma per questo, a parer loro, non serve la fede.

La seconda fatica è rappresentata dall’inserimento e partecipazione politica.

Per molti italiani emigrati ciò ha significato la perdita della propria cittadinanza per “comprarsi” la cittadinanza locale. Una serie di complicazioni pratiche metteva spesso in difficoltà l’italiano e lo straniero, soprattutto delle nuove generazioni,  che per accedere ad alcuni posti lavorativi e far carriera doveva per forza dimostrare di essere un cittadino con passaporto locale. D’altra parte chi prendeva la cittadinanza capiva di essere un cittadino del posto ma comunque straniero. Per una grande maggioranza di chi viveva soprattutto in Europa, non essere cittadino locale ha significato essere esclusi dalle consultazioni amministrative e politiche del luogo. Da una parte si contribuisce con le tasse e la partecipazione alle iniziative, dall’altra non si può esprime il proprio parere sugli indirizzi da prendere nella gestione della cosa pubblica. Anche da parte dell’Amministrazione italiana per una serie di difficoltà, non si è mai reso facile l’espressione della partecipazione politica del cittadino italiano all’estero. Tutti potevano votare, ma era necessario recarsi ai luoghi di esercizio del voto posti esclusivamente nel proprio paese di origine: difficoltà economiche e tempi di spostamento hanno reso difficilissimo e da sempre, questo esercizio.

Rischi pericolosi e negativi

Se la vita chiede di essere vissuta in pienezza allora bisogna guardarsi dal rischio della disaffezione alla partecipazione. Gli italiani nel mondo si sono ammalati di questo virus che porta ad una dimensione individualista che spesso finisce in un egoismo devastante.

La lontananza dal paese di origine, una serie di complicazioni che non permette di capire i termini delle competizioni, il seguire dibattiti e le trasmissioni dei media italiani senza comprendere i riferimenti locali e di attualità che non si conoscono, perché i fatti quotidiani che coinvolgono sono altri, senza dimenticare la storica diffidenza verso le istituzioni politiche e di governo, hanno relegato gli italiani nel mondo all’insignificanza politica sia per l’Italia che per i paesi in cui vivono.

Anche dal lato pastorale e religioso spesso si è assistito ad una marginalità che ha visto gli italiani, tradizionalmente cattolici, ad una funzione passiva di “consumo” religioso. è difficile superare la funzione dell’assistenza sacramentaria. Ancora oggi molti operatori pastorali sono “mangiati” dalle messe da celebrare, dai battesimi da amministrare, dai funerali e dai matrimoni religiosi da assicurare. Un lavoro che non risponde più alle esigenze, necessità e priorità pastorali. La situazione degli italiani che vivono in Europa presenta la sofferenza di una pratica religiosa che non supera il 4% accanto ad una richiesta di sacramenti dell’iniziazione e del matrimonio religiosa che resta molto alta attorno all’80%. Nelle Americhe la pratica è molto più alta attorno al 30% e così le domande dei sacramenti. Ma accanto a questo resta per molti una “non consapevolezza” del proprio battesimo che pone l’evangelizzazione al primo posto dell’azione pastorale.

Molti si definiscono “credenti ma non praticanti”, per la verità è meglio definirli “non praticanti perché non credenti”.

Opportunità insperata

La passione ed il lavoro di un Ministro della Repubblica, di alcune istituzioni ed associazioni e di altre persone che hanno lottato per decenni hanno ottenuto il voto per gli italiani all’estero. Una possibilità importante che può determinare un salto di qualità alla partecipazione degli italiani nel mondo.

Gli italiani possono esprimere la loro voce e scegliere fra di loro, a seconda dei continenti, 18 persone alle quali chiedere di partecipare da parlamentari alla vita della Repubblica Italiana. Nella Costituzione italiana è stato scritto che esiste una Circoscrizione Elettorale Estera dove gli aventi diritto, cittadini riconosciuti ad ogni effetto, possono apportare il loro contributo alla partecipazione e al bene dell’Italia e degli italiani nel mondo.

L’appuntamento è ormai imminente e tale diritto/ dovere sarà esercitato nel prossimo 2006. è il quarto appuntamento per gli italiani nel mondo e si stanno affinando le modalità senza nasconderci il grosso problema dell’allineamento delle anagrafi e diversi altri.

L’opportunità sarà colta in pieno se gli italiani nel mondo prenderanno consapevolezza di questa occasione di protagonismo e si informeranno, prenderanno iniziativa e parteciperanno a tutto l’iter previsto dall’appuntamento elettorale.

Identità da ritrovare

Gli italiani che vivono fuori Italia sono provocati a ritrovare la propria identità che non è scontata per nulla. è da rintracciare, è da individuare, è da esprimere e descrivere. Significa parlare di cultura italiana, senza dubbio di lingua italiana ma anche di valori di riferimento, di memoria ed evoluzione, di dialogo fra culture, di insegnamento e trasmissione, di relazioni con la terra di origine e relazioni fra comunità italiane all’estero, qualcuno ha inventato il termine “italicità”/“italico” per indicare che entrano nel conteggio anche le persone che pur non classificate come “italiane”  secondo l’anagrafe o la cittadinanza sono comunque legate all’insieme e al complesso che chiamiamo “italiano” con i suoi interessi, aspetti, settori ed espressioni.

Un’identità che non è più fissa e standard ma scaturisce e si forma su appartenenze plurime, è ricca di conoscenze linguistiche, molteplici armonizzate e lingue madri che si intrecciano. Una identità che attinge da molte fonti e sa armonizzare elementi, stili, civiltà, modelli e mentalità diverse per formare un “diverso” che si propone interessante e vivace.

Risorsa da non perdere

Gli italiani nel mondo sempre più sono letti come risorsa per il “Sistema Italia” con tutti i risvolti economici, culturali, geopolitici e sociali che ciò comporta. Ma sono risorsa anche per la Chiesa che vive in Italia e per la Chiesa cattolica del mondo in un’ottica di comunione fraterna dove ogni credente porta la sua “incarnazione” a servizio del Regno di Dio.

Gli italiani nel mondo sono in grado, anzitutto, di dare il proprio contributo specifico al paese Italia. Un tempo erano le rimesse economiche che contribuivano alla ripresa economica del paese, ora è il contributo espresso da un partnership di imprese italiane e di professionisti che nel mondo svolgono egregiamente una attività produttiva.

è un contributo al cammino civile e pacifico che si sta costruendono faticosamente perché il mondo sia migliore: l’apporto italico per le sue caratteristiche culturali e storiche offre un apporto prezioso ed apprezzato.

Gli italiani nel mondo, come per altri popoli, rappresentano un serbatoio di risorse umane formate e valide da investire negli organismi internazionali e nelle istituzioni governative e non per la gestione di iniziative di sviluppo, sicurezza e di pacificazione.

Anche per la Chiesa gli italiani nel mondo sono una risorsa e non esclusivamente un problema.

Diventano risorsa quando le Chiese locali in Italia si fanno carico dell’attenzione e della cura pastorale da assicurare alla componente di lingua italiana costitutiva con le altre della Chiesa d’accoglienza.

Il far memoria dell’emigrazione nostrana significa anzitutto accogliere la propria storia di chiesa locale che ha conosciuto l’emorragia della emigrazione, che ha sofferto per i paesi che si spopolavano e che gioisce ogni anno quando la festa patronale conta molti dei suoi figli che condividono la festa e l’amore per il paese e le sue tradizioni. La Chiesa locale, in tal modo, non  rimuove il problema ma ne parla e non esclude una collaborazione attenta con le Istituzioni e le associazioni provinciali e regionali che conoscono attualmente un dinamismo maggiore.

Attraverso i compaesani all’estero si realizza la conoscenza e lo scambio fra chiese sorelle e sono  benedetti i gemellaggi fra chiese e non solo per vivere anniversari e momenti celebrativi ma per giungere fino alla condivisione di sacerdoti inviati e accolti per la formazione e per un servizio pastorale svolto su progetti pluriennali.

Infine, gli italiani nel mondo sono il segno profetico di chi ci ricorda che siamo “stranieri” e “pellegrini” su questa terra, che ogni realizzazione e storia nazionale è relativa di fronte alla storia della salvezza che coinvolge ogni persona, che vivere nel mondo non rappresenta la destinazione definitiva ma solo un ulteriore passaggio verso la sola “patria” che conta e che è promessa e destinata a tutti: la casa di Dio Padre.

E saranno “cieli e terra nuova che il Signore darà” dove nessuno sarà straniero ma si riconoscerà figlio dell’amore misericordioso di Dio e fratello di ogni altro essere umano.