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Le "buone prassi": dal Triveneto (C. Toso)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 4/05


LE “BUONE PRASSI”: DAL TRIVENETO

 

di Canuto Toso

 

Gli Uffici diocesani, o “soggetti ecclesiali”, con i quali da tempo operiamo in sinergia (pur nella reciproca autonomia) sono la Caritas, il Centro missionario, gli Uffici di Catechesi, della Pastorale Scuola e Università, Pastorale della Famiglia, Pastorale della Salute, delle Carceri, degli Oratori, dell’Ecumenismo e del Dialogo interreligioso.

I primi risultati di collaborazione con la Caritas si sono avuti nella elaborazione di alcune Indicazioni pastorali, sottoscritte dal Vescovo Paolo Magnani nel 1999, con il tema “La Chiesa di Treviso e gli immigrati”. Nell’impostazione del documento si sono messi in evidenza i ruoli specifici dei due Uffici e nello stesso tempo la possibile e reciproca collaborazione, come prevista dalla Fondazione Migrantes nazionale. L’Ufficio Caritas ha curato la stesura dei dati sul fenomeno dell’immigrazione insieme con delle indicazioni operative per una adeguata accoglienza degli immigrati, rifugiati e nomadi.

La Migrantes ha reso noto il triplice cerchio dell’orizzonte pastorale riguardante gli immigrati cattolici, il dialogo ecumenico con i cristiani non cattolici e quello interreligioso con appartenenti ad altre religioni. Unitamente alla dimensione integrativa, e animatrice, data dalla Carità, indispensabile perché la pastorale risulti autenticamente missionaria e feconda.

L’interazione con l’associazionismo fra gli immigrati e i motivi ispiratori

La solidarietà evangelica è il motivo principale per cui la Migrantes, ha operato in collaborazione con il Coordinamento di tutte le Associazioni Immigrati e di Volontariato, presenti nella provincia di Treviso sotto il nome di “Fratelli d’Italia”, nel promuovere una autentica cultura di accoglienza.

Specialmente nei tempi drammatici delle “occupazioni abusive” da parte di immigrati in cerca di alloggio. La tesi di Centri di prima accoglienza è sempre stata sostenuta anche dalla Migrantes unitamente ad attività promozionali di abitazioni dignitose per il ricongiungimento familiare. Ultima iniziativa a riguardo è stata la manifestazione, di fine maggio, in città con immigrati e movimenti di volontariato, per chiedere che sia data la delega ai principali Comuni della provincia per rinnovare i permessi di soggiorno agli immigrati. Al fine di evitare le umilianti file fuori della Questura, con appuntamenti di oltre un anno di attesa. Soprattutto per il ricongiungimento familiare.

Con la Caritas si è affrontato anche il problema dei motivi ispiratori dell’accoglienza, attingendo al documento della Commissione CEI per le Migrazioni “Ero forestiero e mi avete ospitato”. Poiché gli operatori dei vari settori non ritenevano opportuno accennare ai motivi cristiani (era la prassi della Caritas), si è avvertito il bisogno di un chiarimento in merito. Avvenuto nel frattempo da parte dell’Arcivescovo di Udine Mons. Battisti, in un incontro Triveneto fra Caritas e Migrantes. Egli infatti ha ribadito la tesi eminentemente pastorale di spiegare, nei dovuti modi, le motivazioni evangeliche che ispirano il nostro operare all’interno del fenomeno delle migrazioni. Naturalmente con la massima e intelligente disponibilità di accogliere tutti a prescindere dall’appartenenza religiosa.

Un’altra esperienza unitaria, pastoralmente produttiva, è stata l’ “andare” insieme nei Vicariati. Nel contesto di un programma pastorale coordinato dall’Ufficio di Catechesi, con la collaborazione della Caritas e della Migrantes, abbiamo incontrato gli operatori pastorali delle parrocchie, con l’intento di aiutarli a guardare al fenomeno della mobilità umana come un “segno dei tempi” per una rinnovata missione.

La reazione positiva riscontrata è stata di sentirci fare la domanda: “Perché di questa specifica pastorale non siamo informati dai nostri parroci?”. La sorpresa suscitata in loro è venuta dalla descrizione del programma di assistenza agli immigrati cattolici, con la presentazione delle 14 comunità etniche, accompagnate da sacerdoti inviati dalle rispettive Chiese di provenienza, o incaricati dall’Ordinario della diocesi. Alle obiezioni sull’integrazione degli immigrati cattolici nelle rispettive parrocchie di residenza, “onde evitare la presunta ghettizzazione”, abbiamo avuto l’occasione di fare memoria della nostra emigrazione italiana, e della provvidenziale attività svolta in essa dalle Missioni Cattoliche Italiane.

L’interessamento degli operatori pastorali riguardo il pluralismo religioso

Ma l’emozione conturbante l’abbiamo colta nei suddetti operatori allorché hanno percepito il crescente pluralismo religioso in atto in diocesi. L’esposizione delle differenze, ma anche dei punti in comune con la Chiesa cattolica, delle Confessioni cristiane non cattoliche, è stata accolta con notevole curiosità e molto interesse. Il forte bisogno di una adeguata formazione per un dialogo ecumenico l’abbiamo indubbiamente suscitato in tutti. Non pochi parroci ce l’hanno fatto notare. Ancor più sorprendente è stata la corrispondenza molto interessata, allorché si è fatto un quadro sommario dell’Islam presente nei rispettivi territori.

Soprattutto di fronte al problema dell’ospitalità per il Ramadan nelle strutture parrocchiali, per l’insegnamento dell’arabo ai figlioli musulmani, l’interesse si è accentuato con venature miste di rigetti e di accoglienza. In particolare quando si è toccato il tasto di come conciliare, nelle Scuole Materne parrocchiali, il programma di ispirazione cristiana con la disciplina religiosa e di costume dei bambini di famiglie musulmane. Naturalmente si sono fatte conoscere le disposizioni emanate in merito dal Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso.

Partecipanti a questi incontri c’erano anche degli insegnanti di religione presso le scuole statali. Per costoro da alcuni anni si collabora con l’apposito Ufficio al fine di informarli sul metodo di insegnare religione cattolica, allorché fossero presenti in classe allievi di altre Confessioni religiose. Su nostro invito sono intervenuti un sacerdote rumeno ortodosso, un altro di rito greco-cattolico e un sacerdote diocesano incaricato dei rapporti con immigrati musulmani. Le testimonianze emerse hanno contribuito a farci conoscere la problematica realtà di figlioli che vorrebbero fare la prima Comunione, con i loro compagni di classe. Ma avendo già ricevuto l’Eucaristia mediante il battesimo di rito ortodosso occorre logicamente contattare il parroco ortodosso; il quale solitamente obietta con la legittima motivazione della fedeltà dei rispettivi genitori alla Chiesa di origine. Così dicasi per la Cresima. Di qui la fatica del dialogo ecumenico con la gerarchia interessata.

Insieme con i precedenti problemi, anche quello dei matrimoni misti è stato oggetto di interessante discussione. Soprattutto il matrimonio fra cristiani e musulmani è da scoraggiarsi per molteplici ragioni. Ciononostante se ne incontrano, con le difficoltà che conosciamo e i tentativi di dialogo.

La presenza dei ragazzi e giovani immigrati nelle attività parrocchiali

Con l’avvicinarsi dell’estate è risultato di notevole importanza esaminare insieme, con gli Uffici competenti il programma delle attività parrocchiali del Grest e dei campi-scuola. Con la prevista e rinnovata partecipazione di fanciulli e ragazzi di confessioni religiose differenti, in particolare di famiglie musulmane, si è fatta la verifica dell’estate scorsa. Si è notata l’importanza di creare un adeguato clima di rispetto delle differenti culture ma anche di coinvolgimento, possibilmente insieme con i rispettivi genitori. Al fine di creare un adeguato clima di pre-evangelizzazione.

Più nuovo risulta il problema della partecipazione ai campi-scuola, da parte di giovani immigrati. Qualche esperienza si è fatta in talune parrocchie. Gli effetti risultano ambivalenti, nel senso che quanti vi hanno partecipato ritornano in famiglia entusiasti dell’esperienza ma anche in discussione con quei genitori che frequentano le rispettive comunità etniche.

Si presenta cioè il problema di quale integrazione favorire, per evitare quella assimilazione che solitamente avviene con taluni immigrati. I quali disdegnano di partecipare agli incontri con i propri connazionali perché si ritengono integrati a tutti gli effetti. Di qui il rischio di ignorare le radici culturali di origine. Ecco uno dei motivi per collaborare con l’Ufficio di Pastorale giovanile e con l’Azione Cattolica.

Anche perché da un po’ di tempo si riscontrano devianze di integrazione di giovani immigrati, che imitando i coetanei autoctoni in costumi stravaganti, entrano in conflitto con le rispettive famiglie.

Il problema è stato affrontato a più riprese in convegni specifici, si sono avviate iniziative mediante Operatori di strada, quali mediatori culturali, ma gli effetti positivi tardano a venire. Forse perché non si fa sufficiente unità di azione fra Uffici diocesani e Movimenti ecclesiali come ad esempio: gli Scout, il Rinnovamento dello Spirito, i Neocatecumenali, Comunione e Liberazione. In questi ultimi infatti si conoscono giovani che seguendo l’esempio dei genitori hanno costituito dei gruppi di preghiera e di volontariato. Così dicasi per alcune Chiese evangeliche capaci di coinvolgere i giovani nel clima vivace e folcloristico degli incontri domenicali. A differenza di talune celebrazioni di comunità etniche cattoliche che, ignorando le tradizioni di origine, tendono ad imitare le nostre SS. Messe parrocchiali festive, con limitata celebrazione della parola di Dio e i tempi ad orologio per accontentare i fedeli, oltre conciliare l’orario di più Messe.

La collaborazione con l’Ufficio della Scuola ci ha portato a conoscere il ruolo determinante dei Mediatori culturali negli istituti Scolastici e nei Centri territoriali per l’insegnamento della lingua e cultura italiana per immigrati (CTP).

Il provvidenziale Catecumenato

L’esperienza più rilevante, frutto di collaborazione con l’Ufficio di Catechesi, cui è stato affidato il compito di guida e di coordinamento, è il Catecumenato. Mediante il quale in questi anni sono divenuti cristiani cattolici oltre centocinquanta immigrati. Prevalentemente di origine albanese, centro africana, cinese e latinoamericana. Dai risultati, il problema determinante sta nella formazione di Catechisti affinché siano sempre più abilitati al tipo di cammino richiesto. Devono, fra l’altro, essere muniti di una sufficiente conoscenza delle culture da cui provengono i catecumeni. Sul tipo dei mediatori culturali che svolgono servizio in altri settori. Tuttavia, efficaci al fine della tenuta e della perseveranza dei neobattezzati, sono soprattutto i padrini e le madrine. I circa due terzi che continuano il permanente cammino di conversione mistagogica lo devono proprio a questi ultimi; insieme con le poche Comunità parrocchiali che riescono ad offrire loro un accompagnamento di solidarietà fraterna. Ancor più provvidenziali a tal fine sono le Comunità etniche quando i nuovi cristiani si sentono da esse accolti come in famiglia; soprattutto nell’affrontare i problemi vitali dell’inserimento ed integrazione nel tessuto sociale. Una nota amara la dobbiamo confessare, quella di non riuscire a prestare una proporzionata attenzione missionaria nei confronti di coloro che si “perdono”: o nella saltuarietà della pratica religiosa, o addirittura nell’indifferenza e peggio ancora si lasciano influenzare dal compagno/a musulmano; qualcuno trova maggiore gratificazione entrando a fare parte di una chiesa evangelica.

Quanto sopra lo si fa presente, a più riprese, negli incontri con gli Uffici diocesani, affinché se ne tenga conto nei Piani pastorali, nei programmi di attuazione. Siamo continuamente in attesa che la mobilità umana, in particolare il fenomeno dell’immigrazione, sia considerata un “segno dei tempi” per una rinnovata pastorale missionaria. Affidiamo allo Spirito Santo l’esito della nostra incessante preghiera.