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Immigrazione dall'Est europeo ed ecumenismo (B. Mioli)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 4/05


IMMIGRAZIONE DALL’EST EUROPEO ED ECUMENISMO

 

di Bruno Mioli

 

La voce della Chiesa

“I fenomeni della  mobilità umana sono come crocicchi in cui vengono a contatto, talora in modo permanente, varie confessioni e denominazioni cristiane. Il significato e le dimensioni ecumeniche si presentano in tutta la loro portata”. Così si legge in “Chiesa e mobilità umana” del 1978, il prezioso documento della S. Sede che ha il tono di una lettera, di un confidenziale discorso inteso a illustrare la pietra preziosa che è nascosta sotto le dure vicende delle migrazioni. Una sfaccettatura molto brillante di questa pietra è l’ecumenismo, che grazie alle migrazioni diventano a portata di mano di tante Chiese locali. Sullo stesso tema torna l’ultimo documento della Santa Sede, “La carità di Cristo verso i migranti”, particolarmente ai numeri 56-58 di cui citiamo le battute iniziali: “La presenza, sempre più numerosa, anche di immigrati cristiani  non in piena comunione con la Chiesa cattolica, offre alle Chiese particolari nuove possibilità di vivere la fraternità ecumenica nella concretezza della vita quotidiana e di realizzare, lontani da facili irenismi e dal proselitismo,  una maggiore comprensione reciproca fra Chiese e Comunità ecclesiali”. Il richiamo vale certamente per tutta la Chiesa, ma per la Chiesa che è in Italia viene ad avere una risonanza particolare, perché da qualche anno è nella sua fase esplosiva l’immigrazione che, per vie regolari o irregolari proviene dall’Est Europeo, costituita pertanto in maggioranza da ortodossi.

Presenza ortodossa tra i nuovi immigrati

Il fenomeno è di straordinaria rilevanza, tant’è vero che l’équipe redazionale del Dossier Statistico Immigrazione, che in questi ultimi anni riservava un particolare capitolo per i flussi provenienti dall’Est Europeo, nel 2004 ha abbinato al Dossier un’altra voluminosa pubblicazione dal titolo: “Europa, allargamento a Est e immigrazione”.

Vi sono riservati due capitoli al problema religioso, di cui il primo è a firma del sottoscritto: “Appartenenza religiosa degli immigrati dall’Est Europeo”. Vi si legge che dei 415.000 regolarizzati nel 2002 dall’Europa dell’Est (Balcani compresi) 308.000 sono cristiani e di questi 250.000 ortodossi, che sommati ai circa 200.000 già presenti in precedenza, portano il totale poco lontano dal mezzo milione, anzi viene portato a 515.000 all’inizio del 2004, grazie ai nuovi ingressi particolarmente per ricongiungimento familiare e ai nati in Italia. Inoltre è, per dir poco, impressionante la rapidità con cui si è ricostituita dopo la recente regolarizzazione la sacca di irregolarità di immigrati, provenienti soprattutto da Romania, Ucraina e Moldavia. Qualunque sia la valutazione socio-politica di questa presenza irregolare, sotto l’aspetto pastorale questi immigrati non meritano meno considerazione di chi è regolare per soggiorno e per lavoro. Si aggiungano poi i lavoratori stagionali presenti in Italia per una o più stagioni in base agli annuali flussi di ingresso o per altre vie traverse. Ed anche questi costituiscono un numero rilevante, benché non quantificabile. Basta poi il colpo d’occhio a confermare questa forte immigrazione dall’Est, in maggioranza ortodossa anche se la percentuale di cattolici è considerevole: nelle piazze, sui mezzi pubblici, nelle code davanti alla questura o all’anagrafe, nei cantieri edili non è possibile non accorgersi, dai tratti del volto o dalla cadenza della voce, di questa  folta presenza.

Sfida per il dialogo interreligioso

Come ho rilevato nel capitolo della citata pubblicazione sull’allargamento ad Est dell’Europa del movimento migratorio, il prevalente flusso negli anni ’90 degli immigrati da Paesi non cristiani, in particolare da quelli di area musulmana, aveva acceso il dibattito sul dialogo interreligioso, che rimane tuttora di attualità, ma sta cedendo il primato al dialogo ecumenico, appunto perché sono in rapida crescita gli interlocutori, diciamo pure i possibili interlocutori di questo dialogo, i cristiani di altre confessioni ed in particolare di quella ortodossa.

Con formula corrente vengono chiamati cristiani non in piena comunione con la Chiesa cattolica o “fratelli separati”. Finché erano anche geograficamente separati, perché lontani da noi, si pensava a loro, si pregava per loro, si parlava di loro, ma non si parlava con e tanto meno si pregava con loro.  Ora le cose vanno cambiando rapidamente, perché sono presenti in ogni angolo d’Italia; li trovi bene rappresentati anche in quelle regioni che economicamente continuano ad essere aree depresse; anche lì un qualche lavoro riescono a trovarselo, magari in nero, particolarmente nel settore della collaborazione familiare. Ed è proprio per il fatto che tanta parte degli immigrati ed immigrate dell’Est Europeo sono tra noi in qualità di colf e di badanti, si può ben dire che queste sorelle separate e questi fratelli “separati” sono gente di casa nostra, che condividono il nostro stesso tetto. Viene sfocata la separazione e messa a fuoco la fratellanza. Il dialogo allora nasce spontaneo, e se non proprio quello tematizzato e ad alto livello, si fa strada quello spontaneo ed esistenziale, il quale più che abbattere le barriere, mostra che le barriere sono tanto fragili fino a non avvertirle.

Certamente si deve riconoscere che questi immigrati, che provengono da Chiese per tanti anni oppresse dalla ferocia del comunismo, sono rimasti tagliati fuori da quel fermento di dottrina e di gesti ecumenici che ha caratterizzato tra cattolici e protestanti questi ultimi decenni. Per i cattolici poi c’è stata la primavera del periodo conciliare e postconciliare che si è caratterizzata soprattutto per questa appassionata ricerca di unità tra le Chiese. Non fa meraviglia perciò che in un primo momento gli ortodossi non sembrino troppo aggiornati e interessati per questo discorso sull’ecumenismo. Occorre un po’ di pazienza, è ancora tempo di semina, non di raccolta, ma tutto fa sperare che anche questa stagione arriverà. Nessuno di noi osa puntare il dito per accusare questi fratelli di non essere aperti all’ecumenismo, tocca piuttosto a noi fare gli onori di casa e, senza spreco di parole, far sentire che assieme a loro ci sentiamo a nostro agio e facciamo tutto il possibile perché anch’essi si sentano tra noi  a loro agio, proprio come ha fatto Gesù all’inizio dell’incontro con la Samaritana e con Nicodemo.

Così nelle piccole cose di ogni giorno ed anche in cose più significative, di cui non mancano le occasioni. Qualche esempio.

Ricordo le due suore rumene di Madre Teresa che la domenica mattina si radunavano a Roma presso la Chiesa del Sacro Cuore che sta a fianco della Stazione. I saluti anche molto vivaci e con sorriso espanso, qualche canto tradizionale, poi il rosario alla Madonna venerata con tanto cuore tra gli orientali, una catechesi sui sacramenti che è identica per ortodossi e cattolici, lo scambio della pace e poi nel cortile un panino e saluti molto vivaci prima di lasciarsi. Non c’era ombra di proselitismo, tutto spontaneo e autentico, vero ecumenismo che tocca le profondità.

Mi telefona nei giorni dopo Pasqua don Nik Pace, il parroco degli albanesi di rito bizantino: i pochi albanesi cattolici non erano in grado di riempire la Chiesa nemmeno per Pasqua, ci hanno pensato i rumeni di rito orientale, quasi tutti ortodossi, felici di poter celebrare la Pasqua nel loro rito, proprio qui in Italia, accolti a braccia aperte e senza forzature. Del resto è la stessa Istruzione pontificia che al n. 57 ricorda “le legittimità, in determinate circostanze, per i non cattolici , di ricevere l’Eucaristia assieme ai cattolici, secondo quanto afferma anche la recente Enciclica Ecclesia de Eucaristia”. E forse mai si sarebbero aspettati gli ortodossi  che decine di diocesi italiane offrissero loro delle chiese, talora splendide chiese, per il loro culto; le gerarchie ortodosse non hanno mancato in più occasioni di mostrare la loro gratitudine per  questi gesti di schietta fraternità. E non si sentono accolti come fratelli separati quegli studenti o giovani sacerdoti romeni che vengono ospitati in qualche nostro seminario o frequentano le facoltà teologiche pontificie?

Ultimo esempio, lo scorso anno, quando la Pasqua è caduta nello stesso giorno per cattolici, protestanti e ortodossi: la felice iniziativa della Comunità S. Egidio, all’avanguardia con i Focolarini e altri movimenti nel promuovere la causa dell’ecumenismo, che ha fatto incontrare  in S. Maria Maggiore tutti quelli che credono nel Cristo risorto per una comune celebrazione pasquale ed ha fatto toccare con mano che, pur nel gemito per le permanenti divisioni, è possibile gustare già ora la gioia dell’unità fraterna. Felice anticipo di quel giorno, che anticipiamo nel desiderio e nella preghiera, in cui l’Europa Orientale e Occidentale, secondo l’auspicio di Giovanni Paolo II, riprenderà a respirare nella forma più piena “a due polmoni”.