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Per l'Apostolo degli emigranti le migrazioni via all'evangelizzazione (B. Mioli)
Centenario della morte del Beato G. B. Scalabrini

Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 3/05


centenario della morte del beato g.b. scalabrini

 

per l’apostolo degli emigranti

le migrazioni via all’evangelizzazione

 

di Bruno Mioli

 

Una sfida ardua ed esaltante

è da poco più di un anno che abbiamo tra le mani l’ultima nota pastorale dei Vescovi italiani: “Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia”. La Migrantes ha fatto quanto era da parte sua per evidenziare che il segno più vistoso, sotto gli occhi di tutti, di un mondo che cambia è proprio il movimento migratorio preso in tutti i suoi aspetti e in particolare quello che in due decenni ha già portato in Italia circa tre milioni di stranieri: un flusso inarrestabile cambia sempre di più il volto della nostra società, rendendolo multicolore, multiculturale ed anche multireligioso; voglia o non voglia, cambia di conseguenza anche il volto della nostra Chiesa. In meglio o in peggio? Questa è la sfida che ci sta di fronte, questa è la nostra responsabilità, esaltante responsabilità se ci rendiamo conto che a dare volto missionario, volto sempre più missionario alle nostre parrocchie e diocesi, sono occasione provvidenziale, vero kairòs e segno dei tempi le migrazioni.

La “La lettera alle comunità cristiane del Consiglio Episcopale Permanente su migrazioni e pastorale d’insieme”, che ha per titolo “Tutte le genti verranno a te”, mentre richiama il grande convegno di Castelgandolfo del febbraio 2003 dedicato a “La missione ad gentes qui nelle nostre terre” è un forte stimolo perché nelle nostre diocesi tutti, in unità d’intenti, rimbocchino le maniche e s’impegnino a rispondere all’appello di Dio per convogliare il movimento migratorio verso il suo più nobile sbocco, che è quello missionario. Migrazioni, appunto, come via all’evangelizzazione.

L’Apostolo degli emigranti

Il Vescovo di Piacenza, tutto dedito alla sua Chiesa particolare, spazia anche al di fuori di questa, sentendosi sempre a casa sua. Tratta dell’emigrazione italiana di quel tempo come di un problema che chiama in campo i Vescovi italiani, i Vescovi americani, la Santa Sede, tutto il corpo ecclesiale oltre che civile e lo fa con la decisione, diciamo pure la santa audacia di chi è convinto di non intromettersi in affari altrui, ma di rimanere nello svolgimento dei suoi compiti episcopali. Le migrazioni, secondo lui, vanno viste in tutta la loro vastità che è di portata universale-cattolica, e insieme in tutta la loro profondità di significato, non come semplice fenomeno sociale, ma come evento attraverso il quale passa un misterioso disegno di Dio, in funzione del Regno.

Delle migrazioni Scalabrini ha messo in luce con chiara intuizione e con la concretezza dei fatti e delle cifre anche gli aspetti umani, sociali, culturali, politici, legislativi; si ferma su quelli positivi carichi di speranza e su quelli negativi che sprofondano nel dramma personale, familiare e collettivo di intere popolazioni. Lo troviamo spesso interlocutore di vescovi e di papi, di tutto il mondo cattolico, ma è altrettanto  facile vederlo interlocutore pure di uomini della politica e della cultura, della gente comune e dei mezzi di informazione. Nulla gli sfugge dell’emigrazione, a tutto dà un grande valore, ovunque è presente, attivo, stimolante, non occasionalmente ma secondo una chiara progettualità, che consegna fin dall’inizio alle istituzioni da lui create per il servizio agli emigrati, come le sue Congregazioni missionarie e la Società laica S. Raffaele.

Sempre però egli  pone in primo piano i problemi religiosi. Nel suo primo opuscolo del 1887 si dilunga per capitoli a descrivere in dettaglio la vita religiosa degli emigrati sia quanto ai bisogni che ai possibili interventi. La terminologia che Scalabrini usa è varia: per lui è in gioco il “problema della salvezza degli immigrati italiani”, c’è l’incombente pericolo di perdere “ogni nozione soprannaturale” ed ogni “sentimento religioso”. Ma la voce più ricorrente è “evangelizzazione”: “evangelizzare i figli della miseria e del lavoro”, “dedicarsi, consacrarsi alla evangelizzazione degli italiani in America”. Compito dei suoi missionari è “l’evangelizzazione dei loro connazionali”; e questa “impresa dell’evangelizzazione”, che durerà “finché ci saranno poveri da evangelizzare”. Teniamo presente che evangelizzazione a quel tempo era un termine che abitualmente si usava nei confronti degli “infedeli”, non dei cattolici che si trovassero in particolari situazioni di difficoltà per la loro vita cristiana.  Scalabrini a questa parola, come a tutta la sua opera, dà una forte valenza missionaria, nel senso stretto del termine, ossia in funzione della difesa e della espansione del Regno di Dio.

Missioni tra gli immigrati e missioni tra gli infedeli, come abbiamo visto, sono due eventi che Scalabrini spesso accosta, certamente nella consapevolezza, anche se non sempre esplicita, che queste sono le due vie maestre su cui anche ai nostri tempi, come ai suoi tempi, deve correre la grande impresa missionaria.

Migrazioni: aspetti di segno negativo

Il Vescovo di Piacenza nella lettura della storia e dei fatti quotidiani non è ingenuo, tanto meno è superficiale. Egli sa che spesso, anche in campo migratorio, resistenze umane e forze oscure del maligno contrastano con i disegni di Dio, per cui “i fatti sociali ben di rado sono assolutamente buoni o assolutamente cattivi”; e le migrazioni sono per lui il più rilevante fatto sociale e vengono ad avere lungo la storia un risvolto positivo e uno negativo, anche sotto l’aspetto religioso. Certamente chi si lascia guidare dalla fede, tiene fermo che Dio anche dal male sa ricavare il bene e questo bene è l’avvento del Regno, ma ciò non toglie che il Pastore sia chiamato a contrastare con tutte le sue forze la piega negativa delle migrazioni e a promuovere quella positiva. Vediamo qualcosa di più dell’una e dell’altra.

L’aspetto negativo delle migrazioni è descritto da Scalabrini con crudo realismo, sia dal punto di vista umano e sociale, sia soprattutto da quello morale e religioso. A pochi giorni dal suo arrivo in Brasile. Egli scrive a S. Pio X quella famosa lettera che contiene la proposta di “una Congregazione speciale... per la conservazione della fede tra gli emigrati... di tutte le nazioni e di tutte le regioni cattoliche: italiani, tedeschi, spagnoli, portoghesi, canadesi, ecc. ecc.”. Perché questo nuovo organismo pontificio? “Lassù negli Stati Uniti le perdite del Cattolicesimo si contano a milioni certo più numerose delle conversioni degli infedeli fatte dalle nostre Missioni in tre secoli”.

Scalabrini qui probabilmente esagera e di proposito, per sottolineare il contrasto fra le immense perdite in trent’anni di emigrazione e le conquiste in tre secoli di evangelizzazione. Questo drammatico contrasto tra l’impegno per la “diffusione della fede” e l’incosciente disinteresse per la “conservazione della fede” fa fremere l’anima missionaria di Scalabrini e chiede al Papa che venga mobilitata la Chiesa nel suo insieme su questo fronte delle migrazioni come è mobilitata attraverso Propaganda Fide sul fronte della conversione degli infedeli.

La perdita “a milioni” dei “poveri emigrati” è negli scritti di Scalabrini un ritornello quasi ossessivo. Ed egli tiene presenti non solo gli emigrati italiani. Sentiamo come si esprime in un suo memoriale, mai pubblicato e giunto a noi incompleto: “I milioni di cattolici italiani, spagnoli, tedeschi ecc. che si sono persi nel mare magno del protestantesimo o dell’indifferentismo dell’America del Nord, si sono persi perché fino da quando sbarcarono su quella terra lontana e straniera si videro abbandonati ed isolati”.

Quanto agli Stati Uniti egli tenta anche un calcolo. Lo troviamo nella Conferenza di Torino, “L’Italia all’Estero” del 1899: “Vi dirò una cosa, o signori, che stringe il cuore a pensarvi: in sessant’anni, secondo calcoli ufficiali, emigrarono in una grande Repubblica Americana, 40 milioni di cattolici. Ora, supposto pure che 20, milioni, il che non si verificò mai, siano rimpatriati, i cattolici colà residenti, tenuto conto dei nati e dei morti, dovrebbero raggiungere la cifra di almeno 20 milioni; invece secondo l’ultimo censimento ecclesiastico, il loro numero non arriva, o certo non arrivava allora, agli 8 milioni. Dove se n’andarono gli altri 12 milioni?”. E altrove: “Non v’ha dubbio che i cattolici degli Stati Uniti potrebbero essere più del doppio di quelli che vi sono al presente, solo che si fossero conservati cattolici quelli che vi emigrarono”.

Questi cattolici si sono trovati senza pastori, perciò il gregge, secondo la sentenza biblica, si è sbandato e disperso; e la mancanza di veri pastori ha lasciato libero campo a quegli altri che pastori non sono e fanno strage del gregge.

Conclusione: “Qualora si differisse più oltre, irreparabili ne sarebbero i danni. La incredulità, l’eresia...si adoprano attivamente per impadronirsi del cuore e della mente degli emigrati. Se quindi ora non si tratta che di richiamare sulla retta via cattolici derelitti, tra non molto saranno increduli, eretici, framassoni, atei che si dovrà curare di convertire”.

Migrazioni: aspetti di segno positivo

Ma c’è anche un aspetto positivo delle migrazioni che molto più del negativo si fa strada e interpella la vocazione missionaria della Chiesa. L’emigrazione, come si è visto, può essere un bene e può essere un male, ma per Scalabrini “è quasi sempre un bene” per una gran varietà di motivi, “ma soprattutto perché, a somiglianza dell’antico impero romano, preparato dal cielo per la più facile e rapida diffusione del Cristianesimo, serve mirabilmente a propagare dovunque la cognizione di Dio e di Gesù Cristo” . Pensiero che riconfermerà il mese prima di morire: l’emigrazione è “sempre strumento di quella Provvidenza che presiede agli umani destini e li guida, anche attraverso catastrofi, verso la meta ultima, che è il perfezionamento dell’uomo in terra e la gloria di Dio nei cieli”.

Anche a quei tempi nel mondo delle migrazioni poteva offrisi l’occasione di una prima evangelizzazione. E il caso degli Indios del Paranà nel Brasile. Scalabrini ne aveva sentito parlare, con questi si è incontrato personalmente e per essi ha preso i primi provvedimenti concreti. Non si tratta di un aneddoto isolato. Scalabrini dà grande rilievo a questa vicenda degli Indios. Abbiamo una sua seconda lettera dal Brasile a Pio X che è su questo tema: si sente chiamato a interessarsi perché questi Indios sono mescolati con gli emigrati o confinanti con le loro terre. Chiede al Papa una particolare preghiera e benedizione per questa impresa, sulla quale entra in argomento anche col Presidente del Paranà e col Vescovo di Curitiba e gliela sottopone indicandola al primo posto in una lunga serie di progetti pastorali. Tornato in Italia, accenna alla S. Sede un piano di evangelizzazione addirittura di tutti gli Indios del Brasile, con la collaborazione tra vari Istituti religiosi. Proprio perché incontra un problema di prima evangelizzazione in contesto migratorio, Scalabrini trova più che naturale e provvidenziale interessarsene: è uno degli aspetti che fa delle migrazioni un problema missionario.

Problema missionario anche quando in migrazione si ha a che fare non con gente che vive fuori della Chiesa. Gli stessi figli della Chiesa in emigrazione sono spesso chiamati a fare opera squisitamente missionaria, a cominciare dalla “implantatio ecclesiae”. Sentiamo Scalabrini: “Quei piccoli gruppi di capanne, seminate ora in una specie di deserto, sono destinate a diventare fiorenti borgate e città, sia per il naturale accrescimento della popolazione, sia per questa marea dell’emigrazione, che monta, si può dire, ogni giorno. Che avverrà pertanto?.. L’avvenire pertanto religioso e morale delle nostre colonie in America dipenderà da quel tanto di religione e di moralità, che conserveranno quei primi nuclei di popolazioni... li trascurarla ora, che si tratta di scegliere bene la situazione delle future città... sarebbe errore imperdonabile. Quel carattere si deve imprimere subito. Ogni ritardo io lo credo fatale”.

All’Apostolo degli emigranti verso la fine della vita lo scenario si apre grandioso e provocatorio, fino a diventare una sfida alla vitalità missionaria della Chiesa di oggi. Nella bozza di progetto sull’Organismo centrale “pro emigratis catholicis”, sollecitato dalla S. Sede e inviato a Roma 25 giorni prima della morte, Scalabrini in qualche modo traccia il futuro dell’ America. Ci tiene a dire che il progetto, anche se steso in fretta e con fatica, non è improvvisato, ma è “frutto di lunghi studi fatti” e traduce “gli intimi convincimenti miei su questo importantissimo argomento”. Convincimenti che si mescolano con le forti esperienze ed emozioni dei suoi recenti viaggi in America: dove ha assistito al “doloroso spettacolo” dello spegnimento della fede “in milioni di anime”, ma ha pure “visto rifiorire in intere popolazioni, come una primavera di anime, sotto il soffio di un santo apostolato, le pratiche della vita cristiana e le ineffabili speranze della religione”.

E qui la sua parola diventa “materiata di cifre e di fatti”, con un misto di sogno e di intuizione profetica sull’ America: “Dando a quel vasto continente la densità di popolazione dell’Italia (anche sottraendo dal computo le zone equatoriali e polari), esso potrà contenere più di 2.500 milioni di abitanti, cioè un terzo di più di quanti ne sono ora sparsi su tutta la superficie della terra”. Le considerazioni potrebbero essere molte, ma quelle che a Scalabrini interessa trasmetterci si possono riassumere in questa domanda: sarà questa una grande conquista o una grande disfatta per la fede? Molto dipende dalla quantità e dall’impegno delle forze pastorali, che saranno messe a disposizione, con tempestività, del movimento migratorio. Già 13 anni prima egli assicurava Leone XIII a nome di un gran numero di Vescovi italiani che, se saranno assicurate queste forze, “l’avvenire del cattolicesimo tra le giovani nazioni americane sarebbe anche per questa parte assicurato”. Oggi noi diciamo qualcosa di più: per quanto riguarda le previsioni umane, l’avvenire della Chiesa cattolica si gioca in America e particolarmente in America Latina.

In questo promemoria, che possiamo considerare il suo “testamento pastorale”, come pure nella prima lettera scritta dal Brasile a Pio X, Scalabrini ricorda al Papa l’instaurare omnia in Christo (ricapitolare ogni cosa in Cristo), di cui è fregiato il suo stemma pontificio. E come ricordare a lui e a tutti i credenti che l’avvento del Regno passa necessariamente anche per le vie delle migrazioni. Lo ha pienamente capito il suo successore Giovanni Paolo II, particolarmente ai nn. 37b e 82 della “Redemptoris Missio”, dove sembra dare pubblica ragione a intuizioni e proposte datate inizio ‘900.