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Centenario della morte del Beato Giovanni Battista Scalabrini
Un evento di attualità per tutta la Chiesa

Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/05


CENTENARIO DELLA MORTE DEL BEATO GIOVANNI BATTISTA SCALABRINI
UN EVENTO DI ATTUALITÀ PER TUTTA LA CHIESA
Con questo numero “Servizio Migranti” ospita una serie di brevi servizi sulla figura e l’opera del Beato Scalabrini, riconosciuto dalla Chiesa come l’Apostolo dei Migranti. Nato nel 1839, Vescovo di Piacenza per 30 anni fino al 1° giugno 1905, quando morì il giorno dell’Ascensione. Fondò nel 1987 i Missionari di S. Carlo per gli emigrati (Scalabriniani) e nel 1895 le Missionarie di S. Carlo (Scalabriniane); nella condivisione del medesimo carisma nacque nel 1961 in Svizzera, in pieno contesto migratorio, l’Istituto delle Missionarie Secolari Scalabriniane. Le tre famiglie scalabriniane hanno aperto l’anno centenario della morte di Scalabrini, proclamato Beato nel 1997 da Giovanni Paolo II, con un comune messaggio che ha per destinatari quanti vedono nelle migrazioni un motivo e stimolo del loro impegno civile e apostolico.Qui di seguito si riporta la parte culturale del messaggio.Le intuizioni del Beato G.B. Scalabrini, Vescovo e Padre dei MigrantiIl Beato G. B. Scalabrini, Vescovo di Piacenza dal 1876 al 1905, anno della sua morte, è stato proclamato dalla Chiesa il Padre dei Migranti, per la sua opera, tempestiva e lungimirante, a beneficio degli italiani che emigravano in massa, specialmente verso i paesi d’oltre oceano. G. B. Scalabrini colse l’importanza politica, sociale e religiosa del fenomeno migratorio nelle società moderne. Quando già allora molti pensavano si trattasse di un fatto passeggero, ne vide la dimensione globale e permanente. Proprio oggi ci accorgiamo quanto profetiche fossero le sue intuizioni.Vescovo missionario, prende a cuore la sorte di tanti connazionali, che non hanno altra scelta se non emigrare. Difende il diritto di emigrare, non di far emigrare, difende gli emigrati, spesso vittime dei “sensali di carne umana”. Percorre l’Italia per denunciare le cause dell’emigrazione, per sensibilizzare la società e la Chiesa, si batte per una legge giusta. è preoccupato soprattutto di salvare la fede dei migranti, facendo tesoro della loro lingua e della loro cultura. Incoraggia al tempo stesso i rapporti con la Chiesa e la società locali.Uomo di fede, cerca anche nelle migrazioni le tracce del progetto di Dio. Per la sua visione provvidenziale, il mondo tribolato delle migrazioni è il mondo verso cui si dirige l’amore del Padre, il mondo in cui il Padre, nella forza unificante dello Spirito, continua a costruire relazioni di solidarietà, di giustizia e di pace. Il tutto mira a “formare di tutti i popoli un sol popolo, di tutte le famiglie una sola famiglia”. Era questo il sogno di Scalabrini.Dopo le visite agli emigrati italiani negli Stati Uniti (1901) e nel Brasile (1904), Scalabrini si rende conto che la Chiesa è chiamata a far sua la causa dei migranti, senza distinzione di nazionalità, etnia e cultura, come scrive in un Memoriale al Papa Pio X. è questo il testamento spirituale di G. B. Scalabrini, che egli affida alla Chiesa, come invito a cogliere nelle migrazioni un’occasione privilegiata per manifestare maggiormente la sua “cattolicità”.L’attualità del carisma missionarioCome figli e figlie di Scalabrini, ci facciamo migranti con i migranti, per condividere con loro il cammino della speranza, della solidarietà, della comunione. Siamo consapevoli che il nostro carisma ci pone al centro della missione, nel cuore stesso della spiritualità di comunione della Chiesa. Ci spinge infatti a promuovere la comunione fra le diversità e a radunare i figli di Dio dispersi, specialmente quelli che vivono più acutamente il dramma dell’emigrazione. E questa una missione a tutto campo, rivolta non solo ai migranti, ma allo stesso tempo alla società e alla Chiesa locale. Siamo convinti che le migrazioni, che mettono in discussione i fondamenti stessi della convivenza civile e religiosa, sono il banco di prova che rivela la civiltà di una società e la cattolicità della Chiesa.Migranti, rifugiati e profughi oggiLe migrazioni, in questa nostra epoca di globalizzazione, non sono più una realtà congiunturale, limitata e ristretta, ma un fenomeno diffuso, stabile e strutturale. Negli ultimi decenni il fenomeno si è drammaticamente dilatato e le dinamiche migratorie si presentano alquanto sostenute in tutto il pianeta.Per ragioni demografiche, economiche e sociali, le migrazioni sono destinate a crescere: in un mondo sempre più globalizzato, in cui il movimento delle persone fa parte della vita di ognuno, l’obiettivo finale non è quello di ostacolare la mobilità ma di gestirla al meglio nell’interesse di tutti. Purtroppo, in merito alla posizione dei governi, in tema di immigrazione, attualmente in quasi il 40% dei paesi del mondo vengono adottate misure restrittive volte soprattutto al controllo delle frontiere e alle facili espulsioni. I migranti sono inoltre una categoria estremamente vulnerabile, soggetti ad abuso e sfruttamento: basti pensare al fenomeno della tratta, che non risparmia né donne né bambini, e all’industria legata all’introduzione clandestina di migranti. Per questi motivi l’ONU ha emanato una Convenzione internazionale dei migranti sulla tutela dei diritti di tutti i lavoratori migranti e delle loro famiglie, che però non è stata ancora ratificata dai grandi paesi destinatari. Il mercato internazionale ha bisogno di “precari”, di lavoro flessibile, senza protezione né sicurezza. Ma “va ribadito che i lavoratori stranieri non sono da considerarsi una merce o una mera forza lavoro, e non devono quindi essere trattati come qualsiasi altro fattore di produzione. Ogni migrante gode, cioè, di diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati in ogni caso”.[1] La precarietà a livello economico diventa sovente più problematica a livello sociale, aggravata spesso da forme di intolleranza e xenofobia. “Tale precaria situazione di tanti stranieri, che dovrebbe sollecitare la solidarietà di tutti, causa invece timori e paure in molti, che sentono gli immigrati come un peso, li vedono con sospetto e li considerano addirittura come un pericolo e una minaccia. Ciò provoca spesso manifestazioni di intolleranza, xenofobia e razzismo”.[2]Inoltre, per quanto riguarda le vicende internazionali, non si può non ricordare l’effetto dell’11 settembre 2001. Dopo l’attacco alle torri, dilaga la paura del terrorismo, cosicché governi e partiti politici stanno emanando leggi sempre più restrittive per il controllo delle frontiere ed il mantenimento dell’ordine e della sicurezza. Nell’opinione pubblica, e non solo, l’immigrazione è spesso collegata alla criminalità ed al terrorismo. Tale contingenza ha determinato però anche una maggiore presa di coscienza, da parte delle istituzioni, del fatto che le migrazioni richiedano di essere governate in una prospettiva sopra-nazionale, con approccio multilaterale, in tutti gli ambiti, non solo in merito alla sicurezza. Anche perché le migrazioni sono specchio di uno squilibrio mondiale più profondo, che è all’origine stessa degli esodi umani. Si tratta di un sistema perverso che mantiene aree di sottosviluppo e quindi costringe le persone a muoversi verso economie più sviluppate. “Il fenomeno migratorio solleva una vera e propria questione etica, quella della ricerca di un nuovo ordine economico internazionale per una più equa distribuzione dei beni della terra, che contribuirebbe non poco, del resto, a ridurre e moderare i flussi di una numerosa parte delle popolazioni in difficoltà”[3].Le migrazioni, sfida e risorsa per la società e la ChiesaNessuno può ormai ignorare il fatto che le nostre società si stanno trasformando, in modo irreversibile, in società multietniche, multiculturali e plurireligiose. Questa realtà, di cui le migrazioni sono protagoniste, anche se non in modo esclusivo, costituisce una sfida e una risorsa per la convivenza sociale, come anche per la nuova evangelizzazione e la missione della Chiesa nel mondo. Del resto il Papa Giovanni Paolo II ne ha colto chiaramente il significato per la Chiesa e per il mondo. Nella “Redemptoris Missio” leggiamo: “Fra le grandi mutazioni del mondo contemporaneo, le migrazioni hanno prodotto un fenomeno nuovo: i non cristiani giungono assai numerosi nei Paesi di antica cristianità, creando occasioni nuove di contatti e scambi culturali, sollecitando la Chiesa all’accoglienza, al dialogo, all’aiuto e, in una parola, alla fraternità” (RM 37), ma anche al “servizio, alla condivisione, alla testimonianza e all’annuncio diretto” (RM 82). Si tratta di quei “mondi e fenomeni sociali nuovi”, quegli “areopaghi” che definiscono i nuovi ambiti della missione “ad gentes”. Come ha sottolineato il Papa nell’ultimo messaggio per la Giornata delle migrazioni, i migranti possono “dare un valido contributo al consolidamento della pace”.[4] Precorrendo i tempi Scalabrini ha investito speranza nei “figli della miseria e del lavoro”, vedendo nei migranti i possibili testimoni della comunione frutto della Pentecoste, dove le differenze sono armonizzate dallo Spirito e la carità si autentica nell’accettazione dell’altro.Ripensare il futuro a partire dallo stranieroIl secolo appena iniziato è stato definito il secolo dello straniero per eccellenza. Ci sono gli stranieri costretti a lasciare le loro terre e i loro gruppi di appartenenza a causa delle persecuzioni o pulizie etniche. Ci sono gli stranieri che abbandonano le loro terre a causa della miseria e della fame, alla ricerca disperata del pane per sopravvivere. Sono questi – i poveri, gli affamati e i disgraziati del cosiddetto terzo o quarto mondo, privi del minimo indispensabile – gli stranieri per eccellenza del XXI secolo, che arriveranno nelle città dell’opulenza del nostro Occidente gridando la loro disperazione e il loro diritto a condividerne il benessere. Oltre che dalla presenza dello straniero profugo o affamato, il secolo appena iniziato sarà caratterizzato anche dalla figura dell’io straniero a se stesso. Si tratta di quel sentimento di estraneità per cui la persona si percepisce straniera all’interno della propria cultura di appartenenza, nei riguardi della quale vuole affermare la sua alterità e trascendenza.Tempo dello straniero per eccellenza, di chi resta estraneo a ciò che gli è vicino (abbia questa vicinanza il volto della lingua sconosciuta, della terra ignota, dei beni mancanti o della identità infranta), il secolo appena iniziato è urgenza di un pensiero nuovo. E anche tempo opportuno e necessario, favorevole e urgente, per ripensare il rapporto con lo straniero cogliendone non più la dimensione di minaccia, come storicamente è avvenuto prevalentemente, quanto quello di sacralità, come è avvenuto eccezionalmente. Ripensare: cioè istituire un pensare a partire dallo straniero, dove l’essere estraneo, cioè fuori, non è una minaccia da espellere ma parola da accogliere e che, accolta, istituisce una nuova etica e un nuovo pensiero, al cui centro si erge non più l’io, con le sue richieste di soddisfazioni e di diritti, ma l’altro, con il suo volto in cui si riflette una luce proveniente da altrove.
[1] Pontificio Consiglio per la cura pastorale dei Migranti e Rifugiati, Erga Migrantes Caritas Christi, 5.[2] Ibidem, 6.[3] Ibidem, p. 8[4] Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata mondiale delle migrazioni, 2004.
“Mentre il mondo si agita abbagliato dal suo progresso, mentre l’uomo si esalta delle sue conquiste sulla materia... mentre i popoli cadono, risorgono, e si rinnovellano; mentre le razze si mescolano, si estendono e si confondono; attraverso il rumore delle nostre macchine, al di sopra di questo lavorio febbrile, di tutte queste opere gigantesche e non senza di loro, si va maturando quaggiù un’opera ben più vasta, ben più nobile, ben più sublime: l’unione in Dio per Gesù Cristo di tutti gli uomini di buon volere”. (Scalabrini)
“Emigrano i semi sulle ali dei venti, emigrano le piante da continente a continente portate dalle correnti delle acque, emigrano gli uccelli e gli animali, e, più di tutti, emigra l’uomo, ora in forma collettiva, ora in forma isolata, ma sempre strumento di quella Provvidenza che presiede agli umani destini e li guida, anche attraverso le catastrofi, verso la meta ultima, che è il perfezionamento dell’uomo sulla terra e la gloria di Dio ne’ cieli”. (Scalabrini 1879)