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Perchè parlare dei missionari d'emigrazione? (G. Tassello)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/05


PERCHÉ PARLARE DEI MISSIONARI D’EMIGRAZIONE?
di Graziano Tassello
Perché sono persone sconosciute o ignorate. Tante ricerche sull’emigrazione italiana non conoscono o di proposito ignorano la vitalità che i missionari hanno saputo infondere nelle comunità emigrate. Il compianto Antonio Perotti, esaminando il volume “Arrivi”, edito da Donzelli con un contributo statale, afferma che nel libro “la presenza della Chiesa missionaria italiana non trova che spazi ‘residuali’ (sei pagine). Poca cosa quando si confrontano con le venticinque pagine riservate alla mafia siciliana e americana e le altre ventotto pagine riservate agli emigrati italiani ‘brutta gente’ ossia al razzismo anti-italiano” (A. Perotti, Note di lettura, “Studi Emigrazione” 151 (2002), 644-650).Ci sembra giunto il tempo di dare visibilità storica a quello che era stato lasciato ai margini o considerato un inutile pleonasmo, poiché l’impegno e la creatività dimostrata dai missionari a favore delle comunità costituiscono parte essenziale di quel cammino che vede le comunità italiane all’estero trasbordare dalla emergenza che umilia e mortifica alla loro piena accettazione e valorizzazione. Si comprende meglio la passione dei missionari per l’emigrato italiano se analizziamo il contesto e mentalità delle nazioni in cui hanno operato. Portiamo, come esempio, una citazione di un articolo apparso sul giornale cattolico “Times-Union” di Jacksonville, Florida il 4.6.1891: “Soprattutto gli italiani non sono assimilabili, e si dovrebbero adottare misure per controllare l’invasione degli immigrati da quella nazione… La nostra nazione deve smettere di essere il ricettacolo di quella che è la più degradata e criminale popolazione d’Europa. Il mercato del lavoro americano è più che saturo attraverso l’importazione di manodopera a basso costo. E nostro dovere come nazione prendere misure per proteggere noi stessi e la nostra civiltà superiore da ogni troppo pericolosa contaminazione”.Chi sono?Scalabrini definisce così i missionari di emigrazione: “Sono anime generose che…, abbandonati agi, onoranze, patria, dolcezze domestiche e quanto vi è nel mondo di più teneramente caro, volano anelanti in soccorso dei nostri connazionali emigrati al di là dell’oceano. Hanno sentito il grido di dolore di quei nostri lontani fratelli, e vanno!” (Voce viva, p. 489)IspiratoriGrandi uomini della Chiesa, come S. Vincenzo Pallotti, San Giovanni Bosco, mons Geremia Bonomelli e il Beato Giovanni Battista Scalabrini, hanno ispirato tante persone ad aprire gli occhi al fenomeno migratorio e a dedicare la loro vita alla causa dei fratelli emigrati.Scalabrini, in una sua conferenza sull’emigrazione, affermava: “La Chiesa non ha mai dimenticato e non dimenticherà mai la missione che le venne da Dio affidata di evangelizzare i figli della miseria e del lavoro [...]. Dov’è il popolo che lavora e che soffre, ivi è la Chiesa” (L’emigrazione italiana in America, 1887).Quanti sono?Non possediamo statistiche accurate, che ci permetterebbero di cogliere, almeno in parte, l’investimento umano che le diocesi e le congregazioni hanno effettuato a favore delle comunità italiane emigrate all’estero. Da una recente ricerca condotta in Svizzera dal 1896 al 2003 figurano 595 missionari diocesani e religiosi che si sono impegnati a favore delle comunità italiane e 954 religiose o signorine appartenenti a Istituti secolari. E i numeri sono per difetto.Il loro campo d’azioneL’amore dei missionari per i migranti è un amore a tutto campo. All’estero i missionari non pensano solo a preservare e a custodire la fede - il loro ruolo specifico. A contatto con lo sfruttamento e la miseria a cui sono condannati a vivere gli italiani, i missionari sono spesso gli unici, almeno all’inizio, ad operare in un deserto fatto di silenzio e di disinteresse. Sempre Scalabrini poteva affermare: “Dovunque sorgono chiese, conventi, scuole cristiane, orfanotrofi, ospedali. L’azione benefica della Croce di Cristo consola gli emigrati e li incoraggia, mantenendo fermi i loro principii religiosi e preservandoli dai pericoli della corruzione e dell’apostasia, che a poco a poco li condurrebbero a rinnegare non solo il cristianesimo, ma ancora i loro doveri verso la patria” (Voce viva, p 428).Prima e durante la prima guerra mondialeAnalizzando l’emigrazione italiana prima della prima guerra mondiale, quello che colpisce è soprattutto il fatto che il migrante è lasciato solo. Questo isolamento sembra rotto solo dagli avvilenti contatti con i mercanti di carne umana (gli agenti di emigrazione) e dagli sfruttatori che sulle panchine dei porti di partenza e di arrivo o nei cantieri di alta montagna succhiano le ultime gocce di sangue a questi operai e alle loro famiglie. I missionari invece sono disposti a tutto pur di trasformare questo isolamento in dignità e diritti.A Genova padre Maldotti combatte contro la malavita locale che sfrutta gli emigranti in attesa di imbarco. A Ellis Island padre Morelli gestisce la San Raffaele, consigliando i nuovi arrivati come evitare nuovi sfruttatori. E sulla tolda di una nave, dove le morti erano un evento ordinario, di fronte ad un genitore disperato per la morte della moglie che lo lascia con due figlioletti, un missionario si commuove e promette di fondare un orfanotrofio per prendersi cura di quegli orfani. E mantiene la promessa.L’isolamento e lo sfruttamento sono spesso accompagnati dal disprezzo. A New York i poliziotti di origine irlandese impediscono agli italiani di entrare nella chiesa grande e li spingono verso il basamento. I missionari insorgono e costruiscono chiese per gli italiani. A Basilea dove gli italiani in transito vengono relegati nel posto più nascosto della stazione perché ritenuti indegni di sedersi in terza classe, i sacerdoti bonomelliani della Missione istituiscono una mensa e li visitano: e, ovviamente, vengono accusati di sfruttare la classe operaia.Dopo il linciaggio di New Orleans, che aveva suscitato la sdegnata reazione dell’Italia tanto che il governo aveva minacciato di mandare le sue cannoniere per fare giustizia, p. Gambera consola le famiglie e per sollevarle dalla umiliazione e dalla disperazione invita le suore di Madre Cabrini per aiutarle a ricuperare la dignità perduta.Non è solo un accompagnamento fisico e morale.E anche una volontà di far uscire il migrante dalla indifferenza che lo circonda. Scalabrini gira per tutta l’Italia per far conoscere la problematica dell’emigrazione. L’Opera Bonomelli conduce inchieste sulle condizioni dei lavoratori, adulti e bambini italiani in Europa. E sufficiente ricordare le condizioni di vita e di lavoro degli immigrati lungo la linea ferrovia del Sempione per capire come le ferrovie elvetiche, costruite per attirare turisti ed aumentare il commercio, siano costate sangue agli operai italiani.Tra le due guerreIl mito dei missionari alleati con il governo del tempo è duro a morire. Gli studiosi italiani si sono sbizzarriti scrivendo innumerevoli pagine sull’argomento. In Europa l’Opera Bonomelli viene sciolta per volere della Santa Sede per non cedere al ricatto del Governo che intendeva utilizzare le Missioni come vetrina per la politica dell’Italia all’estero. I missionari subiscono un duro colpo e si dedicano sempre più alle attività spirituali. I missionari vivono come tra due fuochi: ricattati dalle istituzioni italiane e osteggiati dalla forze antigovernative che si rifugiano sempre di più all’estero. Sotto la guida di mons. Babini direttore di tutti i missionari di Europa, si moltiplicano le vessazioni, le persecuzioni e le uccisioni di alcuni suoi missionari, tra cui quella di mons. Torricella († 7 gennaio 1944), fondatore nel 1926 de “Il Corriere”. Nell’editoriale del primo numero, Torricella aveva scritto: L’Eco “diverrà il giornale degli emigrati: non l’eco di lotte, di insulti, di volgarità, ma l’eco di parole che affratellino”. A San Paolo, la città sudamericana che si avvia a diventare metropoli, per opera dei missionari, la parrocchia Nostra Signora della Pace si trasforma in un’isola di italianità in cui la chiesa, la canonica, le sale parrocchiali divengono showpieces dell’arte italiana. E interessante - en passant - notare come questo amore per le radici non abbia impedito alla comunità italiana di aprire i suoi locali ai nuovi immigrati divenendo oasi di pace per tutti. Durante la seconda guerra mondialeIn Germania i cappellani del lavoro che avevano seguito gli italiani emigrati con contratti di lavoro stagionale, divengono gli angeli dei campi di internamento. Anche in Svizzera, qualche sacerdote, tra cui il gesuita Mario Slongo, si prodigano per gli internati.Dopo la seconda guerraNel 1946 arrivano in Belgio i primi minatori italiani. P. Giacomo Sartori inizia una campagna in difesa dei diritti di questi lavoratori. Viene spesso minacciato, anche da qualche console. Nella tragedia di Marcinelle, come in altre tragedie minerarie, saranno i missionari a consolare le famiglie delle vittime e a dare conforto ad una comunità affranta: cosa che tanti scrittori, tante mostre e tante manifestazioni di parte oggi tralasciano di commentare. In Svizzera P. Giovanni Favero è confrontato con un boom migratorio senza precedenti e riesce ad ammantare di nuove missioni cattoliche italiane la Confederazione elvetica. In Argentina numerosi missionari italiani vengono incarcerati durante un periodo torbido di quella nazione. Come “vendetta” a Buenos Aires costruiscono il Santuario “Madonna dei Migranti” nel quartiere della Boca con accanto una scuola professionale, sostenuti in questo dall’ing. Oberdan Sallustro, successivamente trucidato dai guerriglieri comunisti.Negli Stati Uniti dove anche nel secondo dopoguerra si erano diretti moltissimi emigrati - per i quali le vecchie parrocchie nazionali si stavano con difficoltà attrezzando per assisterli - rimaneva irrisolto il grave problema dei ricongiungimenti familiari. P. Cesare Donanzan fonda l’ACIM con lo scopo di far modificare la legge americana sull’immigrazione. La legge sull’immigrazione nel 1965 sarà modificata. L’altro notevole risultato sarà quello di aver saputo convogliare l’interesse degli italo-americani a favore dei nuovi immigrati, immettendo nella comunità un senso di identità culturale e solidaristica di matrice italiana che altrimenti si sarebbero sciolti in mille rivoli e trasformati in mero folklore.Sempre negli USA, con lo scopo di far riscoprire alla comunità le proprie radici e ricreare legami più autentici all’interno della comunità, vengono costruite dai missionari le case d’Italia a Washington e a Los Angeles. Qui ci si riunisce per apprendere la lingua e la cultura italiana e si programmano varie attività culturali e sociali. Negli USA si costruiscono anche case e villaggi per anziani e una casa per il marinaio italiano. In tante parti del mondo i missionari hanno saputo immettere una forte coscienza civica, convogliando verso una unica finalità interessi che prima erano di piccolo cabotaggio. Sono così sorte opere grandiose, come i villaggi e case per anziani a Parigi, Ginevra, Los Angeles, Washington, Providence, Montevideo, Sydney, Melbourne, Londra. L’arrivo dei partiti e la politicizzazione dell’emigrazione organizzata non sono riusciti ad intaccare il patto di comunione che queste iniziative hanno generato.I nuovi sbocchi migratori verso il Venezuela, il Canada, l’Australia vedono i missionari impegnati in prima linea ad offrire ai nuovi arrivati ogni tipo di assistenza. Toronto, con le sue innumerevoli parrocchie gestite da sacerdoti italiani, può considerarsi una delle più grandi diocesi italiane. In Venezuela le scuole delle Missioni godono di un elevato prestigio.Ma i missionari non operano solo nelle grandi metropoli: mantengono vivi i contatti anche con gli italiani che lavorano nelle aree più lontane attraverso visite, missioni e celebrazioni di feste religiose che diventano anche momenti di presa di coscienza delle proprie radici per la prima e le successive emigrazioni. In Australia le missioni predicate regolarmente dai cappuccini e dagli scalabriniani nelle zone più remote del continente si trasformano in momenti irrepetibili di aggregazione della comunità. La Festa dei Tre Santi in Queensland si trasforma in evento nazionale.I missionari non solo sono vicini fisicamente a quanti sentono la necessità di avere compagni di viaggio che li proteggano e li guidino. Vi è anche una attenzione culturale che sfocia nella fondazione di numerosi centri di studio che si impegnano in un programma a vasto raggio che negli anni ’90 incomincia ad essere imitato quando esplode la voglia di fondare le cattedre di storia migratoria e gli editori e le istituzioni si accorgono che esistono sponsors che - a volte in modo alquanto miope - sono disposti a finanziare.Negli anni ’60 in Svizzera le missioni organizzano corsi per muratori, meccanici e carpentieri, corsi di taglio e cucito, corsi di lingua, facendo da apripista alle attività assunte poi dai sindacati e dai patronati.Le verità1. L’emigrazione italiana, composta inizialmente da emigranti provenienti da varie regioni di una Italia unita solo sulla carta ma non nel cuore, ha trovato nelle parrocchie e nelle missioni un genuino luogo identitario e di superamento del regionalismo. L’Italia è stata fatta all’estero! 2. Il migrante sfruttato, osteggiato e relegato ai margini, ha trovato nelle missioni una casa lontano da casa dove si è sentito non mero oggetto di produzione ma persona da valorizzare. La centralità della persona è sempre stata un principio basilare dell’attività dei missionari e tutte le strutture - volute di proposito dignitose - sono state poste a servizio della persona. 3. Il missionario si è opposto a forme esplicite o subdole di omologazione e di assimilazione. Di fatto è iniziato nelle missioni un cammino intercomunitario sfociato nella comunione delle diversità.4. Forse il contributo più originale - grazie soprattutto alla visione del Beato Scalabrini - che i missionari hanno saputo dare è l’ottica con cui essi hanno interpretato l’emigrazione: una visione ripresa, ma in termini riduttivi, negli anni ’90. Al di là delle drammaticità e delle ingiustizie, il missionario ha creduto nel migrante come risorsa e come dono. Questo investire speranza negli “ultimi” ha portato frutti abbondanti. Nel solo campo ecclesiastico si contano a centinaia i vescovi, le religiose, i sacerdoti di origine italiana nel mondo. 5. I missionari sono stati i difensori dei diritti dei migranti. è sufficiente ricordare l’appoggio incondizianato delle testate giornalistiche delle Missioni al diritto dell’esercizio di voto.6. La difesa della lingua e della cultura italiana. Ciò è avvenuto non certo per motivi nazionalistici poiché la Chiesa è per natura sua universale, ma per il ruolo che la lingua e la cultura giocano nella preservazione della fede. Attraverso l’utilizzo della lingua italiana nella liturgia, nel canto, nel teatro, nella predicazione e nelle conferenze, le MCI e le parrocchie nazionali hanno diffuso la lingua e la cultura italiane, soprattutto presso quel “pubblico” di solito snobbato dai grandi eventi culturali organizzati dalle istituzioni. Lo stesso dicasi delle scuole materne ed elementari e dei corsi. Purtroppo i tagli dei fondi agli asili e alle scuole delle MCI e il disinteresse istituzionale faranno morire un bacino di potenziali utenti. La lingua italiana all’estero corre il rischio di diventare soltanto lingua di cultura da commemorare e non da celebrare.7. Comunità aperte. Strutture pastorali specifiche non sfociano, tuttavia, nella creazione di comunità chiuse. I missionari hanno puntato sulla cultura, che è essenzialmente relazione: il rispetto pieno per ogni cultura significa apertura vicendevole. Dai rapporti di forza, si passa alla forza dei rapporti. è meraviglioso osservare come numerose comunità italiane si aprano agli immigrati più recenti e più bisognosi.Le accuse e gli erroriSiamo spesso, in passato, caduti nella trappola dell’antagonismo: ma stiamo cercando vie di dialogo con tutti, nel rispetto del pluralismo. Dobbiamo però anche far notare come i nuovi organismi consultivi e le associazioni legate idealmente ai partiti non dimostrino un eccessivo interesse nel dialogo con le missioni.A volte abbiamo dato prova di una certa autosufficienza, generata anche dal grande amore che la maggior parte delle comunità italiane all’estero nutre nei nostri confronti.A volte è stato difficile per noi dialogare con le istituzioni socio-politiche. Le difficoltà sono aumentate quando abbiamo dovuto interagire con alcuni rappresentanti di istituzioni succubi di ideologismi che li portavano a non aiutare finanziariamente o a ignorare l’attività svolta dalle missioni.ConclusioneSiamo qui per celebrare una storia spesso ignorata. I missionari per gli emigrati italiani sono stati dei protagonisti e, spesso, degli anticipatori.Siamo qui per celebrare una testimonianza di dedizione e di lungimiranza che ora chiediamo riversata sugli immigrati e sui rifugiati che giungono in Italia. La storia dei missionari italiani - e di tanti volontari che fanno sì che nel mondo la solidarietà parli italiano - sarebbe svilita se l’Italia non adottasse il loro esempio e la loro visione. I missionari impegnati in ambito migratorio sono, infatti, per natura costruttori di ponti e non di frontiere: ponti attraverso cui passano ideali di solidarietà e di rispetto reciproco.Ecco perché i missionari che lavorano in ambito migratorio - protagonisti, anche se silenziosi, del presente - sono costruttori di futuro.(Questa è la sintesi della relazione tenuta al Convegno internazionale dei Missionari italiani in emigrazione tenutosi a Roma il 22-24 febbraio 2005. Il testo originale verrà pubblicato con gli Atti del Convegno)