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Alcune riflessioni sull'Istruzione (A. Spadacini)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/05


ALCUNE RIFLESSIONI SULL’ISTRUZIONE
di Antonio Spadacini
Non si può prescindere che le “ Istruzioni” sono disposizioni mediante le quali si rendono chiare le prescrizioni legali e si sviluppano e determinano i modi in cui deve essere realizzata la loro esecuzione.L’Istruzione Erga migrantes caritas Christi si prefigge, senz’altro, di agevolare la pastorale migratoria, ma di fatto l’estensore del testo non ha tenuto conto dei direttori già esistenti nelle singole nazioni e dei regolamenti che ritmano le attività delle comunità dei migranti. Se questi fossero stati esaminati, attentamente, non sarebbe sfuggito il valore positivo delle direttive sulle missioni, sui consigli pastorali, i missionari, i laici, sulla vita delle religiose e sul compito concernente il Delegato nazionale; faccio riferimento ai documenti vigenti in Svizzera emanati dalla Conferenza Episcopale locale.Il testo dell’Erga migrantes, a mio parere, avrebbe dovuto dar maggior rilievo e spazio a una riflessione organica e approfondita sull’ecclesiologia che non può fare a meno di tener conto dei bisogni e delle conquiste pastorali dei migranti. I direttori ed i regolamenti, ancora in vigore, sono stati stesi, applicati e modificati, più volte, migliorandoli proprio perché si è tenuto conto dell’esperienza degli operatori pastorali e dei laici che hanno dato prova e continuano a testimoniare la partecipazione e la responsabilità nella vita delle comunità.I responsabili delle “ strutture finanziarie” della chiesa locale si sono accorti che quelli della pastorale avevano concesso una buona partecipazione agli emigrati italiani capaci di vivificare le loro comunità, suscitando non poca gelosia in quelle di lingua indigena. Ora i primi a voler applicare, in forma restrittiva, le disposizioni dell’Istruzione vaticana, sono proprio coloro che gestiscono le finanze e, spesso, entrano in conflitto con quelli che riscontrano la necessità di proporre nuove vie di formazione religiosa e di collaborazione per poter garantire una pastorale di autentica comunione.Prendo come esempio la ristrutturazione nel Cantone di Zurigo che appare un atto di imbonimento e di imposizione per gli emigrati italiani. Ovunque si afferma che essi sono integrati, che non danno più fastidio. Ma quando si tratta di riconoscere loro i diritti di partecipazione diretta, col riconoscimento del voto a livello civile e religioso, gli indigeni votano contro, nonostante il 90% di loro sia costituito da cristiani, cattolici e protestanti.Il testo dell’Erga migrantes si presta alle applicazioni più varie e contrastanti, risultando, spesso, incomprensibile anche agli addetti ai lavori. Esso fa riferimento a numerosissime problematiche - sociologiche, politiche, religiose, pastorali, giuridiche… - pretendendo di poterle risolvere con la medesima chiave di interpretazione “l’attuazione dell’integrazione nella Chiesa locale”. Che valore si dà al “processo di integrazione”? Si tratta di riconoscere che gli emigrati sono componente della stessa Chiesa o di omologarli alla vita, ai costumi e alle espressioni di fede delle popolazioni indigene?L’Erga migrantes nel suo ordinamento giuridico-pastorale propone delle applicazioni sconcertanti con i suoi 22 Articoli riferiti ai fedeli laici, ai cappellani, al ruolo, quasi inesistente, del delegato-coordinatore nazionale e agli istituti religiosi. Riferendomi a questi ultimi, l’Istruzione dovrebbe regolarizzare il comportamento dei religiosi che hanno deciso di prestare un servizio pastorale in una diocesi e non voler tutelare la vita e presenza degli Istituti religiosi, già definite da norme giuridiche ben precise. Si tratta di un documento con visioni fortemente corporative e settoriali e povero di impulsi ad autentica collaborazione tra gli Operatori pastorali e gli stessi Ordinari del luogo.Di fronte a queste realtà viene da chiedersi dove vanno a finire le affermazioni contenute nell’Erga migrantes sulla “Chiesa della Pentecoste”, i valori di una pastorale propositiva, la ricchezza delle diversità, l’impegno di tutti per giungere a una pastorale di comunione dove l’armonizzazione delle diverse sensibilità teologiche e pastorali e i ministeri nella Chiesa. Essi, infatti, non vengono condensati in pochi suoi membri, bensì distribuiti con varietà e larghezza all’interno delle comunità; cosicché i diversi membri della Chiesa partecipano alla sua attività e alla sua missione, nella ricchezza e diversità dei doni dello Spirito. La paternità di Dio e la forza dello Spirito, come saldi fondamenti di una fratellanza universale tra tutti gli uomini, dovrebbero essere il valore e l’utilità comune capaci di valorizzare le comunità religiose e linguistiche diverse, nonché di scoprire la ricchezza del pluralismo religioso. Mi sembra che la visione dell’Istruzione pontificia si limiti a guardare all’accoglienza “concessa” da una nazione a persone di altre nazionalità, in vista di integrarle nel suo tessuto sociale, politico e religioso, senza mettere in evidenza il pericolo di un’integrazione acritica. Ciò porterebbe “l’integrato” a entrare in un sistema locale o in una comunità religiosa, vivendo semplicemente da subalterno, rinunciando, di fatto, alle sue proprie tradizioni religiose e culturali.Sarebbe augurabile che le autorità competenti richiedessero alle varie Conferenze Episcopali di dare le loro valutazioni e i loro suggerimenti sul testo “La carità di Cristo verso gli emigrati”, in vista di definire direttive di applicazione comuni.