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La carità di Cristo anima delle migrazioni (S. Ridolfi)



Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/05


LA CARITÀ DI CRISTO ANIMA DELLE MIGRAZIONI
di Silvano Ridolfi
“Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (Incipit della Costituzione pastorale sulla “Chiesa nel mondo contemporaneo”). Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha ben sintetizzato l’ansia della Chiesa “madre e maestra” che segue l’uomo nel suo incessante e laborioso cammino verso traguardi di libertà, di pace, di giustizia.Le migrazioni sono uno di questi percorsi; un tempo in forma di trasmigrazione di popoli, poi come espulsione od esclusione di gruppi e/o singoli. In questo campo come in tanti altri - ma forse qui con maggiore evidenza, data la relativa recente attenzione a questa problematica - è stato il forte richiamo di “profeti” a svegliare sensibilità nella comunità ecclesiale ed a stimolare interventi dalle Autorità religiose, i Pastori in prima istanza. Il documento ritenuto la “magna charta” della Chiesa sulle migrazioni è del Papa XII, anno 1951, la Lettera Apostolica Exsul Familia. Ivi la parte normativa è preceduta da una lunga storica premessa che documenta quanto più sopra affermato.Ma alcune figure emergono tra le tante, e sono il “santo dei giovani”, don Giovanni Bosco (1815-1888), la “maestrina di Lodi”, S. Francesca S. Cabrini (1850-1917), il Vescovo di Cremona, mons. Geremia Bonomelli (1831-1917) e soprattutto il Vescovo di Piacenza, il Beato Giovanni Battista Scalabrini (1839-1905). Proprio per questo è facilmente riscontrabile che nelle migrazioni la prassi (l’azione profetica) ha preceduto l’intervento (la norma). Questa ha dato “ecclesialità” alla ricca spontaneità e ha permesso di allargare e proporre l’esperienza a livelli più ampi. La Gerarchia si è mossa quindi sotto la spinta dei “profeti”. Ciò che invita anche a vigilare perché la norma non spenga, bensì dia nuovo alimento allo spirito.Paolo VI, preoccupato ed impegnato a portare la novità e la forza del Vaticano II in ogni ambito della vita ecclesiale, ha operato con il Motu Proprio “Pastoralis Migratorum Cura”, anno 1968, una vera rivoluzione copernicana nella pastorale delle migrazioni, rivoluzione maggiormente avvertita in Italia ove per ragioni storiche ed ecclesiali la S. Sede guidava direttamente questo settore pastorale: il passaggio, alla responsabilità primaria delle Chiesa di accoglienza. Le strutture vennero poi conseguentemente adeguate - ad esempio il coordinatore dei sacerdoti di emigrazione non era più un direttore a nome della Chiesa di origine, bensì il delegato dell’Episcopato locale - ed il dialogo tra Chiese di partenza e di accoglienza intensificato.Il recente documento pontificio “Erga Migrantes Caritas Christi”, pubblicato dal Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti e gli Itineranti il 31 maggio 2004 e precedentemente approvato dal Santo Padre il 1° maggio vuole “aggiornare” spirito e normativa della Chiesa cattolica a proposito di migrazioni. Il testo è stato da noi pubblicato nel N° 1 dell’anno in corso. Ora ci avviamo ad una corale valutazione del medesimo, coinvolgendo in questo particolarmente gli operatori pastorali, i direttori nazionali, i delegati nazionali i singoli sacerdoti, le Suore ed i laici impegnati, ma anche “esperti” in questioni di mobilità umana.Indubbiamente il documento pone alla nostra attenzione alcuni nuovi ed importanti mutamenti e fenomeni, come le migrazioni dall’est europeo e mondiale, la forte presenza di gruppi religiosi di altra denominazione, i nuovi Codici di Diritto Canonico sia latino sia orientale, il Catechismo della Chiesa Cattolica… Fin dove abbiano motivato, queste novità, a formulare una normativa adeguata ed a respiro ampio non appare evidente, almeno a prima vista. Si nota anzi qua e là una tendenza centralistica, a differenza dello spirito localistico della citata “Pastoralis Migratorum Cura” di Paolo VI. Una prova la si vede nella “giornata a livello mondiale del migrante” (art. 21) quasi più imposta che proposta come appare anche dal subìto allineamento della Chiesa italiana. Sia ben chiaro: un messaggio mondiale del Papa sulle migrazioni è quanto mai opportuno ed è stato sempre utile. Ma la “giornata del migrante” dovrebbe rispondere alle urgenze pastorali del momento e del luogo. Nella parte normativa - il cui carattere vincolativo andrebbe meglio precisato - si avverte una eccessiva preoccupazione giuridica mentre da ogni parte si auspica un rafforzamento pastorale: il “profetismo” da cui abbiamo attinto fondamentali motivazioni difficilmente riusciva ad essere contenuto in rigide regole, pur nella necessità di una chiara sponda ecclesiale.Il dibattito è comunque appena avviato in conseguenza della recente data del documento e dovrà ora proseguire per raggiungere generose e costruttive attuazioni esaltando e sostenendo il protagonismo ecclesiale dei migranti e dei loro operatori pastorali, per animare le migrazioni di quella “libertà” con cui Cristo ci ha liberati (Gal 5,13).