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Omelia in occasione del 1° incontro nazionale dei Referenti dei Servizi diocesani per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili e dei Centri di ascolto
S. Messa celebrata nella Basilica di San Pietro

Di seguito il testo dell’omelia che il Card. Matteo Zuppi, Presidente della CEI, ha pronunciato durante la Messa celebrata questa mattina nella Basilica di San Pietro in occasione del primo incontro nazionale dei referenti dei Servizi diocesani per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili e dei Centri di ascolto, prima dell’Udienza con il Santo Padre.
Il Signore spiega che è necessario pregare sempre senza stancarsi, cioè senza mai arrendersi di fronte alle difficoltà, alla delusione dell’impazienza. La preghiera ispira sempre scelte concrete nella vita e queste nutrono la preghiera. La preghiera è il primo rifiuto del male e fa uscire dalla sottile persuasione che addormenta e rassegna per cui non vale la pena fare qualcosa. Il male fa sentire perduti, insignificanti, come se fosse inutile insistere, quasi fosse eccessivo. Tentazione del male è non chiedere aiuto ma rispondere al male con il male, esigere l’occhio per l’occhio offeso, in quella catena che addirittura può apparire indispensabile da rispettare. Solo l’amore è giusto e solo la giustizia e la misericordia spezzano l’infinita catena del male che genera sé stesso e distrugge gli occhi e impedisce la vista. È tentazione del male anche quella di abituarsi ad esso, di pensare che sia troppo difficile contrastarlo, di non distinguerlo come avviene quando vediamo senz’amore e tutto diventa uguale. Se è tentazione del male minimizzare le conseguenze, facendo credere che non ci siano o nascondendole tanto che qualche volta appaiono positive, è anche frutto del male il contrario, cioè vederlo ovunque, pieni di sospetti e di diffidenza, sentendosi obbligati ad essere malevoli, tanto che non si sa più vedere il bello e il bene. Anche per questo serve pregare sempre, senza stancarsi mai. C’è anche oggi un giudice che proprio perché non teme Dio non ha riguardo per alcuno, perché fa di sé stesso e delle proprie convenienze la vera legge. Non ascolta la richiesta di giustizia di una povera vedova che non ha nessuno che la difende. In realtà ascolta ma non fa nulla per lei, non la prende sul serio, la rimanda, come certi uffici che non hanno mai tempo, che non si fanno trovare. La vedova non può imporsi, non può contare su nessuno e come sappiamo per i poveri è molto facile farli passare per colpevoli, strani, esagerati, condannandoli all’insignificanza. “Fammi giustizia contro il mio avversario”. E avversario è chi viola la dignità, il corpo e l’anima, facendo sentire sporchi o facendo vedere tutto sporco, rovinando la bellezza delle relazioni fraterne e amicali. La cosa peggiore è quando l’avversario è qualcuno ritenuto buono e amico, e per questo approfitta della fiducia o della sua forza. La disonestà del giudice – che si rivela nel non fare giustizia – è complice dell’avversario. Il dolore delle vittime degli abusi è un lamento che sale al cielo, che tocca l’anima e che, per molto tempo, è stato ignorato, nascosto o messo a tacere. “Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza!”, disse l’allora cardinale Ratzinger. La persona ferita e violata non ce la può fare da sola. Ha bisogno di qualcuno che la ascolti e le faccia giustizia. Non un favore, ma quello che è giusto! Che se ne faccia carico. La giustizia inizia con l’insistenza dell’ascolto, che vuol dire tempo, tenerezza, comprensione profonda. La volontà di Dio è non fare aspettare e fare giustizia prontamente ai suoi eletti, cioè i piccoli e i vulnerabili, perché sa che far aspettare vuol dire far soffrire. Non è la stessa cosa se trovo ascolto e comprensione oppure se la disperazione continua, anzi si accentua proprio con l’amarezza di non essere presi sul serio. E il non ascolto include anche la superficialità, la mediocrità, l’approssimazione. Gridano giorno e notte verso Dio, perché è una ferita che fa male sempre e condiziona tutta la vita. I suoi eletti sono proprio i piccoli, chi cerca giustizia perché violato nel corpo e nell’anima, chi è vittima di abusi e a volte si sente lui colpevole perché prigioniero di una violenza tanto più grande di lui che può pensare causata da qualche sua responsabilità. Dio non fa aspettare a lungo, come fa quel giudice che rimane in silenzio, impassibile, nascondendosi, facendo finta di non sentire e quindi insinuando che la vicenda è insignificante. L’ascolto aiuta Dio a fare sentire quel grido, a volte silenzioso nella sofferenza che spesso non si sa nemmeno spiegare, che resta silenziosa nelle ferite dell’anima e del corpo. “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. Ecco la domanda preoccupata che Gesù rivolge a sé stesso e a noi. La fede è vedere la guarigione quando non c’è, cercarla, non avere paura del giudice disonesto e combattere per davvero il male. La fede è speranza, apre i cuori alla forza dell’amore. La fede ci assicura che Dio ascolta la nostra preghiera e ci esaudisce al momento opportuno, anche se l’esperienza quotidiana sembra smentire questa certezza. Il Signore ascolta e guarisce il “grido” dell’anima e del corpo feriti che implorano amore e guarigione, il bene che viene rubato dal male. La cosa peggiore è quando chi deve garantire la giustizia tradisce il suo mandato e fa sentire ancora più indifesi e soli. La vittima, come quella vedova, ha bisogno di giustizia, di potersi fidare. E per questo servono l’ascolto e la giustizia per sanare le ferite. Ma deve trovare fede, cioè la certezza che il Signore cambia quello che è ingiusto, non si arrende al male, rende nuovo quello che è vecchio, guarisce la vittima e redime il peccatore. Preghiamo per quanti hanno subito abusi da parte dei tuoi ministri, perché ottengano giustizia e misericordia. E che il grido dei piccoli feriti, di tutte le vittime, sia sempre ascoltato; che feriti e vittime siano difesi; perché questa è la volontà di Dio che non fa aspettare.