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Il mondo ha bisogno di risurrezione
Editoriale del Card. Matteo Zuppi pubblicato su Avvenire del 20 aprile 2025.
«Il Signore è risorto! Veramente è risorto!». Per tre volte la Liturgia d’Oriente ripete questo grido di gioia nella notte di Pasqua. E le nostre Chiese si sono riempite di luce, che non diminuiva comunicandosi. «Questa è la notte che salva su tutta la terra i credenti nel Cristo dall’oscurità del peccato e dalla corruzione del mondo». Il sabato dell’attesa e del silenzio è passato. È risorto! Gesù incontra nuovamente i suoi. E parla di pace, ce la dona perché ne diventiamo artigiani. Oggi più che mai abbiamo bisogno della Pasqua: noi, le nostre comunità, il nostro Paese, l’Europa, il mondo intero. Gesù risorto, torna in mezzo a noi, secondo la promessa poco compresa perché tardi di cuore, presi dall’infinita discussione di chi è il più grande. Il Risorto è la speranza che non delude perché ha vinto ogni delusione amando fino alla fine. Ce lo ricorda l’Apostolo Paolo: se Cristo non fosse risorto, la nostra fede diventerebbe vuota, le nostre consolazioni illusorie, i nostri affetti sprecati. La risurrezione di Gesù è prova della nostra speranza. Il mondo è incerto, confuso e in balia di una cultura che esalta l’amore di sé sino a farne un culto, una sorta di nuova religione universale. È un mondo senza speranza, fatalista, che la sostituisce con la prestazione e la logica impietosa della forza, dell’esibizione, con il suo unico comandamento: non avrai altro “dio” al di fuori di te stesso. L’allargamento del potere di vita o di morte dell’Io – individuale o collettivo – rende aggressivi e rabbiosi, con un’elettricità epidermica per cui l’altro diventa immediatamente un pericolo, un rischio, un nemico, un limite fastidioso. Così, anche la guerra, e tutto quello che la prepara e la nutre, ha conquistato tanto spazio nel cuore e nelle menti. Il delirio di onnipotenza giustifica ogni massacro. La rivolta di ognuno contro ogni altro – basta che faccia ombra alla prepotenza del desiderio – è dietro l’angolo e viene rapidamente allo scoperto: esplode anche nei rapporti individuali, anche nei legami più intimi, anche negli affetti più cari. L’aggressione è una reazione che si pensa sempre giustificata. È paradossale che si chiami “social” lo strumento di diffusione “virale” dell’aggressività senza ritegno e senza riparo. C’è troppa violenza nelle parole e nelle mani e questa ha inquinato persino illinguaggio, offensivo, prepotente, senza vergogna, come se fosse legittimato e senza conseguenze! Violenza produce violenza. Aveva ragione l’arcivescovo della Chiesa Ortodossa di Albania, Anastasio, quando con saggezza diceva: “l’opposto della pace non è la guerra ma l’egoismo”, dal quale tutte le guerre discendono. Anche le 57 guerre in atto, con i terribili eccidi di questi giorni come quello di Sumy in Ucraina nella Domenica delle Palme, gli orrori di Gaza e quelli in Nigeria. Non c’è Pasqua senza affrontare il venerdì santo della croce. Il Risorto attraversa la paura e ci dona il saluto: «Pace a voi». Come non sentirne l’urgenza con il rischio che c’è di abituarsi alla guerra o alle innumerevoli violenze che rendono amara la vita anche delle nostre città? La Pasqua è il grande dono di Dio a questi nostri giorni: ci comunica energie di vita e di pace. Dalla Pasqua possiamo riprendere la tessitura del lacerato tessuto delle nostre società, segnate come sono da tanta solitudine e individualismo. In questo orizzonte pasquale possiamo iscrivere anche l’esperienza sinodale: un modo di vivere e di vivere la Chiesa che può diventare un modello per un’alleanza sui temi di un umanesimo della prossimità, sino alle periferie più estreme. Dobbiamo favorire le forze unitive, farne nascere di nuove, e costruire quell’umanesimo fraterno e universale che Papa Francesco non cessa di richiamare. È quell’alleanza sociale per la speranza inclusiva e non ideologica chiesa per il Giubileo. L’esercizio della sinodalità deve spingerci oltre la sfera del semplice dialogo, oltre il semplice scambio di opinioni, per camminare insieme – a Pasqua una corsa pieni di luce e di gioia – e diventare costruttori di comunità accoglienti e familiari. Dobbiamo riflettere insieme con più audacia, fiducia e creatività come aprire vie nell’incertezza e nello smarrimento delle società umana, che rimane confusa nel districarsi delle infinite strade possibili ma alla ricerca dolorosa di strade affidabili e farlo non semplicemente per cercare la gratificazione di un generico consenso sui valori. Nella dialettica e nella fraternità sinodale i contenuti stessi dell’esperienza di Dio, dell’azione generativa dello Spirito, assumono intonazioni e colori nuovi, inediti: rivelano mosaici di tessere religiose che aprono paesaggi abitabili per tutti, molto più vicini e possibili di quello che pensiamo nell’astratto e in idee che poso hanno a che fare con la vita. Potremmo dire nuove “Assisi”, nuove “Abu Dhabi”, piccole e grandi, che molte comunità nella loro parzialità (lo saremo sempre!) già praticano e continuano a praticare! Dobbiamo moltiplicarle e raccordarle: sarà una benedizione per l’Oriente e per l’Occidente. La Pasqua di quest’Anno Giubilare ci fa ritrovare una fraternità larga: la contiguità della fine del Ramadan e della Pasqua ebraica, così come la comune celebrazione della Pasqua tra tutti i cristiani d’Oriente e d’Occidente sono “segni” che si illuminano l’un l’altro. Anche la cultura laica ritorna a leggere la Bibbia e i Vangeli, interrogandoci, in modo più o meno esplicito, su quanto noi stessi siamo disposti ad investire del tesoro che sta nel nostro campo, spirituale e di amore fraterno. Il mondo intero ha bisogno di risurrezione! E della Chiesa che la testimoni con forza e umanità. Il Signore risorto ci conceda di non perdere questo kairos e di trasformare i segni dei tempi in segni di speranza. Spes non confundit.
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