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Chiesa e democrazia: l’intervento del Presidente della CEI
Presentazione del libro di Mons. Mario Toso -Roma all’Università degli Studi Link.

e soprattutto alle povertà diffuse. Sono sfide che chiedono di collaborare concretamente e attivamente. Ne ha bisogno la comunità internazionale, per aprire vie di pace attraverso un multilateralismo che non venga soffocato da eccessive pretese nazionaliste. Ne ha bisogno la politica, per porre le esigenze comuni davanti agli interessi privati. Può sembrare un’utopia, un viaggio senza speranza in un mare turbolento, un’odissea lunga e irrealizzabile. Eppure il viaggio in un mare agitato, come insegna il grande racconto omerico, è spesso l’unica via”.
Ecco due elementi da recuperare nelle nostre democrazie: il passo spedito verso la giustizia sociale e il passare dal parteggiare al partecipare. A ben pensarci sono due conversioni che ci riguardano da vicino. La qualità della democrazia si gioca intorno alla capacità di valorizzare questi atteggiamenti. La nostra nasce da Camaldoli. Non solo, ma da lì. È questo lo spirito che pensiamo indispensabile, anche pensando alla necessità di una Camaldoli europea. Occorre combattere gli squilibri occupazionali e distributivi che sono frutto di disuguaglianze crescenti. Inoltre la fraternità è negata dalla “terza guerra mondiale a pezzi” e dalle chiusure rispetto ai flussi migratori. Eppure, c’è uno stretto rapporto tra democrazia e libertà: la prima non può esistere senza la seconda e può svilupparsi solo se si sprigiona da una libertà responsabile e solidale.
Mons. Toso esorta a superare la dispersione e la frammentazione così diffuse. I cattolici sono presenti in tutti gli schieramenti e in tutti i partiti politici. Il Vescovo di Faenza invita ad organizzarsi e a non dimenticare che per avere una chance di cambiare le cose occorre generare consenso e coinvolgere in un’idea che sia una visione. Altrimenti ci si condanna all’insignificanza. Con ogni probabilità, c’è da aspettarsi che a Trieste il tema tornerà e si potrà discutere apertamente della collocazione politica dei cattolici. La Chiesa viene prima dei partiti. Si avverte l’urgenza di disinnescare le bombe dovute alla priorità di indossare casacche di appartenenza per mettere al primo posto il comune legame con la comunità cristiana. Il Cammino sinodale che stiamo vivendo ce lo ricorda ogni giorno di più. Tali doni possono fare la differenza per trovare convergenze. Proprio l’atteggiamento del consenso e della convergenza può far nascere una casa politica per il cattolicesimo italiano. Ciò comporta la capacità di mettere da parte le proprie preferenze personali, di camminare insieme e di fare dell’opzione preferenziale per gli ultimi il criterio di azione.
Ci deve far riflettere il fatto che Francesco metta tra le virtù fondamentali della politica la tenerezza. Tutti siamo convinti che la politica sia per persone forti, coraggiose e decisioniste. L’enciclica Fratelli tutti al n. 194 ricorda che la tenerezza “è l’amore che si fa vicino e concreto. È un movimento che parte dal cuore e arriva agli occhi, alle orecchie, alle mani”. Abbiamo bisogno di una politica che si chini sulle ferite delle persone e se ne faccia carico. Perché tutto questo si realizzi, occorre una buona dose di immaginazione. Ci manca o la sentiamo presente? Ricordo anche quanto ci suggerisce la sapienza orientale di Lao Tze: “L’uomo, quando entra nella vita, è tenero e fragile; quando è morto, è rigido e duro. Per questo i rigidi e duri diventano messaggeri della morte e i teneri e fragili sono i più credibili messaggeri della vita”. Del resto, siamo discepoli di Cristo crocifisso, mite e umile di cuore e non di un Cristo che schiaccia e opprime. Ne deriva uno stile di politica che sembra essere dimenticata anche nelle democrazie odierne: al centro ci deve stare la cura della comunità o l’affermazione leaderistica del personaggio?
Come scrive il Documento preparatorio in vista della Settimana Sociale di Trieste: “Per cambiare le cose serve innanzitutto il coraggio di una visione profetica che, alla luce della Parola di Dio, attraverso il discernimento ecclesiale, sappia tracciare il cammino. Serve immaginare di poterle cambiare: ecco la virtù di chi sa stare dentro il suo tempo, senza lasciarsi schiacciare dal presente, ma traendo pensiero e ispirazione dalla propria storia, per agire e generare futuro. L’immaginazione non appartiene solo al mondo della letteratura e dell’arte, e non è un passatempo effimero per chi non ha problemi più seri da affrontare. L’immaginazione è un’attitudine dello sguardo che parte dalle cose, dalla realtà e «vede oltre»; scorge connessioni, individua soluzioni, connette elementi all’apparenza distanti”.
La domanda diventa: cosa possiamo immaginare? Non chiudiamoci sulle nostre visioni parziali, ma apriamoci all’ascolto dello Spirito e mettiamoci in cammino. Ci aspetta un tempo creativo. L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Non possiamo rimanere rassegnati e tristi. Non è la stagione per gli spettatori alla finestra. La politica non è un concerto a cui assistere in poltrona. È piuttosto uno spettacolo teatrale dove tutti sono chiamati a stare sul palco per fare la loro parte. Da protagonisti, all’altezza delle sfide, perché la guerra e la logica che la precede, la chiusura in prospettive limitate offendono la persona e quindi Dio, sempre nella laicità della quale la Chiesa è ben consapevole e, direi, garante.