... due polarità: da un lato l‘arte come strumento di dialogo (che consente di rivolgersi anche "ai lontani"), dall‘altro lato il problema, dove stia il proprium dell‘arte cristiana...
L‘arte, se vera arte, è sempre ispirata, nasce da un profondo senso religioso e si muove alla ricerca del senso del vivere. Spesso svolgo incontri di carattere religioso e per focalizzare l‘argomento parlo dell‘Urlo di Much: è un dipinto in cui si tocca con mano il problema esistenziale.
Da lì si giunge a comprendere che l‘essere umano è vocato e votato all‘eternità. Larte cristiana, non arte sacra che, stando al pensiero della chiesa ortodossa - ad esempio Evdokimov - è solo quella delle icone, è, per citare Hans Urs von Balthasar e la sua Estetica teologica, teologia in atto. Qui è il proprium dellarte cristiana, il linguaggio proprio dell‘estetica: comunicare quel kèrigma che apre alla vita teologale. Vi sono artisti sensibili e consapevoli dell‘annuncio, capaci di esprimersi con linguaggi affinati a un‘autentica partecipazione nella fede: ho in mente diversi nomi (potrei citare Americo Mazzotta per esempio e i suoi encausti, o Paola Ceccarelli con le sue sculture, e altri) peraltro non necessariamente molto conosciuti. Nell‘ambito dell‘arte cristiana tra chi ha acquisito maggiore notorietà v‘è p. Marko Ivan Rupnik anche se questi, investito dal vortice delle molteplici commissioni, temo si stia cedendo alla trappola della ripetitività.
Certo l‘arte è sempre strumento di dialogo. Penso che nella Chiesa essa dovrebbe tornare a ricoprire il ruolo della biblia pauperum. Il nostro mondo secolarizzato, incapace di conoscere la pienezza dell‘annuncio cristiano, ha bisogno di un‘estetica capace di fargli riscoprire un orizzonte di senso.