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Che cosa insegna oggi la libertà goduta dai progettisti dopo il Concilio'   versione testuale
Dopo il Concilio i progettisti hanno goduto di una libertà inconsueta nell'affrontare l'architettura delle chiese. Rispetto alle direttive vigenti in epoca postridentina vi siete trovati in condizioni di relativa incertezza. Gabetti ha scritto “questa insicurezza dà qualche fiducia che le nostre esperienze possano esprimere quanto non è stato ancora espresso”: ovvero che la pratica riempia il vuoto lasciato dal ritrarsi delle richieste del committente. Come vede tale situazione oggi, a 60 anni dal Concilio?

«Nel progettare ci si trova sempre di fronte al “vuoto iniziale”: il foglio bianco da riempire; ma credo che “l’incertezza” sia precondizione di ogni progetto serio. L'approccio di Roberto Gabetti era soprattutto storico-culturale: in senso diacronico ma anche sincronico. Occorre confrontarsi con la cultura del momento, ma anche con la storia che a questa ha portato. Ove vi siano prescrizioni certe si trova già un primo orientamento, ma nel tempo le indicazioni mutano, così come nella storia sono mutate le consuetudini liturgiche. Si pensi a come il passaggio del Concilio tridentino ha portato variazioni significative nell'architettura delle chiese, e come anche l'illuminismo abbia avuto un chiaro influsso, generando nuove attenzioni verso gli stili storici, verso altri mestieri e saperi. Sempre chi progetta si trova di fronte a orizzonti vasti e aperti, ma comunque vanno riportati ai temi dell'incarnazione e della comunità. Anche le recenti esperienze progettuali si confrontano con il “gusto” attuale, con nuovi poteri: quelli degli organi di tutela, dei committenti e delle autorità civili. Tutto questo limita ma anche esalta l'architettura, che a sua volta è portatrice di una propia autonomia, di un proprio orgoglio, di pregi e di difetti.
Credo che gran parte del paesaggio contemporaneo sia ampiamente segnato dalla banalizzazione di un'architettura che tende, o a ripiegarsi verso la funzionalità del mercato, o a inseguire inutili spettacolarizzazioni: nel progetto delle chiese come in ogni altro edificio. E, se tutto questo esprime la condizione storica attuale, è importante lottare contro questi atteggiamenti. Forse la via giusta non sta né nell'una posizione, né nell'altra. E neppure in una via di mezzo. Occorre invece proiettarsi (questo è il senso del pro-gettare) in una prospettiva nuova, ma attenta alla specificità del tema. Credo che le parole di papa Francesco siano certamente di stimolo verso questo cammino».
 
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