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Donatella Forconi (Architetto e docente, si è occupata del Coordinamento dei convegni e della Segreteria della Commissione scientifica AIDI per l'illuminazione degli spazi di culto) riferisce nella Prefazione su come vi fosse, all'inizio, carenza di dialogo tra mondo dei committenti ecclesiastici e tecnici. Ma il dialogo è stato presto allacciato tra AIDI e responsabili della Conferenza Episcopale Italiana attraverso seminari che hanno destato l'interesse e la partecipazione del mondo dei professionisti, dando luogo al costituirsi della Commissione scientifica il cui lavoro si è tradotto nelle Linee Guida per la progettazione della luce nelle chiese e nella realizzazione dei convegni svoltisi a Roma, Milano e Venezia. Dalla varietà dei contributi, spiega la Forconi, si comprende che anche nelle “Linee Guida” non si trova una «risposta univoca per la progettazione in luoghi che esprimono culture, caratteristiche e riferimenti tanto diversi tra loro. Il dato non esime, però dalla ricerca di regole che stabiliscano relazioni, paralleli, scambi, gerarchie di valori, priorità». Sono infatti «regole fatte per essere riferimento non coercitivo, semmai spunto per una dialettica costruttiva».
 
S.E. Mons. Mariano Crociata (all'epoca Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana) ha ricordato come da sempre la liturgia ricorra «alla luce per esprimere l'irruzione del misero di Cristo Signore nella storia e nella vita dell'uomo» per far memoria del «fatto che Cristo è venuto a illuminare le menti e i cuori». Come si legge in Gv 8,12, Gesù afferma: “Io sono la luce del mondo; chi segue me non cammina nelle tenebre ma avrà la luce della vita”. È bene dunque che il convegno cominci ambientando il tema luce nella liturgia e nelle Sacre Scritture per poi passare a un esame più tecnico e specialistico di carattere architettonico.
 
Gianni Drisaldi (Presidente dell'Associazione Italiana di Illuminazione), ha rimarcato che, oltre alle tematiche più evidenti, bisogna anche tenere in conto i problemi conseguenti alle scarse capacità visive dei fedeli più anziani. Una progettazione tecnologica poco attenta potrebbe indurre fenomeni di abbagliamento che non fanno che ulteriormente ridurre le capacità visive delle persone.
  
Mons. Giuseppe Russo (Responsabile del Servizio nazionale Edilizia di Culto della C.E.I.), richiamandosi a quanto scritto nella Nota pastorale La progettazione di nuove chiese del 1993 al n. 30, ha spiegato che «l'opzione fondamentale... dev'essere di conferire priorità alla luce naturale e ciò in ragione dell'importanza che rivestono gli elementi naturali nell'ambito di ogni celebrazione», che a loro volta riconducono al concetto di creazione. La luce artificiale è fondamentale per le celebrazioni in ore serali o antelucane e ha anche la capacità di tradurre con efficacia la grammatica liturgica, laddove la qualità architettonica è adeguata. Al proposito, ha notato Russo, «c'è un divario enorme tra i progetti che nascono per affidamento diretto e quelli che sono frutto di concorsi».
 
Mons. Stefano Russo (Direttore dell'Ufficio Nazionale per i Beni Cultuali Ecclesiastici della C.E.I.) ha preso spunto da una visita poco prima effettuata presso un'importante basilica barocca, dove i fasci di luce dal basso esaltavano le volte riccamente ornate dando luogo a scenografie di grande effetto: ma gli altari restavano nella penombra. «Non è raro  constatare la presenza, in chiese di grande valore storico artistico, di moderni e sofisticati impianti tecnici realizzati con lo stesso criterio col quale sarebbero stati pensati per un museo». Simili osservazioni possono essere svolte riguardo all'uso di casse acustiche che, in un'altra chiesa, sono state nascoste sopra i cornicioni, diventando così inservibili allo scopo della corretta diffusione del suono. Sono esempi di atteggiamenti «consumistici» che non tengono conto dell'identità del luogo. Per risolvere problemi come questi è necessario che il committente acquisisca la capacità di rivolgersi a personale competente con cui dialogare con cui dialogare nel merito, non limitandosi alla scelta dell'offerta apparentemente più vantaggiosa.
 
S.E. Mons. Angelo Scola (allora Patriarca di Venezia), intervistato da Don Gianmatteo Caputo (direttore dell'Ufficio Promozione BB CC del Patriarcato) ha ricordato che «grazie alla luce possiamo legarci al cosmo ed essere accompagnati a cogliere i diversi aspetti della realtà... L'esperienza degli ultimi trent'anni ha maturato in me la convinzione che un utilizzo dinamico della luce sia fondamentale: l'azione liturgica, l'adorazione eucaristica, la preghiera personale silenziosa o un'eventuale lectio divina, rappresentano modalità diverse di fruizione dello spazio liturgico, ciascuna dotata di carattere proprio e bisognosa di essere assecondata attraverso un uso intelligente della luce». Per spiegare come la luce contribuisca grandemente all'individuazione dei poli liturgici, Scola ha detto «... non amo quelle chiese-aula in cui la luce irrompe in modo uniforme, riducendo il raccogliersi dei fedeli a una semplice assemblea sociale. Il fedele che entra in una chiesa dev'essere subito orientato all'altare e alla appella del Santissimo Sacramento, deve insomma essere guidato...».
 
Don Vincenzo Barbante (Delegato Regionale per l'Edilizia di Culto della C.E.I.) richiamando il ruolo primario del committente nel predisporre e conservare i luoghi di culto, ha evidenziato alcuni problemi che si manifestano. Anzitutto il fatto che il committente non è un singolo, ma un insieme variegato di persone a volte dalle volontà contrastanti. E al problema di armonizzare i desideri e le sensibilità di sacerdoti, parroci, comunità parrocchiali, uffici diocesani, si somma quello di rispondere alle esigenze delle Soprintendenze, che mirano alla conservazione dei manufatti esistenti ma a volte mostrando una carenza di sensibilità verso le esigenze cultuali. In tali circostanze «la casistica ci consegna chiese troppo buie o troppo illuminate, illuminazioni non funzionali ai luoghi liturgici, alle dinamiche celebrative, all'apparato iconografico, scarsa attenzione agli aspetti manutentivi (per esempio luci irraggiungibili in caso di guasto). Lucernari (elemento ricorrente se non addirittura costante nell'architettura moderna) realizzati senza la dovuta perizia e quindi destinati a produrre gravi infiltrazioni».
 
Mons. Sergio Di Giusto (Referente BB CC per il Friuli Venezia Giulia e Direttore Ufficio BB CC EE di Udine) ha riferito su quanto avvenuto nella Chiesa udinese dopo il terremoto del 1976. Se l'aspetto positivo dell'opera di ricostruzione è stata la collaborazione che si è generata nelle comunità per ripristinare gli edifici in tutto o in parte distrutti, il limite dell'operazione nel suo complesso è stata la fretta, a conseguenza della quale poca attenzione rivolta ad alcuni aspetti, tra i quali l'illuminotecnica. «Ci si è limitati a mettere in opera corpi illuminanti tradizionali (alogeni e non), prevalentemente a “luce indiretta o riflessa”, valorizzando solo l'altare della celebrazione eucaristica senza tener conto delle diverse “azioni” liturgiche». Questo anche perché l'aspetto illuminotecnico è stato considerato secondario rispetto agli edifici nel loro complesso. Ma da questa esperienza la Chiesa udinese ha tratto importanti insegnamenti per il suo comportamento negli anni successivi.
 
Giancarlo Zappa (Direttore Generale  dell'Istituto Italiano del Marchio di Qualità) ha evidenziato l'attenzione che va posta sulla sicurezza degli impianti a fronte degli agenti atmosferici esterni e della protezione degli utenti. Ha evidenziato inoltre che parte della qualità dell'impianto è la verifica delle prestazioni «in quanto permette di progettare e ottenere la giusta quantità di luce emessa nella giusta direzione» senza spreco di energia e in modo tale da valorizzare i singoli oggetti e le specifiche azioni.
 
P. Silvano Maggiani O.S.M (Docente di Liturgia presso la Facoltà Teologica Marianum di Roma) ha parlato della propria esperienza di consultore dell'Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice negli anni Ottanta: nella Veglia Pasquale la processione che muove verso l'altare dopo l'accensione del cero avveniva un tempo in una basilica di San Pietro illuminata. Laddove tale processione deve avvenire, come s'è convenuto, nella semioscurità così da dar valore alla progressiva accensione delle candele in mano ai fedeli. «Da allora è stato attuato un uso della luce artificiale più proprio della Veglia e della veritas delle sequenze rituali: nel semibuio dell'invaso, alla terza acclamazione a Cristo luce, esplode la luce iniziando a illuminare l'area dell'altare e, con brevissimi intervalli di tempo, tutti i banchi della basilica». Così la Casa di Dio si manifesta come Casa della Luce, e questa è la Casa della Chiesa che pratica il culto attraverso azioni che la portano a essere oggetto dell'azione di salvezza e soggetto capace di far propria tale iniziativa divina. La chiesa è Casa della Luce in riferimento all'oggetto della celebrazione e Casa della Chiesa in riferimento al soggetto della celebrazione «formato dagli “illuminati”, coloro che sono stati “liberati dal potere delle tenebre” (Col 1,13). Dell'efficacia di questa consapevolezza di articolazione del senso della domus rendono testimonianza numerose componenti architetturali o dell'invaso della domus lungo la storia dell'edificazione delle chiese: l'orientamento dell'insieme architettonico a est in riferimento al cammino della luce naturale; lo sviluppo delle finestre/vetrate, dei mosaici, delle absidi, della cupola; lo sviluppo di lampade, lampadari, candelieri... Ma l'articolazione del senso di ciò che si dà a vedere (estetica) si traduce in poietica quando gli illuminati entrano nei luoghi celebrativi per celebrare la luce-salvezza: Luce e illuminati sono coinvolti nel processo simbolico rituale proprio di ogni azione liturgica».
 
Mons. Carmelo Pellegrino (Docente di Scienze Bibliche presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma) ha palato della luce nella Bibbia, dove fin dalle prime pagine si presenta come segno della presenza del divino. Pur senza un'equiparazione tra luce e divinità «si forniscono immagini suggestive che raccontano del volto “luminoso” di Dio o del suo essere “avvolto dal fuoco”». Lo splendore di Dio è abbagliante e non sostenibile da occhio umano e la cultura giudaico-cristiana è innanzitutto volta all'ascolto della Parola (“shemà Israel”). Ma ecco che, «come leggiamo nel libro dei Salmi, la Parola di Dio è “lampada ai miei passi, luce sul mio cammino”». E il percorso di vita del credente, impegnato a camminare sui “sentieri della luce” di cui parla Isaia «è illuminato dalla Parola, nostra sicura guida anche quando, nel trambusto della quotidianità, attraversiamo una “valle oscura”».
 
S.E. Mons. Franco Giulio Brambilla (all'epoca Vicario per la Cultura della Diocesi di Milano, Docente presso la Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale) ha inquadrato il tema “luce” nel contesto storico antropologico ricordando come sempre la luce, intesa quale espressione stessa della vita, sia stata associata alla divinità. Per designare questa infatti, riferisce Julien Ries, gli antichi indoeruopei «utilizzavano la parola deiwo, dalla radice dei che ha significato di “brillare”, “emettere luce”, da cui deriverebbe lo stesso vocabolo theos, deus, dio... ». Ma la luce è collegata anche all'atto del conoscere, attraverso la visione, che di quello è la fonte primaria. «I medievali distinguevano tra  lumen (l'agente esterno di natura fisica) e lux (l'effetto psichico e soggettivo connesso alla visione): purtroppo le traduzioni moderne di luce, luz, lumière, Licht e light rendono con una sola parola questa duplice valenza! Solo gli artisti, i poeti e i mistici riescono attraverso lo splendore dell'ente a cogliere la sua profonda intimità: questo gesto è l'emozione e l'accesso alla realtà dell'essere, anzi, del mistero santo di Dio».
Nella chiesa la luce ha un senso spirituale, che comporta l'accentuazione dell'esperienza del passaggio dal profano al sacro, un senso spaziale, che implica la presenza della dialettica luce-oscurità ma anche colore e forma della luce come commento del racconto che nella chiesa si dipana, e drammatico, che appartiene alla dimensione della temporalità: la luce come accentuazione ritmica dello svolgimento dei riti. Mons Brambilla conclude chiedendo: «come è possibile pensare non solo un impianto di illuminazione, ma un vero programma “modulare” di luci per possibilità rituali diverse che ridonino l'incanto di quel gesto originario con cui Dio disse: “Sia fatta la luce! E la luce avvenne. E Dio separò la luce dalle tenebre...”? Perché niente di meno di questo è in gioco: il grande racconto che narra la storia dell'uomo che cerca a tentoni Dio, e di Dio che entra nel dramma separando le tenebre che sempre ci minacciano, dalla luce che risplende. Anticipo del giorno senza tramonto!».
 
 
Don Giuliano Zanchi (Direttore del Museo A. Bernareggi di Bergamo) nello svolgere il tema “Luce e liturgia” nota che l'evento rituale più importante della liturgia cristiana ha nome “lucernario” e segna la celebrazione dell'evento fondante, la Risurrezione. E nel tempio che è fatto di pietre vive, cioè la comunità dei fedeli, la luce sarà «discreta dove la fraternità deve costituirsi e dove la parola deve penetrare negli animi. Sarà vigorosa dove l'intenzione di Gesù ha lasciato i segni più chiari: aurorale nei luoghi del battesimo, splendente sull'altare. Cercherà modulazioni raffinate nei luoghi di passaggio, nei transiti, sulle soglie. Solo molto raramente cercherà lo splendore totale. Immaginerei solo il caso della notte di Pasqua. Il resto, sapienza del chiaroscuro...».
 


Basilica di San Francesco, Assisi. L'illuminazione mette in rilievo l'altare senza tralasciare gli affreschi giotteschi.
Basilica di San Francesco, Assisi. L'illuminazione mette in rilievo l'altare senza tralasciare gli affreschi giotteschi.

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