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Il contenuto   versione testuale
L'argomentazione di Bachelard si muove nel contesto della fenomenologia e insiste su concetti quali “reverie” (letteralmente: sogno, fantasia) e “retentissement” (letteralmente: risonanza, eco). Ne indaga il senso nelle dinamiche del pensiero, della coscienza, del sentire. In particolare nel sorgere delle immagini poetiche nell'animo della persona, che non si pone come alcunché di posseduto, bensì come qualcosa dal forte valore evocativo e creativo: «L'immagine poetica è in effetti essenzialmente variazionale: non è, come il concetto, costitutiva».
Si pone il problema se il valore creativo dell'immagine poetica (ovvero dell'oggetto o dello spazio dotato di valore poetico) derivi dal suo collegarsi ad archetipi depositati nell'animo, per asserire che «l'immagine poetica non è sottomessa ad alcun impulso, essa non è l'eco di un passato ma è piuttosto il contrario: attraverso una folgorante immagine, il passato lontano risuona di echi e non si riesce a cogliere fino a qual profondità tali echi di ripercuoteranno e si estenderanno».
Avviene uno scambio, come un mescolarsi dell'essere del poeta con l'essere di chi ne gode l'opera, in questa risuonando di  vibrazioni nuove. Così è l'espressione che “crea l'essere” e lo porta in una condizione di felicità. Qualcosa che, nota Bachelard, il razionalista non potrà mai capire o spiegare data la straordinaria capacità psichica dell'immagine poetica: né peraltro la può spiegare veramente lo psicologo il quale ricerca le causanti dell'immagine poetica nel sostrato esperienziale del creatore: il che è come pretendere di «spiegare il fiore parlando del concime».
Ci si pone quindi a fronte del gesto creativo con animo nuovo, accettando di lasciarsi rapire da questo, che è inteso come nuovo inizio entro uno spazio di purezza tutto suo, non riducibile a termini esplicativi. L'immaginazione, secondo Bachelard è la “potenza maggiore della natura umana”.
E col pensiero armato di immaginazione Bachelard legge lo spazio come un testo poetico, e avanzandovi per gradi.
La casa: è il valore dell'intimità, archetipo di ogni spazio abitato, luogo dell'identità e della memoria. Come una culla, vi vivono gli “esseri protettori”. Vi prevale la dimensione spaziale: il tempo si perde e il passato si fa tutto compresente negli specifici ambiti collegati a specifiche esperienze. A partire da quella della propria solitudine, nella quale l'essere prepara le proprie manifestazioni. Sono in realtà solitudini, al plurale, raccolte in spazi nei quali di esse abbiamo goduto, o sofferto, o a esse abbiamo ambito con desiderio.
Ogni parte della casa ha una ragione propria: c'è verticalità nel rapporto tra cantina e soffitta che viene esplorato attraverso i tanti ambiti reconditi che divengono rifugio entro il rifugio. E c'è concentrazione nella coscienza del raccoglimento che avviene in un angolo appositamente prescelto.
Il senso del raccoglimento raggiunge la sua espressione più compiuta nella capanna dell'eremita, che è “solitudine concentrata”, “antitipo del monastero”. «Intorno a una simile solitudine concentrata, si irradia un universo che medita e che prega, un universo fuori dall'universo».
Vi sono poi case esperite, quelle del passato, e case del futuro, quelle del sogno: e sono tutti luoghi dai quali si osserva l'universo in un cammino di vita in continua evoluzione. «Forse è bene conservare una riserva di sogni nei confronti di una casa che abiteremo più tardi, sempre più tardi, tanto tardi che non avremo il tempo di realizzarla». Perché  «una casa finale, simmetrica rispetto alla casa natale, preparerebbe pensieri e non più sogni, pensieri gravi, pensieri tristi. È meglio vivere nel provvisorio che nel definitivo».
Vi sono poi tanti oggetti e strumenti specifici che completano la casa, ciascuno col loro precipuo significato: la chiave, che è immagine di quel che “chiude” e quindi separa, e la maniglia, che invece rappresenta quel che “apre” e quindi collega.
E i ripostigli e i cassetti, espressione della tendenza alla classificazione delle cose secondo concetti: ognuno di questi infatti è ospitato in un cassetto “nel mobile delle categorie”. Ma quando il pensiero viene classificato diviene pensiero morto: non più creatore di idee, bensì semplice deposito infruttifero. Perché ove qualcosa sia definito, diviene esclusivo: «L'immaginazione non può mai dire: non c'è che questo. C'è sempre qualcosa più di questo. Come abbiamo più volte ripetuto, l'immagine di immaginazione non è sottoposta a verifica da parte della realtà».
E solo nel regno dell'immaginazione si trova il “superlativo”, superando il campo del “relativo”. Operazione che richiede di abbandonare ogni positività, poiché questa è incompatibile con l'immaginario.
Un esempio: Bachelard cita il padre gesuita Kircher, a su volta citato dall'Abbé de Vallemont nel 1709 (nel saggio “Curiosités de la nature et de l'art sur la végetation ou l'agricolture et la jardinage dans leur perfection”), il quale racconta  che i gusci ridotti in polvere sulle rive della Sicilia, se bagnati con acqua salata rinascono e si riproducono. In tale leggenda si ritrovano gli echi delle antiche credenze sulle conchiglie, espressione e simbolo di vita, per cui vi sono tombe antichissime entro le quali gli archeologi hanno trovato gusci vuoti evidentemente depositati dai parenti del defunto, con quel gesto simbolico desiderosi di facilitarne la rinascita. Certo, scrive Bachelard, lo spirito critico si beffa di tale modo di pensare attraverso “immagini incondizionate” per quanto irrealistiche. «Ma i progetti di un fenomenologo sono più ambiziosi: egli vuole vivere così come i grandi sognatori di immagini hanno vissuto». Ed evidenzia che nella comparazione il primo termine, “così, è più importante del secondo, “come”: perché il primo, in quanto premessa, apre al mondo delle ipotesi, il secondo invece, in quanto conseguenza, chiude nel mondo della realtà.
E sul piano del valore simbolico, la porta, aperta o chiusa, grande o piccola, pesante o leggera,  esprime protezione o prossimità, allontanamento o intimità, possibilità o impossibilità, differenza tra il “dentro” e il “fuori”, tra spazio aperto e spazio chiuso. E la poetica del passaggio dall'uno all'altro di questi.
Il capitolo conclusivo è dedicato alla “rotondità” ovvero alla completezza degli esseri. Perché “Das Dasein scheint in sich rund” (ogni essere – esser-ci – in sé appare rotondo) come ha scritto Karl Jaspers. Dopo l'analisi dei luoghi e degli elementi, l'afflato poetico riconduce al senso della totalità e della completezza, e questa si esprime nell'immagine della sfera: ma tale immagine ovviamente non richiede un oggetto dotato di tali caratteristiche, bensì un oggetto che si presenti come compiuto nella propria essenza. Bachelard si riferisce all'immagine dell'albero come espressa da Rilke: “albero, sempre al centro / di tutto quel che l'attornia / albero che assapora / la volta tutta del cielo”.
La completezza vitale dell'albero è immagine che esprime il divenire non arbitrario, armonicamente inserito in un cosmo entro il quale si trova in rapporto di centralità biunivoca e dialogante.
 
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