MADRE DI DIO, Mosaici del Duomo di Monreale, XII-XIII sec. (Per gentile concessione della Fabbriceria del Duomo di Monreale)
Nell’ottava di Natale la Chiesa celebra la festa di Maria Madre di Dio. Le letture bibliche si soffermano tuttavia sul Figlio di Maria e sull’imposizione del “Nome del Signore”. Il titolo di “Madre di Dio”, sancito dal Concilio di Efeso nel 431, pone in evidenza la straordinaria missione di Maria nella storia della salvezza e il suo ruolo unico in relazione al popolo di Dio incamminato verso la Gerusalemme celeste. Come recita, infatti, la preghiera Colletta della liturgia della Solennità: «Nella verginità feconda di Maria (tu, o Dio) hai donato agli uomini i beni della salvezza eterna». In Maria Dio ha benedetto tutte le genti ed ha riversato sull’umanità intera la sua grazia e i suoi benefici. Grazie al suo sì generoso e incondizionato, Dio ha fatto dono al mondo del suo Figlio unigenito nel quale è stata fatta pace fra il cielo e la terra. La pace è il dono messianico per eccellenza perché è la salvezza portata da Gesù, la riconciliazione e la pacificazione con Dio dell’umanità salvata per il sangue di Cristo. La pace si radica nel mistero di Cristo poiché «la pace terrena, che nasce dall’amore del prossimo, è essa stessa immagine ed effetto della pace di Cristo che promana dal Padre» (GS 78). Questi «ha convocato tutti coloro che guardano con fede a Gesù, autore della salvezza e principio di unità e di pace, e ne ha costituito la Chiesa, perché sia agli occhi di tutti e di ciascuno, il sacramento visibile di questa unità salvifica» (LG 9).
Questa verità possiamo ammirarla con gli occhi del corpo e contemplarla con gli occhi dello spirito nella splendida Cattedrale di Monreale dedicata a Santa Maria Nuova, il cui ricco e prezioso programma musivo della fine del XII sec. e della prima metà del XIII sec. converge nell’imponente figura del Cristo Pantocratore posto nel catino absidale. La prospettiva escatologica che orienta l’intero ciclo di mosaici emerge anche dall’etimasia, cioè dal trono vuoto con i segni della passione e con la colomba, posto al centro dell’arco del presbiterio, a significare la tensione escatologica che anima la vita e l’azione della Chiesa nella storia sotto la guida dello Spirito Santo. Immediatamente sotto l’immagine solenne e austera del Cristo parusiaco, nel registro di mezzo emerge la figura della Vergine seduta in trono, con il Bambino Gesù benedicente sulle ginocchia, circondata da angeli e da figure di santi. Lo sfondo oro colloca la scena in un tempo senza tempo, nel tempo della pienezza e della visione, della gloria e della comunione perfetta. Guardando a Maria la Chiesa guarda a se stessa e intravede il suo destino ultimo, la sua futura glorificazione dopo il tempo della tribolazione e della prova. Tutto ormai è posto sotto il dominio di Cristo, ogni cosa è raggiunta dalla sua luce. Il Cristo venuto nella gloria ha già consegnato il Regno al Padre suo e Dio è “tutto in tutte le cose” (cf. 1Cor 15, 24-28). Il Cristo benedicente tiene in mano il libro dei vangeli su cui è scritto in greco e latino: «Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre» (Gv 8,12).
Maria, immagine e modello della Chiesa, è stata la prima discepola del suo Figlio ed ha irradiato nel mondo lo splendore della sua salvezza. La Chiesa che in Cristo è «segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1), è invitata ogni giorno a seguire Cristo, Luce delle genti, e a sperimentare che «il momentaneo, leggero perso» della sua tribolazione le procura una «quantità smisurata ed eterna di gloria». Per questa ragione essa non deve fissare lo sguardo sulle cose visibili, quanto piuttosto su quelle invisibili. «Le cose visibili sono d’un momento, quelle invisibili sono eterne» (2Cor 4,17-18).