Sussidio Avvento 2013 - Per il dialogo ecumenico 
Per il dialogo ecumenico   versione testuale
 
TEMPO DI VEGLIA
 
Nel suo famoso e venerando testo di Introduzione alla Teologia Liturgica[1], Alexandr Schmemann ipotizza quattro periodi di evoluzione del conto cristiano. Si teorizza l’evoluzione del culto cristiano a partire dalla spiritualità monastica legata soprattutto alla celebrazione della lode attraverso la preghiera dei Salmi e della Parola di Dio, che si strutturerà in una vera e propria celebrazione oraria.
Ne consegue, e sarebbe interessante qui affrontare l’evoluzione della cosiddetta liturgia delle ore, che questo elemento è da considerarsi alla radice delle spiritualità cultuali di oriente e occidente, soprattutto perché al monachesimo è da attribuissi il grande compito di aver contribuito al consolidamento della cultura e della scientia cristiana in Europa e nell’oriente mediterraneo.
 
 
La radice del culto cristiano
 
Una prospettiva ecumenica interessante che in genere si pratica poco, è proprio quella della radice “monastica” del culto cristiano. Ci sono molteplici sforzi per inventare nuove formule di unificazione tra le chiese, con buoni tentativi offertici dai sussidi interecclesiali prodotti per esempio per la settimana per l’unità dei cristiani che provano a mettere al centro il tema ecumenico nelle diverse espressioni cultuali delle chiese cristiane. Mi pare che lo sforzo da compiere tuttavia sia quello di restituirsi alla radice comune che è fatta anzitutto dalla comune tradizione cultuale monastica che tutte le chiese riconoscono. Questo non vuole assolutamente sottovalutare la prevalenza eucaristica nella preghiera cristiana, ma vuole ammetter che innanzitutto questa prevalenza, nella storia del culto non ha voluto sempre dire una precedenza e in secondo luogo vuole aiutare l’asse ecumenico ad affrontare un terreno meno scivoloso del culto eucaristico che non da tute le chiese cristiane è egualmente preso in considerazione soprattutto in ambito protestante.
In questi ultimi anni, va riconosciuto, si è assistito a una rivalutazione della preghiera liturgica della Cena tanto che un noto liturgista riformato afferma che essa è «la preghiera per eccellenza della liturgia cristiana, il fiume nel quale confluiscono tutti i ruscelli di ogni nostra preghiera»[2]. Sì può immaginare, tuttavia, che si tratti di un punto di vista non condiviso da tutti i liturgisti o da tutte le chiese riformate.
Anche per i riformatori l’orizzonte “eucaristico” della Cena del Signore è estremamente importante.
 
Lutero precisò che «la messa non è altro che un testamento e un sacramento nel quale Dio si impegna con noi mediante una promessa e ci dona grazia e misericordia», come tale non si può sottovalutare come «buona opera» della Chiesa.
Dio infatti «non prende un beneficio da noi ma ci reca un beneficio». La Cena del Signore è un dono di Dio e se è Dio che dona non è la chiesa che offre un sacrificio a Dio. Di conseguenza «non noi sacrifichiamo Cristo, ma Cristo “sacrifica” noi»[3].
Calvino riprenderà la stessa argomentazione di Lutero affermando che «La Cena è un dono di Dio che deve essere preso e ricevuto con azioni di grazia, al contrario, si finge che l sacrificio della messa sia un contributo offerto a Dio che lo riceve da noi come una soddisfazione. Tanto è diverso il prendere dal dare tanta è la differenza tra il sacramento della Cena e un sacrificio»[4]. Sia Zwingli che Calvino avrebbero voluto conservare la celebrazione della cena ogni domenica, ma la loro proposta non venne accolta per il timore di tornare alla prassi precedente. Oggi sappiamo che la Cena del Signore, diversamente alla celebrazione eucaristica non è il punto di convergenza del culto protestante pur rimanendo elemento fondamentale.
Questa centralità “eucaristica” pur nella differente tradizione e sviluppo teologico ed ecclesiologico delle chiese cristiane, pone al centro di tutte le Chiese la questione squisitamente spirituale dell’unità della Chiesa. La questione ecumenica oggi si può, quindi, definire come questione spirituale. In tal senso l’ecumenismo spirituale può essere definito l’anima dell’ecumenismo. Torniamo a quanto abbiamo detto all’inizio di questa breve riflessione, alla preghiera come valore aggiunto dell’unità tra le chiese che rappresenta il filo conduttore dell’ecumenismo, della sua prassi e della sua maturazione teoretica e sebbene «a molti cristiani questo sembra un alibi, per certi versi tale programma corrisponde al presente stato del dialogo ecumenico»[5]. Non dimentichiamo che i due grandi scismi del cristianesimo non si verificarono solo per motivi dottrinali, ma anche per altri fattori e esperienze differenti che portarono alla reciproca alienazione fino a sfociare in fraintendimenti e posizioni ecclesiali e quindi dottrinali differenti. Queste differenze ultra teologiche (culturali, di mentalità, storiche) di fatto oggi rappresentano i maggiori ostacoli alla piena unità soprattutto con le chiese cristiane ortodosse [6]. In tale prospettiva appare oggi evidente che una delle maggiori difficoltà sulla via dell’unità con le chiese derivanti dalla riforma protestante è rappresentata dalla dottrina circa la giustificazione o meglio al significato esistenziale del messaggio sulla giustificazione.
Questa prospettiva esistenziale è necessaria per restituire la dottrina alla vita reale delle chiese e non relegarla alle dispute teologiche.
 
 
Spiritualità in ascolto
 
Al di là pertanto delle questioni dottrinali, vanno evidenziati alcuni motivi di divisione tra le chiese che riguardano proprio il vissuto ecclesiale e la differenziazione spirituale. Si tratta spesso di motivi che riguardano il vissuto ecclesiale, i contesti di evoluzione delle chiese, la progressiva differenziazione delle prassi, che hanno creato delle barriere emotive oltre che teologiche.
È necessario ricostruire un’empatia spirituale tra le chiese, ricominciare una condizione di ascolto; ma un ascolto purificato delle istanze dello Spirito che sono suggerite alle chiese anche attraverso la vita di fede vissuta e concretizzata nell’esercizio del culto e nelle opere di religione. Spiritualità differenti comportano altresì il rischio del sincretismo con elementi religiosi e culturali non compatibili direttamente con la fede e che in qualche modo tendono ad alterarla. Poi ci sono i rischi ideologici che utilizzano la religione per ottenere scopi politici. È necessario pertanto lavorare sulle forme di spiritualità per limitare e via via purificare questi rischi così da rendere la spiritualità ecumenica interessata solo al vissuto ecclesiale in quanto tale.
Non dobbiamo dimenticare che lo Spirito di carità, che elimina la paura (1Gv 4,18) è il principale alleato di questo discernimento ecumenico della vita spirituale delle chiese, perché aiuta a superare la preoccupazione per la propria identità che tende a chiudere e a limitare lo slancio verso l’altro. Certamente ogni spiritualità, anche quella ecumenica, deve rimanere ancorata alla universale e univoca rivelazione di Cristo che è fondamento e chiave di goni espressione ecclesiale. Ma questo fondamento è incarnato in Gesù di Nazareth e pertanto deve essere oggetto di relazione e non unità metrica scientifica. Solo nella relazione con Cristo nella pienezza del suo mi(ni)stero è possibile cogliere la pienezza della spiritualità cristiana e, ultimamente, tendere all’inesauribilità del mistero di Dio. questa relazione è autentica se avviene nello Spirito Santo che conduce alla verità tutta intera (Gv 16,13). Uno dei modi in cui ciò avviene attraverso la spiritualità che include la spiritualità ecumenica. Il dialogo ecumenico non è soltanto uno scambio di idee, ma uno scambio di doni e di esperienze spirituali[7]. Questo permette di salvaguardare la propria identità evitare l’appiattimento e non correre il rischio di pensare l’ecumenismo come un compromesso tra posizioni diverse, ma di ottenere la visione di un denominatore comune che possa favorire l’arricchimento anche spirituale delle chiese e di singoli cristiani. Questa è la vera conversione cui la chiesa di Cristo deve aspirare, il suo rinnovamento[8].nell’avvicinarsi a Cristo attraverso la mutua relazione delle singole esperienze ecclesiali, ci si avvia nella direzione della maggiore unificazione a Lui. Non si tratta semplicemente di stabilire un progetto con regole certe, univoco per tutte le esperienze, pienamente confezionabile per tutte le situazione. Si tratta di avviare un processo di riconciliazione che è possibile solo attraverso la riconciliazione delle esperienze spirituali, e il reciproco avvicinamento delle esistenze ecclesiali.
Il progetto trinitario è il progetto originario cui le chiese sono chiamate a tendere, partendo proprio dall’esperienza dell’incarnazione. Proprio l’incarnazione ci insegna che l’unità della chiesa non po’ essere un sistema astratto all’interno dell’impianto teologico. L’esperienza spirituale richiede un’esperienza incarnata delle chiese. Come nell’incarnazione del figlio di Dio, sarà lo Spirito a protrae a termine il progetto di piena incarnazione della Chiesa di Cristo.
 
 
La liturgia oraria bene comune
 
Un modo concreto per vivere questa spiritualità dal punto di vista ecumenico può essere senza dubbio la liturgia delle ore, cui già si accennava.
Le chiese cristiane hanno conservato, seppur in forme diverse, la preghiera del mattino e della sera con il loro significato, rispettivamente, di commemorazione della resurrezione di Cristo luce del mondo e di commemorazione dell’offerta che Cristo fa di sé per la redenzione. Attorno a queste due dinamiche fondamentali si sviluppano i diversi schemi di preghiera mattutina e serale. Volendo andare al di là della storia evolutiva delle diverse proposte orazionali delle singole chiese ci basti qui coglierne gli elementi di spiritualità comune.
In moltissime liturgie, sia orientali che occidentali, la preghiera serale (vespri) è caratterizzata sempre da un lucernario, tanto che viene spesso titolata come celebrazione (o liturgia) della luce. Questo elemento non è confinato tuttavia, come ci aspetteremmo, in particolari momenti dell’anno liturgico o a particolari festività, ma rappresenta una matrice simbolica comune, quasi in contrasto con la prospettiva natura in cui la preghiera serale si incastona. In sostanza, come vediamo nella liturgia bizantina o luterana ad esempio, la preghiera serale intende rinunciare alla pur naturale conseguenza dell’avvento della notte, il buio, ricordando ai cristiani che il buio non esiste perché Il Cristo è sole che non tramonta. Il tema della luce è molto presente sia nelle liturgie serali che in quelle del mattino ove assume la chiara connotazione di celebrazione della resurrezione (molto belli a tal proposito, nella liturgia bizantina della veglia mattutina i ritornelli delle mirofore). Il simbolismo è molto accentuato quindi, e conduce il cristiano ad intender la preghiera come una progressiva illuminazione della propria vita personale attraverso la luce divina che viene dalla preghiera. Altro elemento comune, e non banale, che insiste in tutte le liturgie orarie cristiane è la preghiera di lode per la Santissima Trinità. Tutte le celebrazioni orarie cominciano con questo riferimento. In alcune liturgie, come la bizantina, esso è più evidente grazie al canto di gloria alla Trinità, in altre meno limitandosi al segno della croce.
  
L’imprescindibile riferimento trinitario, tuttavia, colloca la preghiera oraria nella prospettiva di una preghiera pienamente ecclesiale essendo la Chiesa effluvio della Trinità stessa. Questo elemento, nella preghiera vuole intendere la Chiesa una, come una è la presenza trinitaria, unità di sostanza in tre persone.
Le chiese cristiane hanno una predilezione per la preghiera oraria perché essa è riconducibile alla tradizione più longeva della storia della Chiesa stessa. Ha superato ogni ordine di cambiamento ecclesiale e ha resistito ad ogni prova del tempo. Ciò si è reso possibile grazie alla spiccata vocazione biblica di questa forma di preghiera e alla sua palese oggettività. La liturgia delle ore rappresenta un vero ed efficace incontro con il Padre attraverso Cristo nello Spirito. Per questo la preghiera oraria rappresenta una vera e propria scuola di preghiera per le chiese. Inoltre nessun’altra forma di preghiera è così radicata nei misteri di Cristo al di là degli aspetti divergenti su cui la teologia e la prassi ecclesiale spesso fanno discutere le chiese.
 
 
Quali suggerimenti?
 
In questo tempo di Avvento-Natale potrebbe essere molto utile rimettere al centro della preghiera personale e della preghiera comunitaria proprio la liturgia delle ore. Se infatti il tema della luce è ricorrente nella preghiera oraria delle diverse chiese cristiane, ciò risulta ancore più preponderante in questo tempo dell’anno. Anche nella liturgia romana esistono alcune possibilità di adattamento che permetterebbero una maggiore “spinta” verso il tema “ecumenico della luce e che ci avvicinerebbe sensibilmente alla preghiera oraria delle altre chiese cristiane, soprattutto al mattino e alla sera. Si potrebbe recuperare anche la celebrazione del lucernario nella preghiera serale comunitaria così da mettere in evidenza ancora di più il carattere ecumenico della preghiera oraria nel suo argomento simbolicamente più ricorrente. Si potrebbe addirittura penare alla celebrazione comune della preghiera della luce da far precedere alla celebrazione dell’incarnazione. Insistere sulla convergenza della liturgia delle ore certamente significherebbe discostarsi dallo schema stretto in cui essa è a volte costretta, a vantaggio di una maggiore corrispondenza anche spirituale tra le chiese. Colpisce senz’altro osservare che spesso le celebrazioni ecumeniche non riguardano quasi mai la celebrazione della preghiera oraria che pur ha molti punti di contatto tra le diverse espressioni ecclesiali.
 


[1] A. Schmemann, Introduction to Liturgical Theology, London 1966.
[2] B. Bürki, L’Assemblée dominicale. Introduction à la liturgie des Églises protestantes d’Afrique, Immensee, Nouvelle Revue de science missionaire, 1976, 170.
[3] Cfr. Il sermone sul Nuovo Testamento, cioè sulla santa messa (1520), in: M. Lutero, Messa, sacrificio, sacrerdozio, Lutero: Opere scelte 7, Torino 1995, 118-119, 128. Sulla questione del sacrificio, cfr. G. Theissein, La religione dei primi cristiani, Torino 2004, 183.
[4] Istituzione della religione cristiana, IV, XVIII, 7.
[5] W. Kasper, Vie dell’unità. Prospettive per l’ecumenismo, Brescia 2006, 221.
[6] Cfr. W. Kasper, cit., 221.
[7] Ut unum sint, 28.
[8] Unitatis redintegratio, 7.