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Home page - Una chiesa al mese - Vicariato di Roma, chiesa di San Pio da Pietrelcina - Scheda completa | | Località Malafede, Roma (XIII Municipio) | |
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04/04/2013
Un nuovo insediamento per alcune migliaia di abitanti viene realizzato, nel corso degli anni Novanta, nella campagna romana tra la via Ostiense e la via Cristoforo Colombo, all’esterno del Grande Raccordo Anulare, nella località storicamente nota come Malafede . Per rispondere alle esigenze pastorali della popolazione del nuovo centro, il cardinale vicario mons. Camillo Ruini istituisce una nuova parrocchia, il 1° ottobre 2000, affidandola al clero diocesano di Roma e scorporandone il territorio dalla parrocchia di Gesù Agonizzante di Vitinia (centro parrocchiale sorto per iniziativa di Luigi Gedda nei primi anni Cinquanta e realizzato da Ildo Avetta, con forme vicine alla ricerca architettonica tedesca tra le due Guerre). I luoghi iniziali dell’azione pastorale del primo parroco, don Paolo Pressacco, sono la piazza e le case che iniziavano a sorgere, ordinate e monotone; una prima cappella provvisoria viene benedetta il 4 marzo 2003. Mentre proseguono i lavori di costruzione del quartiere (il cosiddetto quartiere “Caltagirone”), si delinea la modalità di realizzazione della chiesa definitiva: nel quadro del progetto “50 chiese per Roma”, il Vicariato bandisce nel 2005 un concorso di idee cui sono invitati: Giancarlo Pediconi e Alberto Zanmatti; Leonardo Gramazio; Francesco Purini e Laura Thermes; Massimo Sciarra e Nilda Valentin; Anselmi & Associati . Il concorso viene vinto dallo Studio di Architettura Anselmi & Associati, che propone un ampio manto di copertura su un’aula liturgica trasversale ma fortemente unitaria, aggiudicandosi l’incarico. La progettazione definitiva e il cantiere si sviluppano durante l’attività pastorale dei parroci don Roberto Zammerini (2004-2009, nominato Rettore del Pontificio Seminario Romano Minore) e dell’attuale parroco don Alfio Tirrò. Il 16 dicembre 2007 è posta la prima pietra , benedetta dal vescovo ausiliare mons. Paolo Schiavon e da mons. Ernesto Mandara, referente istituzionale della costruzione di nuove chiese presso il Vicariato di Roma. Il 23 ottobre del 2010 il cardinale vicario mons. Agostino Vallini presiede la dedicazione della nuova chiesa e inaugura il complesso parrocchiale, a dieci anni dall’istituzione della comunità
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04/04/2013
L’espansione delle aree urbanizzate attorno all’Urbe nel secondo Dopoguerra ha comportato una vera e propria emergenza permanente per l’edilizia di culto: in molte aree la cura pastorale ha operato in condizioni di precarietà, sebbene negli anni Settanta e Ottanta si siano costruite oltre ottanta parrocchie, e altre diciotto sono state completate negli anni Novanta, arrivando a circa 350 chiese parrocchiali nell’arco di un secolo (Santi 2011, p 51). Dal punto di vista istituzionale la diocesi interviene mediante l’Opera romana per la provvista di nuove chiese, erede della “Pontificia Opera per la Preservazione della Fede e la Provvista di Nuove Chiese in Roma” (istituita da Pio XI nel 1930), con il supporto tecnico dell’Ufficio per l’Edilizia di culto. Durante l’episcopato del card. Camillo Ruini (1991-2008), nel 1993, viene varato il già citato piano delle “50 chiese per Roma 2000”, calcolando che circa 350mila persone fossero allora sprovviste di centri parrocchiali prossimi e adeguati (Amicarelli 1997). Tale piano ha avuto anche un assetto civile: nel 1994 viene siglato il protocollo d’intesa fra il Ministro per i problemi delle Aree Urbane e il Vicariato di Roma, cui hanno fatto seguito accordi di programma per fasi; dopo l’adozione e l’approvazione del nuovo piano regolatore di Roma (2003, 2008) è stato rinnovato il protocollo, con Comune e Regione, riformulato come “Nuove chiese per Roma nel Terzo Millennio”. Il piano pastorale-urbanistico è stato accompagnato da iniziative formative e culturali; la qualità dell’architettura è stata talora promossa con lo strumento del concorso di progettazione. Proprio il lancio del piano è stato accompagnato dai concorsi del 1993-1994, per Dragoncello di Acilia (vincitore arch. Bruno Bozzini, chiesa dei Santi Cirillo e Metodio, completata nel 1997) e Tor Tre Teste: quest’ultimo, privo di vincitore, è stato ribandito come concorso a inviti internazionale, aggiudicato a Richard Meier (chiesa di Dio Padre Misericordioso, la cosiddetta “Chiesa del Giubileo”, 1996-2003). Non hanno invece avuto esito i contatti con Tadao Ando e Alvaro Siza, progettista di Santa Maria del Rosario di Pompei (Breccia Fratadocchi 2006, p. 29). Secondo il piano e le sue successive integrazioni, tra il 1997 e il 2012 sono state inaugurate 45 nuove chiese, la maggior parte delle quali in nuovi centri parrocchiali. Per raccogliere le esperienze maturate e per orientare la costruzione delle ulteriori chiese previste, il Vicariato di Roma ha emanato nel maggio 2007 lo Strumento di lavoro per la progettazione dei nuovi complessi parrocchiali nella diocesi di Roma, che va ad affiancarsi al documento della Cei del 1993 (La progettazione di nuove chiese). Il concorso relativo a San Pio fa parte di una terna di concorsi di idee a procedura ristretta, banditi nel 2005 per aree a sud del Grande Raccordo Anulare: gli altri sono per Zona Infernetto, aggiudicato a Umberto Riva (San Corbiniano, 2011) e per Tor Pagnotta, aggiudicato a Antonio Monestiroli (San Carlo Borromeo, 2010).
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04/04/2013
Fin dall’avvio dell’ iter progettuale , l’aula liturgica del complesso parrocchiale è stata pensata come un invaso fortemente unitario, disposto secondo un assetto trasversale: la proposta concorsuale è stata sostanzialmente rispettata durante l’iter progettuale e approfondita grazie al dialogo con il committente e con la comunità. Sotto l’ampia vela gonfiata, l’assemblea è orientata verso un ampio presbiterio plenario che, organizzato lungo il lato lungo del rettangolo di base del’aula, presenta tutti i poli liturgici alla visione frontale dei fedeli. L’impianto con presbiterio trasversale è una soluzione ricorrente nell’architettura di chiese italiana dagli anni Sessanta ad oggi, che privilegia la buona visibilità dell’azione liturgica rispetto al più articolato tentativo di formare un’assemblea ‘plasmata’ dalla complessità delle relazioni tra i diversi poli celebrativi. Il progetto liturgico pone in tensione dialettica la frontalità unitaria del presbiterio e l’articolato spazio dalla vela: la copertura passa infatti dai tre archi asimmetrici di facciata all’unico grande arco absidale, cui fa riscontro in pianta la pedana presbiteriale plenaria, rialzata di 45 cm e distesa lungo l’intera parete di fondo e incurvata verso l’assemblea. Questa è governata da “assi prospettici, generati da lievi slittamenti direzionali delle pareti e degli arredi fissi, che delimitano spazi percettivamente distinti, ma non gerarchicamente subordinati” (Marandola 2011, p. 9). Secondo la relazione di progetto, “la sala dell’assemblea sviluppa liberamente tutte le sue articolazioni convogliando senza forzature la dinamica dello spazio e la sua simbologia verso il centro dell’azione liturgica costituito dal presbiterio”. Nella disposizione dei i poli principali (altare, ambone e sede) viene adottata una rassicurante disposizione lungo la diagonale del presbiterio . È questo l’assetto applicato praticamente in tutte le chiese romane più recenti: i fuochi liturgici restano di fatto accorpati, pur adottando in fase realizzativa una disposizione più aperta, recependo l’indicazione emersa dal Comitato della Cei che aveva rilevato come i poli apparissero “collocati l'uno accanto all'altro come in una visione scenica” (verbale del 24 aprile 2007). In sintesi, il tema dell’assemblea di fedeli circumstantes è declinato solo con il posizionamento irregolarmente flesso dei banchi per i fedeli (acquistati da catalogo, e non realizzati su progetto, come inizialmente previsto). Grazie alla disposizione trasversale, i fedeli restano comunque prossimi ai poli liturgici, scanditi e distanziati senza sovrapposizioni, riequilibrati rispetto all’intero sviluppo del presbiterio. Al presbiterio unitario fa riscontro, come sopra accennato, l’arco che definisce la parete absidale luminosa, fondale dell’intera chiesa e di tutti i poli liturgici, in cui è ritagliata la superficie opaca bianca in cui trova posto il crocifisso , affiancato da una lama di luce con vetrata istoriata allineata alle spalle dell’ ambone e del cero pasquale; un tassello verticale di vetrata segna anche il luogo della sede . Ai due lati opposti dell’arco presbiteriale si collocano il battistero, ai piedi della pedana, e il tabernacolo, collocato in una custodia lapidea appoggiata sul presbiterio stesso, in area distante dalla mensa. Il battistero non è un semplice arredo, ma un vero e proprio luogo. Il fonte è infatti collocato in uno spazio protetto, quasi un anfratto, che assume un proprio rilievo volumetrico proiettandosi sia all’interno dell’aula, sia all’esterno, protendendosi all’esterno della facciata posteriore, un “accadimento” quasi speculare al volume della porta di ingresso principale. Nel progetto di concorso il fonte era proposto in posizione prossima all’area di ingresso, e la nuova sistemazione frontale è stata richiesta dalla committenza. La definizione dello spazio battesimale è stata tuttavia oggetto di discussione fino al suo completamento, pochi giorni prima dell’inaugurazione: in ultima battuta, una delle pareti d’ambito del battistero, quella verso il presbiterio, è stata aperta e sostituita da un parapetto vetrato , in modo da consentire la visibilità piena del fonte da parte di tutta l’assemblea e la sua relazione diretta con altare e ambone. La celebrazione del sacramento avviene solitamente in modo itinerante, come previsto dal rito: l’accoglienza nello spazio di ingresso, la liturgia della Parola all’ambone e il battesimo al fonte. Nello spazio “interno” – rivestito di mosaico dorato – trovano spazio i genitori e i padrini, rivolti verso l’assemblea, e – al termine del rito – il bambino “esce” dallo spazio semichiuso del battistero verso la vita nuova, come avveniva nei battisteri antichi, con il gesto eloquente della presentazione alla comunità. Lo spazio che certamente suscita più curiosità è quello inizialmente definito come cappella feriale, evolutosi nel corso del progetto in “ custodia eucaristica” integrata nell’aula. I progettisti hanno inteso limitare la frammentazione dei luoghi posti sotto il mantello unitario della volta, e al tempo stesso hanno voluto rendere il luogo del Santissimo immediatamente riconoscibile: uno spazio evidente nella sua semplicità, che possa rispondere allo “smarrimento” che si genera in quelle chiese in cui non è immediatamente individuabile l’orientamento eucaristico. Tale istanza è affrontata proponendo una zona riservata e spazialmente connotata, ma priva di separazioni fisiche nette verso il resto dell’aula. Durante il cantiere si è sperimentata una prima ipotesi in cui la cappella feriale (ancora pensata come autonoma) era delimitata da telai aperti (con serramenti analoghi a quelli di facciata); in seguito – in accordo con la committenza parrocchiale e con l’orientamento espresso dal Comitato Cei – si è preferito non dividere in modo verticale i due ambienti, rendendo sempre visibile il tabernacolo e affidando la segnalazione di uno spazio “differente” soprattutto alla grata sospesa superiore. Questa definisce un volume più basso e intuitivamente più protetto, sotto una delle tre vele che articolano lo spazio: seppur dotato di un proprio ingresso feriale , l’ambiente – secondo quanto affermato dai progettisti – non diventa uno spazio “solipsistico”, né “una chiesetta nella chiesa”. Da cappella feriale, tale spazio è dunque trasformato in “custodia eucaristica”, priva di un proprio altare: durante la settimana è dedicata alla preghiera personale e all’adorazione, trovandosi in diretta connessione con il tabernacolo; durante le celebrazioni festive viene utilizzata dai fedeli insieme al resto dell’aula. È importante sottolineare che la mensa è unica per tutta l’aula, come pure è unico l’ampio spazio presbiteriale. In fase esecutiva, è stata adottata l’accortezza di orientare dunque il tabernacolo non verso l’originaria cappella feriale, ma verso il centro dell’aula. Resta la questione delle “balaustre longitudinali”, volute dai progettisti per indicare la specificità dello spazio eucaristico: il manufatto è privo di funzione liturgica o teologica, in quanto non necessario per lo specifico momento personale dell’adorazione, ed è causa di un inopportuno frazionamento dell’assemblea durante le funzioni festive. La penitenzieria è sistemata a destra dell’ingresso principale, in due confessionali, senza soluzioni spaziali connotanti. Sotto la porzione di curva che raggiunge la massima altezza è collocato, in posizione sollevata, lo spazio del coro e dell’organo , inquadrato dai due pilastri che reggono la piegatura della copertura. “Questa scelta é dovuta a ragioni sia di natura tecnica, in quanto la forma che la volta assume in quel punto dovrebbe risultare un buon amplificatore sonoro, sia come memoria degli antichi luoghi dai quali si cantavano le lodi al Signore” (dalla relazione di progetto). Si rileva tuttavia che la soluzione, orientata da suggestioni storiche, separa i coristi dal resto dell’assemblea, proponendone un’ulteriore frammentazione, oltre a quella segnata dalle “balaustre” longitudinali.
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04/04/2013
L’altare, l’ambone e la sede sono manufatti litici massicci, il cui volume è movimentato da una sorta di drappeggio, interpretabile come una materializzazione del soffio dello Spirito, ma anche come citazione delle forme barocche romane. Con la loro articolata poderosa presenza, paiono quasi massi erratici depositati sul presbiterio, in contrasto con la continuità dello spazio interno, un frammento pesante di memoria nell’inedita formulazione fluida dello spazio in cui sono immersi. Le opere sono state progettate da Giovanna De Sanctis Ricciardone, che ne ha curato la realizzazione in travertino presso la Società del Travertino Romano. Il supporto del tabernacolo e il fonte battesimale richiamano invece la naturalità della materia, lavorata con modalità più grezze; la lastra dell’anta del tabernacolo, in fusione di bronzo, è un richiamo al tema del drappeggio della mensa. Il crocefisso storico, previsto in progetto, è stato fornito dal committente ed è stato restaurato prima della posa in opera: il realismo dell’immagine è sottolineato dalla parete “astratta” su cui è collocato, in controluce, diventando quasi adimensionale. I cippi della via crucis sono stati ideati dai progettisti, collocati lungo le pareti laterali dell’aula all’innesto della copertura nel suolo: era prevista la possibilità di commenti iconografici alle stazioni, per ora non realizzati. Un ruolo importante ha la “vetro-scultura”, adottata nel portale principale e nelle lame vetrate a fianco del crocifisso e del fonte, realizzati da Giorgio Funaro dello Studio Forme, Roma. Il portale è composto da 36 bassorilievi in vetro fuso, che riportano frammenti delle Scritture riferiti al tema della porta e della soglia, a partire da Gv 10,9 (“Io sono la porta. Se uno entra attraverso di me sarà salvato”) e da alcuni passi dell’Antico Testamento (Is 60,11; Sal 99, 4). La vetrata a fianco del crocifisso riporta un brano dall’epistolario di San Pio: “Tieniti sempre stretto alla croce perché essa non opprime: se il suo peso fa vacillare, la sua potenza solleva”; sopra la scritta, la spiga di grano; al fondo, le mani con le stimmate, come sigillo del Santo. La posizione dei poli devozionali è stata decisa dalla committenza in corso d’opera, modificando il progetto di concorso: la statua mariana è posta sul presbiterio, occupando – forse in modo non del tutto proprio – lo spazio tra l’ambone e il battistero; la statua del santo titolare , San Pio da Pietrelcina, è in controfacciata. Il programma iconografico coinvolge anche il concerto di campane, fuse nel 2010, su cui sono effigiati San Pio (mi), Cristo Sacerdote (fa #), dedicata alla memoria del primo parroco don Paolo Presacco (“la prima campana del quartiere”, che annunciava a voce la messa per le strade), e la Madre della Fiducia (sol #, patrona del Pontificio Seminario Romano Maggiore, presso il quale sono stati formati i tre parroci della parrocchia).
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04/04/2013
Il comfort dell’assemblea è declinato secondo le specificità e le esigenze di uno spazio liturgico fortemente unitario. Per ovviare, almeno in parte, al disagio dell’assenza di uno spazio chiuso utilizzabile come cappella feriale, il riscaldamento dell’aula è a pavimento ed è frazionato, in modo da garantire un clima adatto anche per piccole assemblee. I corpi illuminanti sono stati espressamente ideati e progettati per la chiesa: i “grappoli” sospesi non perturbano la continuità della superficie della volta, e riescono ad assolvere alle esigenze diversificate dei riti e dei poli liturgici, senza offrire solo una luce indifferenziata e generica. L’ illuminazione naturale è filtrata dai pannelli e dagli schermi della facciata sud , mentre la parete absidale rivolta a settentrione non pone problemi di abbagliamento o surriscaldamento. Il sistema delle due vetrate garantisce anche ventilazione naturale estiva sebbene, per la vetrata absidale, l’apertura dei pannelli implichi l’introspezione verso le abitazioni adiacenti.
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04/04/2013
La tenda, intesa nelle sue valenze scritturistiche e patristiche, è il tema chiave della chiesa; tale idea non è stata tuttavia declinata in modo mimetico o espressionista (come in molti casi degli anni Sessanta: basti pensare agli esisti gestuali del concorso romano del 1967), ma tradotta in forme accortamente studiate; un “panneggio dello spazio”, secondo l’espressione utilizzata da Alessandro Anselmi in un’intervista televisiva. “Nella fase di concorso, in un disegno concettuale rappresentante questa superficie di copertura venne scritto, al margine del foglio, a sua spiegazione: il rapporto tra il ‘molteplice’ e ‘l’uno’. In verità tutta l’intenzionalità progettuale, la volontà simbolica e il significato profondo che hanno presieduto al disegno di questa chiesa sono scritti in questo rapporto dialettico tra le categorie fondanti la cultura occidentale dove però, fermo restando la categoria dell’Uno, quella filosofica e generica del ‘molteplice’ si determina in termini cristiani nel Trino” (dalla relazione di progetto). Nell’evocare il tema trinitario, peraltro, i progettisti non indugiano in derive didascaliche, ma puntano a un esito spaziale coerente con le finalità liturgiche dell’edificio. Il fascino principale della forma dell’edificio consiste proprio nel dinamismo tra la tripartizione di facciata/sezione e l’unitarietà della parete luminosa absidale [15], nella “continuità tra l’unicità espressa dalla parete dietro l’altare e la triplicità manifestata verso il sagrato” (Servadio 2011). La ricerca formale e tecnologica sulla vela definisce la specificità dell’aula per il culto, cuore del centro parrocchiale e del quartiere, ma non esaurisce tutto l’intervento. Il resto del complesso si affianca in modo discreto ma non anonimo all’aula liturgica: un lungo asse distributivo rettilineo attraversa e unisce tutto il lotto, a servizio delle opere pastorali, della chiesa, del sagrato e dello spazio di gioco.
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04/04/2013
Il lotto ha una sagoma irregolare ed è chiuso per tre lati dall’ edificato: il progetto tenta di ricondurre a coerenza l’uso degli spazi, ordinandoli a partire dall’asse distributivo centrale e dalla pensilina che si snoda dall’ ingresso al campanile. La scelta fondamentale consiste nell’arretramento dell’aula liturgica rispetto all’unico filo stradale disponibile, in modo da creare un parcheggio esterno e, oltre una grata metallica bianca, un ampio sagrato direttamente annesso al complesso, in parte piantumato ad uliveto. “Il sagrato è anche piazza del quartiere ed intorno ad esso si configurano tutti gli edifici costituenti l’attività parrocchiale, gli uffici, i locali del ministero pastorale, la canonica e la grande sala, i quali sono disegnati con scrittura vicina al linguaggio ordinario della città e ricercano con le loro pacate stereometrie un equilibrio compositivo basato su corrette e sottili proporzioni. Diverso invece il carattere espressivo dell’Aula, la quale, pur costruendosi in rapporto con il resto dell’edificato, presenta un’immagine dal forte carattere identitario dovuto soprattutto alla morfologia della grande superficie di copertura” (dalla relazione di progetto), in forte contrasto con l’opaca monotonia delle case che la circondano . Il prato dell’ampio sagrato è attraversato da due percorsi, orientati verso gli accessi asimmetrici dell’aula liturgica: l’ingresso principale è una sorta di blocco scatolare svuotato, posto a cavallo della parte destra della facciata, definito da una complessa vetrata istoriata; l’ingresso ‘feriale’ è sul lato opposto, verso la “custodia eucaristica”, e in più diretta prossimità con le opere parrocchiali. Nel settore triangolare a ovest delle opere pastorali trova spazio la sala comunitaria , a fianco della quale gli spazi residui sono riprogettati come un articolato chiostrino , riservato e intimo. Alle spalle dell’aula, in una depressione dietro la vetrata absidale, l’ulteriore sfrido del lotto è utilizzato per i campi di gioco e per un giardino, ai piedi del campanile.
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04/04/2013
La chiesa ha una storia ancora breve, ma è interessante documentare i primi processi di “appropriazione” dello spazio da parte della comunità: certamente il nitore degli spazi e dei colori garantisce uno spazio liturgico inizialmente privo di distrazioni o accidenti, ma è anche comprensibile che ogni comunità cerchi di “fare proprio” il luogo in cui vive e celebra. La grande cura posta nella realizzazione dell’edificio non implica una sua “cristallizzazione” nello stato finale dell’inaugurazione: nel rispetto delle intuizioni di progetto – ecclesiali e architettoniche – è fondamentale che l’essenzialità formale non sia intesa, negli anni a seguire, come assenza di identità, o come vuoto da “riempire” casualmente e senza progettualità. Il percorso immaginato dalla comunità prevede che lo spazio liturgico sia messo in relazione con il tempo liturgico: come lo spazio della chiesa non è un volume indifferenziato, così il tempo della Chiesa non è tutto uguale, e vengono quindi sottolineati con allestimenti temporanei i momenti caratterizzanti l’Anno liturgico. Nei primi due anni di vita, la comunità ha quindi sottolineato il mistero della Croce durante il periodo dalla Domenica delle Palme alla Pentecoste, mediante drappi che definiscono e delimitano uno specifico spazio per il Crocifisso, all’interno della bianca superficie della parete absidale: un metodo temporaneo per ri-orientare lo sguardo dei fedeli, che rischia forse di perdersi nell’ampiezza della parete luminosa presbiteriale o nella bianca superficie absidale. Non a caso i primi schizzi di progetto prevedevano una modellazione a drappo mosso anche per la superficie di sostegno del crocifisso, opera poi non realizzata.
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