"Un tempio non è mai finito: questo tempio comincia ora a vivere nella spiritualità del suo popolo" (lettera di Ponti a Motolese, 12.12.1970, in Torricella 2004, p. 156). La dedicazione e la prima concelebrazione l8 dicembre 1970 avviano lappropriazione delledificio da parte della comunità: commenta la didascalia delle foto di Domus (di cui Ponti era direttore): Una architettura la si disegna disabitata, pur immaginandola abitata: la consacrazione è data dai fedeli. Se lo spazio liturgico della concattedrale era destinato a diventare la risposta viva della Chiesa tarantina alle sfide della modernità, è però soprattutto l‘immagine esterna che diventa presto l‘icona di un rilancio dell‘architettura ‘sacra‘, con una ritrovata monumentalità, lontana sia dalle interpretazioni meramente funzionaliste del Movimento Moderno, sia dalle possibili derive funzionaliste del Movimento Liturgico stesso. La recensione di Luigi Moretti su "Domus" ‘consacra‘ a sua volta laicamente il ruolo della concattedrale nella cultura architettonica italiana e internazionale. Come ricorda Irace (2010, p. 429), il tema dell‘edificio sacro era centrale per Moretti e Ponti, la cui consonanza ideale era fondata anche sulla comune fede. La critica di Moretti determina tuttavia una chiave di lettura, poi affermatasi quasi univocamente nella letteratura, "interamente centrata nell‘alto e grande fastigio che sovrasta tutto, nella grande ‘vela‘ che s‘alza al cielo […] A me sembra che questa quasi immateriale struttura sia essa ed essa sola la chiesa. Il resto, lo spazio assembleare e presbiteriale, le annesse costruzioni sono accessori necessari agli uomini nella loro vita e religiosità quotidiana e usurata" (Moretti 1971, p. 11). Ponti stesso è consapevole del ruolo identitario fortissimo della vela, "che non ha precedenti e non può avere conseguenti che non siano plagi" (intervista in Beretta 1979, p. 133). Il ruolo iconico della vela ha dovuto però misurarsi con la consistenza materiale del manufatto, che paga leccessiva fiducia nelle prestazioni dellacciaio (condizionata ovviamente dal ruolo della siderurgia tarantina) e alcune debolezze realizzative. I pannelli con i trafori a losanghe erano stati prefabbricati a pié dopera, per essere poi montati su un telaio in profilati metallici e telai in cemento armato: la complessità del manufatto e lesiguità di alcuni sezioni hanno determinato una situazione in cui il degrado si è diffuso con unintensità e unestensione preoccupanti, tali da richiedere un complesso intervento di diagnostica e di ripristino negli anni 2004-2005 (progetto e direzione lavori ing. Domenico Mancini). Come accuratamente documentato da Torricella (2004), certamente la fatica e la letizia del progetto di Ponti non si esauriscono nell‘invenzione della vela, ma si perpetuano nel rapporto dialettico tra questa e lo spazio liturgico interno, tra la ‘gratuità‘ del suo dispiegarsi e l‘impegno della Chiesa nel lasciarsi coinvolgere dalla vita dalla città. Ciononostante, la "vela" ha assunto un valore simbolico anche nella vita pastorale, come colto anche da Giovanni Paolo II nell‘incontro con la cittadinanza di Taranto, il 28 ottobre 1989: "Questo monumento di arte e di fede vi ricordi il desiderio e il dovere di inserirvi da credenti nel cuore dello sviluppo, non solo urbanistico, della nuova Taranto e di offrire una ‘vela‘, un luogo di sicura fraternità e speranza, a tutti coloro che faticano sul ‘mare‘ della vita. […] La ‘vela‘ è anche un segno di una Chiesa che va incontro alla città e, valorizzando il legame storico-spirituale tra San Cataldo e la Concattedrale, tra la città vecchia e i nuovi quartieri, si impegna a costruire un ponte ideale verso il futuro, capace di assicurare prospettive di serena e costruttiva convivenza per tutti" (citazione in Semeraro 1990, p. 89).