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Una chiesa al mese
Un libro al mese
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Il contenuto   versione testuale
Il sottotitolo del volume è “Il senso liturgico nell'architettura sacra” e questo rivela il punto di vista da cui parte l'Autore, e anche la sua finalità. L'argomentazione si dipana partendo da alcune constatazioni attinenti alla necessità di ridare “corpo” alla chiesa edificio e all'azione liturgica, intese come aspetti non scindibili. Schwarz è sicuro che nel medioevo si sapessero costruire chiese, proprio perché corporeità e spiritualità non erano viste come scisse. Così egli si propone di rifondare una corporeità “radiosa” come quella che si ravvisa nelle immagini dei santi aureolati, o nelle chiese nelle quali gli antichi artefici raffiguravano il corpo del Signore tramite modalità quali l'abside leggermente angolata rispetto all'asse principale dell'edificio, così come il capo di Cristo resta reclinato nella morte in croce. “Personalmente crediamo – scrive Schwarz – che la sacra oggettività di queste antiche idee sia vera e che noi dovremo convertirci a essa”. Allo stesso tempo Schwarz accetta convintamente che l'architettura contemporanea non possa esprimersi con un linguaggio simile a quelli delle epoche passate, poiché si basa su tecnologie diverse e più avanzate: a partire dai vantaggi offerti dalla possibilità di usare l'acciaio in funzione strutturale, che consente di resistere alle tensioni oltre che alle pressioni, in tal modo permettendo realizzazioni diverse (luci maggiori, pareti più sottili, ecc.).
Nel contesto mutato della sensibilità contemporanea, astratta e più lontana dal senso religioso, Schwarz vuole “rinnovare le antiche dottrine sull'opera sacra, col cercare di riconoscere ed esporre il corpo, quale esso è per noi realmente, come creatura e rivelazione, reinsediarlo nella sua dignità” così che lo si possa riconoscere come “corpo sacro”.
Di qui, l'analisi si sposta sull'occhio e sulla mano: il primo legato alla luce e quindi alla sua origine nel sole, e la seconda capace di accogliere, toccare, operare. Queste due espressioni, la luce e e la capacità di sentire la vicinanza fisica dell'altro, accompagnano tutta l'esposizione, che ha come punti cardine sette “tipi di progetto”: l'anello, l'anello radioso, il calice, il cammino, la parabola, la volta, il duomo. Ognuno di questi “tipi” è espresso, raccontato, elaborato con l'ausilio di disegni schematici. Questi non costituiscono vere e proprie proposte progettuali, bensì linee guida esemplificative, occasioni per ragionare su come la forma corrisponda a un modo d'essere della chiesa. L'attenzione dell'A. è sempre volta alla comunità celebrante e al significato che assume, nelle diverse configurazioni, il disporsi di questa rispetto all'altare e al presidente: non come qualcosa in sé compiuto, bensì come modo di mettersi in relazione col Padre.
Così il primo “tipo”, “l'anello , è indagato come lo spazio in cui le persone stanno tutte attorno al centro in cui si trova l'altare, in tal modo realizzando ciascuna un contatto visivo diretto con questo e allo stesso tempo riconoscendosi come abbraccio comunitario.
 Mentre il secondo tipo è quello dello “anello aperto”, in cui l'apertura stabilisce un orientamento e una via di connessione diretta tra il luogo della celebrazione e l'infinitamente altro, l'inattingibile fonte della luce, grazie alla cui forza il moto centripeto verso l'altare, compiuto a partire dall'opaca gravità dell'essere terreno, può trasfigurarsi.
Il terzo tipo, il calice, prende in considerazione la cupola come espressione del cielo. Ma sempre si parla di rapporti tra persone e spazio, non di concreti progetti edificatori, infatti, avverte l'A., “l'arte del costruttore non è geometria, bensì l'atto con cui plasmare il proprio destino” e “oggetto di questo progetto è la lotta primordiale tra l'uomo e la terra, e in essa l'uomo sta dalla parte della levità, della luminosità...”.
Il quarto tipo è quello del cammino: le persone disposte su file guardano tutte in una sola direzione e si trovano come “esuli sulla terra”. Qui la presenza dell'abside dietro all'altare dà il senso del rapporto con quel che sta “al di là” del visibile.
Il quinto tipo, la parabola, somiglia al secondo tipo, in quanto anello aperto, ma risente maggiormente della gravità e della oscurità dell'essere terreno.
Anche il sesto tipo, la vòlta, riprende il concetto dell'anello che racchiude la comunità riunita, e qui si evidenzia uno “stare” appagato che non necessita di “porsi in marcia”.
 Il settimo tipo è il duomo, inteso come espressione della completezza, edificio “che unisce in sé tutto il corso del tempo e rende presenti tutti i suoi stati”.
Infatti nel discutere i vari “tipi” presentati, l'A. li considera non solo in relazione alle loro potenzialità di dar forma alla comunità celebrante, ma anche li esamina come modelli esperiti nel corso della storia, dai primordi del cristianesimo a oggi.
Pur nell'elaborare il suo scritto come qualcosa di simile a un manuale di architettura, Schwarz esorta l'architetto di chiese a porsi come l'iconografo, che si fa strumento per esprimere nella forma un segno che gli proviene dall'alto, realizzando un'opera non sua: “La grazia non si può estorcere, non si può insistere per averla, non v'è procedimento che la procuri”.
 
 
 
 
Il
Il "duomo di tutti i tempi", che riassume i diversi "tipi" tutti assieme.

"L'anello aperto". L'apertura guarda verso Oriente. "Un vuoto ricolmo di luce giunge fino all'altare".
La basilica e l'importanza dell'abside per schiuderla all'infinitudine.
La basilica e l'importanza dell'abside per schiuderla all'infinitudine.
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