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[Sintesi a cura di Alessio Leggiero]
La
comunicazione pastorale
Robert A. White nel suo denso e concentrato intervento
analizzando gli ambiti socio-culturali del contesto storico attuale pone le basi
per la giustificazione dell’insorgere di una nuova disciplina: la pastorale
della comunicazione.
Dichiarando la novità del termine pastorale (che pur ha la
sua origine nella Bibbia) annota la tendenza ad una ben accetta conversione alla
"comunità" in luogo di un approccio sacramentalista della pastorale.
Quindi si passa ad analizzare sei aspetti di quello che oggi risaputamene è il
tempo della nuova evangelizzazione. Il primo è il nuovo contesto storico
a-religioso o anche anti-religioso che ci sfida nella restaurazione del
significato religioso simbolico; il secondo è la crisi della famiglia come
chiesa domestica ma anche cellula originante i naturale legami affettivi è d’uopo
a questo livello insistere sulla comunicazione di gruppo e sull’etica
comunitaria; il terzo riguarda la sostituzione della direzione spirituale con la
consulenza psichiatrica personale o familiare, queste scienze pur essendo utili
sono insufficienti se non concordi con l’impegno religioso; il quarto riguarda
la frammentazione che tocca anche gli ambiti sociali producendo una divisione
delle persone in gruppi di mercato (bambini, giovani, famiglie, anziani); il
quinto evidenzia la difficoltà di contatti sociali nella parrocchia
tradizionale e la scarsa riuscita della comunità parrocchiale in vista della
tendenza individualista ed eclettica; il sesto vede la sostituzione in ambito
narrativo dei leader religiosi con i mass-media al punto che questi ultimi
dovrebbero essere integrati nella spina dorsale della strutture pastorali. Come
si vede i sei aspetti della crisi dell’annuncio nel nuovo areopago hanno a che
fare con la comunicazione e con le problematiche da essa scaturite. White a
questo punto passa a presentare le tre maggiori aree di discussione presenti nel
dibattito sulla nuova disciplina della comunicazione pastorale: il simbolismo
religioso, la narrazione, la creazione di contesti rituali. E quindi ci
suggerisce quattro approcci metodologici fondamentali: l’analisi culturale
suggerita dall’antropologia culturale, lo studio del simbolismo religioso, lo
studio del processo di comunicazione insito nel simbolismo, la tradizione della
teologia e infine l’approccio della comunicazione pastorale.
Proprio il contesto secolarizzato ove la presenza e la
simbolica di Dio sono sempre più liminari e marginali, e dove il significato
simbolico ha ceduto il passo al sentimento emotivo abbisogna di una
restaurazione del significato simbolico religioso che è ravvisata anche dall’osservazione
fenomenologia degli antropologi culturali (l’uomo è l’unico animale capace
di creare simboli). «Vi è un consenso piuttosto ampio tra gli antropologi nel
ritenere che la religione sia essenzialmente un sistema di simboli». Il modus
simbolico per cui l’uomo appercepisce produce un processo comunicativo che
distinguiamo in diversi livelli di significato: proto-simbolico e proto
religioso, simbolico e religioso propriamente detto. Troviamo tutti questi
livelli nella frase di Gesù rivolta a Simone "Ti faro pescatore di
uomini" che inoltre ribadisce che tutti insieme creano il significato
religioso di condurre le persone nel Regno di Dio. Infatti «Ciò che
caratterizza la comunicazione pastorale di Gesù è la capacità di generare,
attraverso l'interazione con gli altri, un profondo significato religioso che
però è già in qualche modo presente nelle persone. Esse sono consapevoli
della presenza del significato religioso nella loro coscienz
a e cultura, ma Gesù, con il suo senso di missione, riesce a condurle alla consapevolezza della
complessità di significato di tutte le cose e gli eventi. Alla fine del dialogo
con Gesù ogni cosa è diventata come una finestra aperta sull'azione amorosa
dello Spirito nella nostra coscienza e in tutto il creato».
Infatti il rendersi presente del simbolo lascia il
palcoscenico alla azione creatrice di Dio che co-in-volge la testimonianza della
fede del soggetto; il simbolo religioso è sì esteriore ma da forma anche al
sentimento interiore del singolo che comunica ciò che ascolta: una azione
co-creatrice della storia. Un esempio lampante è dato dall’approccio
comunicativo di Gesù che parte dai sentimenti proto-religiosi presenti nella
cultura locale (il significato sacro dell’acqua per esempio) e li trasforma in
simboli del Regno di Dio. A questo proposito il teologo gesuita si sofferma sul
brano evangelico della Samaritana al pozzo per poi individuare i punti di
contatto tra la comunicazione pastorale e la predicazione di Gesù e degli
apostoli:
1. Il comunicatore pastorale scopre le profonde
motivazioni che sottostanno a un determinato lavoro o talento e da qui
costruisce una relazione di amore e solidarietà con le persone.
2. Il senso proto-religioso e il simbolismo culturale
presenti in una data società rivelano motivazioni e desideri positivi che
possono contribuire alla fondazione del Regno dell'amore.
3. La testimonianza del comunicatore pastorale del Regno
porta la persona che ascolta a riflettere più profondamente sui simboli
culturali così da scoprire lo Spirito che sta alla base del suo senso
proto-religioso e del simbolismo della cultura in cui vive.
4. La per
sona (o il gruppo) si prende allora l´impegno di
contribuire all´affermazione del Regno e comincia la lunga e spesso
difficile scoperta del significato più pieno dei simboli del Regno,
soprattutto il significato della Croce e il mistero pasquale. La persona (o
il gruppo) è sostenuta in questo suo impegno dall´unione con gli altri,
dalla comune motivazione e dal senso di identità con il Regno.
Un secondo approccio fondamentale del Cristianesimo è l’uso
della narrazione come forma privilegiata di comunicazione. Ancora P. White
prende in prestito dal vangelo descrivere l’andamento classico della
narrazione:
1. si apre con una rappresentazione iniziale di uno stato
di armonia, come il figlio prodigo che risiede nella casa del padre;
2. prosegue con la rottura di quest´armonia attraverso il
verificarsi di un evento che rappresenta una violazione delle norme morali
condivise dal pubblico: il figlio rifiuta la bontà del padre e ne abbandona
la casa per sperperare la sua parte di eredità in una vita di peccato e
dissolutezza;
3. l´eroe (il figlio) ritorna dal padre, un padre che si
comporta in maniera del tutto diverso da come si aspetterebbe il pubblico.
Normalmente i genitori promettono l´eredità ai figli in cambio della loro
obbedienza, in caso contrario verranno puniti e diseredati. Invece il padre
della parabola raccontata da Gesù, eroe al pari del figlio prodigo,
riaccoglie il figlio e celebra con grandi festeggiamenti il suo ritorno;
4. il malvagio e l´anti-simbolo in questa storia è
proprio quel figlio che il pubblico sarebbe portato a elogiare, colui che
rimane ubbidientemente a casa e che resta fedele al padre. La sua colpa
maggiore sta nel non avere perdonato il fratello ribelle;
5. la storia termina con una ricostituzione dell´armonia
iniziale, e cioè con una festa nella quale il vitello più grasso,
destinato per un´occasione speciale, viene ucciso, una festa che diventa
simbolo del Regno di Dio.
E’ chiaro che il potere di Gesù è nella capacità di
immedesimazione che suscita nell’ascoltatore oltre che nella brillante
paradossalità dei racconti. Altri esempi narrativi sono i racconti dei
martiri, le storie di conversione, i racconti degli apostoli fondatori delle
chiese e degli eremiti.
Il padre gesuita ravvisa che «uno dei principali motivi
della crisi della comunicazione pastorale è stato il graduale allontanamento
dalla forma narrativa a favore di una comunicazione più analitica».
Un terzo momento è la comunicazione pastorale come
contesto rituale. In prima battuta si procede a definire i concetti di rituale
e di conversione alla comunità sviluppati dall’antropologia
culturale e soprattutto da Victor Turner.
Questi studiando i riti di iniziazione dei clan tribali
giunge a definire un esperienza rituale "liminale" poiché la
considera come una sorta di porta tra il mondo pragmatico e quotidiano e
quello utopico della comunità perfetta. Esempi si esperienze liminali della
civiltà occidentale sono, allora, il pellegrinaggio religioso, il monachesimo
etc.
L’esperienza cristiana della conversione alla comunità
è fondata e scaturita dall’esperienza quotidiana del pasto comune si pensi
all’ultima cena, all’adesione alle comunità proto-cristiane sancita dalla
celebrazione Eucaristica. Pian piano, annota White, i luoghi e tempi legati
all’esperienze liminali si sono allargati al contesto secolarizzato (si
pensi alla pop music per i giovani e alla cultura dei media). La sfida secondo
il gesuita e proprio a questo livello: scoprire le relazioni tra i nuovi
contesti rituali naturali con il rito eucaristico.
Nelle conclusioni P. White non è avaro nel suggerire un
metodo per l’approccio della comunicazione pastorale:
1. l´analisi culturale con la quale possiamo scoprire i
linguaggi più appropriati ad esprimere l´esperienza dello Spirito;
2
. l´analisi della comunicazione
con la quale possiamo individuare le nuove forme di discorso
nell´espressione della fede;
3. l´analisi teologica che ci aiuta a renderci conto dei
nuovi modi in cui le persone trovano Dio e legano questa esperienza con
teologie più universali.
Ma i nuovi approcci della comunicazione pastorale non sono
altro che un continua adattamento delle tre tradizioni di comunicazione
pastorale attuate dalla predicazione gesuana:
1. lo sviluppo del simbolismo religioso a partire dal
simbolismo culturale pragmatico, proto-religioso già presente nelle
persone;
2. l´uso della narrazione di storie;
3. l´invenzione e l´adattamento dei contesti rituali di
conversione alla comunità.
Robert A. White