Torna alla home
Direttore: Maffeis Don Ivan
Circonvallazione Aurelia, 50 00165 Roma
06 66398209
06 66398239
Cerca
 Area di lavoro - Vecchio sito - Documenti 


Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali - Rassegna di Teologia

COMUNICAZIONE ECCLESIALE E COMUNICAZIONE
La comunicazione in prospettiva ecclesiologica

integrazione della fede con la trasmissione mediatica».

Nelle conclusioni si tenta una previsione dichiarando che sarà più difficile regolare l’appartenenza ecclesiale e che la comunione sarà vissuta secondo nuovi paradigmi.


[Sintesi a cura di Alessio Leggiero]

Comunicazione ecclesiale e comunicazione

La comunicazione in prospettiva ecclesiologica

 

 

Giacomo Canobbio cercando di fornire un contributo equilibrato che si frapponga tra gli "osanna" e i "crucifige" – che spesso caratterizzano gli ecclesiastici dinanzi al novum di un fenomeno culturale – lo articola in tre momenti: «nel primo si riprenderanno alcuni elementi della descrizione della Chiesa come comunione; nel secondo si verificherà se la comunicazione mediatica renda possibile una più viva comunicazione ecclesiale; nel terzo si considereranno le trasformazioni ecclesiali ed ecclesiologiche indotte dalla medesima comunicazione». Una prima riflessione si fa precisando subito la nozione di "comunione" individuata già nella Lumen Gentium come contrapposta ad una mentalità «verticisitca, gerarcologica, giuridica…». Una nozione che riscopre la Chiesa fraterna, luogo di partecipazione in cui l’unità non mortifica la diversità tanto che è tacita l’affermazione sia magisteriale che teologica riguardo alla riscoperta da parte del Vaticano II della ecclesiologia di comunione. Questo input ha dato vita ad una recezione della nozione di comunione molto ricca e creativa non scevra però di pericolose derive ideologiche e mistificatrici. A tal proposito Canobbio, con lucidità, richiama una precisazione della Relazione Conclusiva del Sinodo del 1985: «l’ecclesiologia di comunione non può essere ridotta a pure questioni anizzative o a problemi che riguardino semplicemente i poteri. Tuttavia l’ecclesiologia di comunione è anche fondamento per l’ordine nella chiesa e soprattutto per una corretta relazione tra unità e pluriformità nella chiesa. E’ evidente che il genitivo oggettivo "di comunione" elude il rischio di una prassi sociologica o addirittura intesa come unio spirituale scevra del testo e contesto storico. Ma la ecclesiologia di comunione affonda le radici nella Chiesa primigenia che è partecipazione alla vita di Gesù in forza dello Spirito. Il nostro indica tre elementi fondamentali per dire storicamente la partecipazione: la condivisione della fede, la celebrazione eucaristica, la vita fraterna. L’elemento basamentale ai tre elencati è la comunione nella dimensione verbale e simbolica. Infatti «la comunione non solo sta al principio della comunicazione, ma ne è anche l’esito» come conferma il testo di 1 Gv 1, 1-3 – l’annuncio nasce da una esperienza di comunione ed è finalizzato ad introdurre gli ascoltatori nella medesima comunione. Il risvolto ecclesiologico sprigiona la sua praxis da questo assunto tanto che il passaggio ulteriore della riflessione del Canobbio è considerare se e come le forme di comunicazione rese possibili dalla tecnica odierna contribuiscano alla costruzione della comunicazione ecclesiale.

A questo proposito nel secondo punto si fa una analisi puntuale per toccare le midolla della questione: essendo la comunione ecclesiale un dono dello Spirito quanto i sofisticati media odierni sono originariamente strumentum per veicolare la comunione stessa? Il nostro scioglie il nodo dichiarando che il vero problema è «verificare se la comunicazione oggi possibile costituisca una opportunità per la comunicazione della fede e quindi per il costituirsi della Chiesa». Legittimati da una prospettiva ravvisata in Gaudium et spes secondo cui Cristo porta a compimento la nativa destinazione delle persone umane all’unione sociale siamo portati a considerare quanto davvero i nuovi media avvicinino o allontanino le persone e popoli. Le posizioni nell’areopago odierno a riguardo sono variegate e ce ne viene offerto un esempio nella sottolineatura di Nicolas Negroponte in cui (direttore del Madia Lab del MIT) emerge la funzione socializzante in dimensione planetaria «fino a rendere il mondo digitale piccolo come la capocchia di uno spillo» e in quella di Umberto Galibemberti la negazione di internet come mezzo di una reale esperienza comune «lo scambio ha un andamento solipsistico dove un numero infinito di eremiti di massa comunicano le vedute del mondo quale appare dal loro eremo». Canobbio chiosa dicendo che «nell’annuncio massmediale la comunità diventa anonima e invisibile, non siamo più con l’altro, ma uno accanto all’altro. E allora in questo orizzonte di prossimità infinita e irrealizzata quale prospettiva di può dischiudere per l’esperienza ecclesiale e per l’ecclesiologia?

Il terzo momento cerca di rispondere a questa domanda considerando tre elementi ecclesiologici: 1. variazioni nell’appartenenza; 2.nuova coscienza di universalità; 3. nuove possibilità di annuncio.

Il primo elemento insiste sulla possibilità di decidere il proprio locus di appartenenza selezionando – magari dalla rete – le informazioni che più interessano. Applicando questo assunto alla religione si come risultante un sincretismo indisciplinato che tradendo l’invarianza propria di ogni religione – a maggior ragione della fede cattolica – realizza per il soggetto la sensazione di avere finalmente un ruolo attivo, potendo il soggetto stesso definire i propri riti, credenze e il proprio linguaggio. Ma «il volto della Chiesa alla quale si aderisce dura finchè non si deida di cambiarlo». L’unità costruita magari navigando in rete è troppo fragile e non può essere sufficiente per l’edificazione di una Chiesa non virtuale che anzi ne risulta disgregata. Canobbio qui evidenzia una possibilità e una rischio. La prima potrebbe essere quella di vedere nei «mezzi di comunicazione sociale un’opportunità per rinsaldare i vincoli visibili e quindi alimentare il senso di appartenenza alla Chiesa (visibile); il secondo sarebbe quello di una partecipazione passiva, libera al punto da poter essere sospesa in qualunque momento, tendenzialmente solitaria. Si può dire di essere più di fronte alla visione di uno spettacolo che ad un’assemblea convocata dal Signore.


Il secondo aspetto riguarda l’universalità della Chiesa.
Qui trapela dai fogli del teologo Canobbio il concetto di Internet time applicato alle recezione e riflessione ecclesiologica, infatti, esplicitando la contemporaneità e la velocità che la comunicazione in rete comporta si avanza l’ipotesi che la Chiesa dalla rete potrebbe esse coadiuvata nel portare a
maturazione nei fedeli il senso di cattolicità sia nel suo significato di totalità sia in quello di universalità. «A questo riguardo si potrebbe vedere nella dilatazione di orizzonti permessa dalla rete un ridimensionamento dell’ecclesiologia che pone l’accento sulla Chiesa locale/particolare» a favore di una ecclesiologia della Chiesa universale. Questo avverrebbe non per un discernimento teologico ma per una congiuntura mediatica.


Il terzo aspetto considerato riguarda l’uso dei media per annunciare il vangelo. Dopo un richiamo della Istruzione pastorale della Pontificia Commissione per le comunicazioni sociali, Communio et progressio (23 maggio 1971) che definiva Cristo come «il perfetto "Comunicatore"» si distingue tra l’usare bene i media e il capire bene la cultura mediatica per poterla evangelizzare. Canobbio cerca anche delle affinità comunicative tra i media e lo stile dell’annuncio cristiano (informazione e kerygma e allocuzione) per poi fermarsi nel constatare che nel caso dell’annuncio lo stile comunicativo dava peso al contenuto della parola e non ad una sorta di estetica verbale.
Con Pierangelo Squeri afferma che la Chiesa deve «rimanere lucidamente consapevole del limite intrinseco della

Giacomo Canobbio