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Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali
Sintesi del Documento Preparatorio al Convegno Ecclesiale di Verona, 16 – 20 ottobre 2006
TESTIMONI DI GESÙ RISORTO, SPERANZA DEL MONDO

Il Convegno Ecclesiale Nazionale che si terrà Verona nel 2006 è un “evento” che «si propone di dare nuovo impulso allo slancio missionario scaturito dal Grande Giubileo del 2000». E’ quanto sottolinea nella presentazione del Documento preparatorio Sua Em.za Card. Dionigi Tettamanzi, Arcivescovo di Milano e Presidente del Comitato preparatorio. E’ un momento che si inserisce nel cammino della Chiesa nel nostro Paese, oggi più che mai scandito dagli Orientamenti pastorali Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, dal quale ci si aspettano ricadute fruttuose per la comunità ecclesiale italiana, così come è già avvenuto per i tre Convegni precedenti. (Roma 1976, Loreto 1985, Palermo 1995).

“Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo” è il tema del Convegno Ecclesiale che avrà luogo nella città scaligera. Il tema ribadisce la scelta fatta nei precedenti Convegni Ecclesiali, cioè di dedicare tali eventi alla considerazione del ruolo dei cristiani nel contesto della realtà storica, sociale e culturale in cui essi vivono e operano.

Gli interrogativi sono molteplici e complessi: cosa comunica il Vangelo alla vita dei cristiani? Come Gesù Cristo può rigenerare questo vissuto, soprattutto nella sua dimensione quotidiana? In che modo può essere plasmata una nuova prospettiva antropologica nell’epoca della complessità? Quali forme e modalità possono caratterizzare la presenza dei cristiani in questo momento storico nel nostro Paese?

Per rispondere a questi interrogativi occorre fare riferimento a tre prospettive che fanno da sfondo al Convegno: la prima è quella della “missionarietà”, cioè del bisogno di risvegliare una coscienza missionaria, della necessità di ritrovare da parte dell’intera comunità ecclesiale un anelito nuovo all’annuncio del Vangelo. La seconda è quella della “cultura”, intesa come capacità della Chiesa di offrire agli uomini e alle donne di oggi un orizzonte di senso, di essere con la sua stessa esistenza un punto di riferimento credibile per chi cerca una risposta alle esigenze complesse e multiformi che segnano la vita. La terza è quella della “spiritualità”, una spiritualità moderna e pasquale, anche e specialmente laicale, caratterizzata dall’impegno nel mondo e dalla simpatia per il mondo come via di santificazione, prospettata già a conclusione del Convegno Ecclesiale di Palermo.

La riflessione alla quale invita la Conferenza Episcopale Italiana e, in particolare, il Comitato preparatorio si fonda su quattro momenti che sorreggono il cammino verso il convegno veronese: “La sorgente della testimonianza”, “La radice della testimonianza”, “Il racconto della testimonianza”, e “L’esercizio della testimonianza”.

Il primo momento individua il cuore pulsante della testimonianza nella consapevolezza della Risurrezione di Cristo. La speranza cristiana, bene fragile e raro presente nel cuore di ogni uomo e donna, infatti, porta il nome del Crocifisso Risorto. «Vedere, incontrare e comunicare il Risorto è il compito del testimone cristiano». Tutto questo, a partire dalla riflessione che la fede pasquale è anzitutto esperienza di conversione, e di conseguenza di missione. Molti racconti delle apparizioni del Risorto iniziano annotando come i discepoli, le donne, coloro che hanno seguito Gesù lungo il cammino non lo riconoscano. Il dubbio è sconvolgente: perché non vedo il Signore presente? Gesù Risorto non viene subito riconosciuto». Al riguardo, la conversione è duplice: la prima riguarda l’identità di Gesù. «Gesù di Nazaret non è solo il profeta che ha rivendicato di essere il Figlio di Dio, ma è il Signore che, seduto alla destra del Padre, conserva le piaghe del Crocifisso. Non è solo il Signore che si fa servo, prendendo le nostre piaghe e le nostre ferite, le nostre malvagità e il nostro peccato; ma è il servo che diventa e resta Signore per sempre, trasfigurandoci con la sua carità sino alla fine. Le ferite del Crocifisso non sono il segno di un incidente da dimenticare, ma una memoria incrollabile nella testimonianza della Chiesa». La seconda conversione riguarda il volto della Chiesa: «Vedere il Risorto significa che la comunità dei discepoli, che ha seguito il maestro per le vie della Palestina, deve diventare la Chiesa-comunione che mette il Risorto al suo centro e lo annuncia ai fratelli». La missione, invece, è l’incontro con il Risorto, la cui signoria riconcilia il cielo e la terra. Incontro con il Risorto che è esperienza di relazione: una relazione “spirituale”, capace di trasformare la vita personale e sociale. Il mistero della Chiesa, il senso dei suoi gesti e delle sue iniziative, la forza della sua testimonianza hanno il compito di introdurre gli uomini alla relazione viva con il Risorto.

Il secondo momento di riflessione mette a fuoco la radice del testimone cristiano sottolineando che il credente cristiano riceve la chiamata a essere testimone come un dono e una promessa. All’origine del dono c’è il battesimo accolto nella fede e radicato nel mistero pasquale, mentre la figura adulta della testimonianza si incarna nella «fede che opera per mezzo della carità». Una testimonianza, quella da rendere a Cristo Risorto, che tuttavia rischia di essere percepita come un fatto privato senza rilievo pubblico, limitata ai rapporti corti e gratificanti all’interno di un gruppo oppure che rischia di essere ridotta a una proclamazione di valori senza mostrare come la fede trasformi la vita concreta. «Il cristiano diventa testimone del Signore vivendo e comunicando il Vangelo con gioia e con coraggio - si sottolinea nel documento -. Egli deve tenere congiunti i due aspetti della testimonianza, quello personale e quello comunitario», perché «la vita culturale e sociale è l’orizzonte in cui il vissuto quotidiano dei credenti deve lasciarsi plasmare dal Risorto», come già indicato nel Concilio Vaticano II.

Il terzo momento riguarda la testimonianza del cristiano nella comunità ecclesiale e nel mondo, mostrando come la speranza cristiana si faccia vita, con particolare riferimento alla testimonianza cristiana dei genitori e degli adulti. «La testimonianza autentica, infatti, appartiene alla tradizione entro cui ha preso corpo e che essa trasmette a sua volta, creando il nesso tra le generazioni dei fedeli. Mentre la parola di Dio e il sacramento, soprattutto nella loro sintesi liturgica, fondano la fede pasquale, il racconto dei testimoni attesta la speranza e la diffonde nei cuori. La speranza genera la testimonianza e questa, a sua volta, trasmette la speranza, in una connessione vitale e inscindibile, di cui si sostanziano la tradizione e l’educazione della fede della comunità cristiana». Quanto alle caratteristiche della presenza nel mondo di questa testimonianza, il linguaggio tradizionale suggerisce una coppia di termini che ha sovente designato lo stile proprio del testimone: contemplazione e impegno. Al riguardo, modello per tutte le generazioni della fecondità di tale sintesi tra contemplazione e impegno è Maria, la giovane donna che, dicendo sì nel segreto del cuore, rende possibile l’irrompere della Speranza nella storia; la madre che segue il figlio da Cana in Galilea fino a Gerusalemme, anche lei alla scuola del Maestro; la testimone che nel Cenacolo riceve il sigillo dello Spirito, insieme ai Dodici.

Il quarto, ed ultimo momento di riflessione, infine,  prospetta l’esercizio della testimonianza come discernimento e come ricerca di presenza significativa dei cristiani laici che sanno mettere a fuoco le situazioni oggi più rilevanti per la vita delle persone. In questo contesto una particolare attenzione va rivolta alle trasformazioni culturali, soprattutto per il loro evidente risvolto antropologico.

«La testimonianza cristiana – infatti - si fa carico dell’indispensabile mediazione storica della coscienza credente, che si articola e si precisa nelle concrete espressioni culturali, come evidenziato in diverse circostanze dal nostro Progetto culturale». Si tratta, più precisamente, di sviluppare una continua interconnessione tra la formazione cristiana e la vita quotidiana, tra i principi dell’antropologia cristiana e le decisioni etiche, tra la dottrina sociale cristiana e le scelte e i comportamenti, per cercare con libertà, con creatività e nel dialogo con le diverse espressioni culturali le iniziative più efficaci e le soluzioni appropriate.

«In particolare occorre tenere presenti alcuni nodi problematici, tipici del nostro tempo – si piega nel documento - come la scissione tra razionalità strumentale (tecnologico-scientifica, giuridico-amministrativa, economico-finanziaria...) e vissuto affettivo ed emotivo; la giustapposizione di fiducia quasi illimitata nella conoscenza scientifica e tecnologica e lo scetticismo diffuso quanto alla capacità dell’uomo di conoscere la verità e il senso dell’esistenza; la rivendicazione della libertà individuale insindacabile accompagnata a una credenza largamente condivisa nel determinismo (biologico, psichico, sociale); la giustapposizione di individualismo e di apprezzamento per i valori dell’etica pubblica e del bene comune; la tensione tra nuove condizioni del lavoro, benessere sociale e giustizia internazionale».


A più di quarant’anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II, la Chiesa vuole riprenderne gli intenti e lo slancio per annunciare il Vangelo della speranza. E, infatti, proprio la virtù teologale della speranza che il Convegno Ecclesiale Nazionale di Verone vuole porre al centro dell’attenzione delle comunità cristiane in contrapposizione al “sentimento di fluidità”, causa di disorientamento, incertezza, stanchezza e talvolta persino di smarrimento e disperazione, che domina la società odierna. Tutto questo affinché i cristiani accolgano sempre di più l’invito evangelico, rinnovato dalla lettera apostolica Novo millennio ineunte, a “prendere il largo”, come ha incoraggiato a fare Giovanni Paolo II.


 


Ambiti della testimonianza


 


E opportuno che l’esercizio della testimonianza, con i cammini e i criteri indicati, presti attenzione ad alcune grandi aree dell’esperienza personale e sociale. In tal modo si potrà dare forma storica alla testimonianza cristiana in luoghi di vita particolarmente sensibili o rilevanti per definire un’identità umana aperta alla speranza cristiana.


Questi ambiti hanno una valenza antropologica che interpella ogni cristiano e ogni comunità ecclesiale. Sono da affrontare per fare emergere un sentire e un pensare illuminato dalla luce che il Vangelo proietta su ciascun campo dell’umano. E sono da vivere con la coscienza avvertita di quanto incidono sul senso globale dell’esistenza.


a) Un primo ambito è quello della vita affettiva. Ciascuno trova qui la dimensione più elementare e permanente della sua personalità e la sua dimora interiore.


b) Un secondo ambito è quello del lavoro e della festa, del loro senso e delle loro condizioni nell’orizzonte della trasformazione materiale del mondo e della relazione sociale.


c) Un terzo ambito è costituito dalle forme e dalle condizioni di esistenza in cui emerge la fragilità umana. La società tecnologica non la elimina; talvolta la mette ancor più alla prova, soprattutto tende a emarginarla o al più a risolverla come un problema cui applicare una tecnica appropriata.


d) Un quarto ambito potrebbe essere indicato con il termine tradizione, inteso come esercizio del trasmettere ciò che costituisce il patrimonio vitale e culturale della società. Anche la cultura odierna, pur sensibile alla novità e all’innovazione, continuamente compie i suoi atti di trasmissione culturale e di formazione del costume.


e) Un ultimo ambito di riferimento è quella della cittadinanza, in cui si esprime la dimensione dell’appartenenza civile e sociale degli uomini. Tipica della cittadinanza è l’idea di un radicamento in una storia civile, dotata delle sue tradizioni e dei suoi personaggi, e insieme il suo significato universale di civiltà politica.