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L’antologia di letteratura migratoria "Lo straniero" (S. Fongaro)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 6/10


enticinque anni fa usciva dalla tipografia l’antologia della letteratura classica e italiana “Lo Straniero”, sponsorizzata dal Centro Studi di Basilea allora diretto da P. Silvano Guglielmi, utilizzata nelle scuole medie superiori italiane di Svizzera e Germania. Un’antologia che ho curato con passione, perché nasceva dalla mia attività di docente di lettere classiche e moderne nel Liceo Sperimentale Scalabrini di Piacenza, che tra le materie scolastiche del triennio introduceva Lingua e letteratura inglese e francese e Storia del lavoro e dell’emigrazione. Anche le discipline tradizionali (Greco, Latino, Italiano) privilegiavano il taglio migratorio, rivisitando gli autori del programma ministeriale anche in quell’ottica. L’antologia, di 570 pagine, illustrata da foto storiche dell’emigrazione italiana, aveva la sola pecca di non essere stata inserita in un vero e proprio circuito editoriale di diffusione.
Per rivisitarla, ne diamo prima i titoli delle sezioni, poi il criterio di approccio degli autori, quindi alcune acquisizioni che sono valide anche oggi, in tempi in cui l’Italia da paese di emigrazione è diventato paese di immigrazione. Infine se ne vede anche il limite storico.

Sezioni
Parte prima: definizione e tipologia di straniero; tipologia dei mali e dei beni a cui lo straniero va soggetto; lo straniero percepito naturalmente dall’uomo nella sua ambivalenza di nemico e ospite.
Parte seconda: Lo straniero in Grecia e in Roma, con abbondanza di documenti letterari e storici.
Parte terza: Lo straniero in Omero, Euripide, Eroda, Virgilio, Ovidio, Petronio, Marziale, Giovenale, Ambrogio e Agostino.
Parte quarta: lo straniero nella cultura: l’essere straniero come dimensione religiosa e filosofica; lo straniero nella concezione biblica. L’ospitalità.
Parte quinta: Lo straniero nella letteratura italiana: Dante, Foscolo, Manzoni. Lo straniero negli scrittori meridionalisti (Verga, Capuana, Perri, Alvaro, Silone, Vittorini, Levi, Sciascia, Strati) e negli scrittori non meridionalisti (Cantù, Zanella, Faldella, Giacosa, De Amicis, Barbarani, Pascoli, Vivanti, Pascarella, Pirandello, Viani, Jahier, Pea, Ungaretti, Quasimodo, Prezzolini, Sacchi, Salvemini, Pavese, Mastronardi, Tecchi, Sgorlon.
Parte sesta: guida ai movimenti letterari coinvolti dagli autori: Realismo, Verismo, Decadentismo, Neorealismo.

Criteri di approccio
Il criterio di approccio ai testi è quello di considerare l’emigrazione come un male o categoria dello sradicamento, e come un bene o categoria del trapianto. Gli autori antologizzati, tuttavia, hanno evidenziato (e questo è già per tanti aspetti significativo!) prevalentemente i mali. Solo quattro su una cinquantina di autori hanno visto il bene dell’emigrazione.
Dai testi presentati, che per quanto riguarda l’emigrazione storica italiana (1860-1970) sono quanto il mercato letterario offriva, l’esegesi mira a rilevare non solo il vero, ma anche il bello, specie nei testi di poesia e nei romanzi.
I limiti dell’antologia sono dovuti al fatto che essa è nata in seno ad un liceo classico italiano, che voleva verificare se e quale memoria la ‘bella letteratura’ italiana avesse fatta della sua emigrazione storica, in particolare di quell’emigrazione che viene detta “la tonnellata umana”: dall’Unità d’Italia al primo dopo guerra 1860-1970. L’Italia come paese di immigrazione non è stato oggetto della nostra ricerca, perché il fenomeno non esisteva ancora in maniera rilevante. L’unica immigrazione allora era quella interna, puntualmente accertata dall’antologia.

Acquisizioni
Alcune acquisizioni di questa antologia possono ancora far riflettere.
Nel mondo antico Atene è progredita più di Sparta, perché filostraniera e non xenofoba come la città rivale; e quando l’egoismo prevalse anche in seno alla democrazia ateniese, con la restrizione dei titoli per acquisire la cittadinanza, fu l’inizio della fine anche della democrazia ateniese.
Roma, invece, fu più saggia di tutti nel mondo antico, compreso Israele, perché i popoli conquistati se li faceva alleati e non sudditi come avveniva nelle monarchia orientali e a Cartagine; e per farseli alleati aveva una varietà di maniere di aggregazione per cui ciascun popolo aveva un privilegio che non avevano gli altri.
Tuttavia (e anche questo non è da dimenticare se oggi ci guardiamo attorno perplessi) anche nel mondo antico filostraniero le cose non erano rosee, anzi: il figlio di un immigrato in Atene, Lisia, nato in Atene, vi rimane per oltre 70 anni sempre come cittadino di seconda serie (metèco), cioè, privo di alcuni diritti fondamentali, specie politici; le cause giudiziarie in Atene filostraniera sono di competenza del polemarco, il ministro della guerra, e non della magistratura ordinaria: sono un fatto di polizia, diremmo oggi; e un cittadino che uccide uno straniero nella filostraniera Atene rientra nelle competenze solo del Palladio, un tribunale per i delitti di sangue preterintenzionali, o a carico di uno schiavo e non punibili con pene severe.
Il diritto naturale di emigrazione, è acquisizione moderna, ma è già rivendicato chiaramente da Sant’Ambrogio di Milano (390) in occasione di una ventilata cacciata degli stranieri da Roma in seguito ad una carestia: azione ingiusta, egli stigmatizza, e perciò anche economicamente dannosa! (111).
La restrizione del diritto di cittadinanza ateniese, avvenuto con Pericle per non dividere la torta dei privilegi in fette troppo sottili, sarà stigmatizzato nella “Medea” di Euripide (45), che legge il mito in chiave di quella attualità restrittiva di Pericle.
Il tema della cittadinanza è trattato nelle frizzanti pagine del diario del poeta romanesco Pascarella a proposito degli italiani in Argentina (431), e si capisce che chi ha il potere sia sempre restio a divedere la torta in parti più piccole.
La cittadinanza, tuttavia, è un diritto che ha anche dei doveri nei riguardi dello Stato adottivo. Prezzolini parla a proposito di requisiti di “etica”, che esige da parte dell’immigrato almeno la conoscenza della lingua in cui si esprime la nazione adottiva (491).
Per quanto riguarda il bilinguismo Prezzolini (482) consiglia che chi è nato nel paese ospite, e vuol rimanervi, deve avere come lingua principale quella del paese ospite e non quella materna. E chi vi è arrivato in età scolare deve prima apprendere la lingua del paese ospite, e il paese ospite ha il dovere di offrirgli strutture e tempi congrui perché possa apprendere la nuova lingua sì da essere poi inserito nelle classi adeguate: e questo si chiama discernimento legislativo e non discriminazione razziale.
Il Beato Scalabrini, Vescovo dei migranti, era persuaso che oltre la lingua anche la cultura del paese di origine deve essere impartita dalla scuola se questa vuole davvero integrare l’emigrato. Integrazione, infatti, deve essere la somma di due interi e non il residuo di due metà.

Attualità
L’antologia, che voleva accertare se la letteratura contemporanea al grande esodo del popolo italiano ne avesse fatto memoria, e poi quale memoria, ci lascia concludere che memoria è stata fatta, ma dai cosiddetti narratori o poeti minori, e che quella memoria ha visto soprattutto nel fenomeno migratorio il male dello sradicamento più che il bene del trapianto. Carducci e D’Annunzio, coevi all’esodo italiano, sono completamente latitanti, mentre Pascoli può dirsi il poeta dell’emigrazione storica italiana e De Amicis il suo narratore più documentato.
Quello che sorprende ancora di più è che le stagioni letterarie del Verismo fine Ottocento e del Neorealismo sul crinale del Novecento non abbiano fatto memoria adeguata all’emigrazione che era il problema sociale di gran lunga più drammatico dell’Italia di allora. La loro poetica programmatica di attenzione all’Italia reale (politica economica e sociale) è rimasta sulla carte. E purtroppo un’amara constatazione, ma pur sempre una acquisizione.
Sfogliando questa antologia ci pare di vedere in filigrana alcuni aspetti dell’immigrazione attuale in Italia, specie i mali dello sradicamento, dovuti a molteplici fattori ambientali, politici e sociali. Si vedano le attuali “carrette del mare” in De Amicis (377), o gli “arruolatori di carne umana” (Scalabrini) (343) e in Cesare Cantù la povertà degli emigranti italiani così spaventosa da non far sfigurare quella di emigranti centroafricani (384), o l’attività da “castori” di certi immigrati cinesi nei meridionali di Vigevano in Matsronardi (516); l’emigrazione come protesta contro ogni forma di malora e di ingiustizia in Berto Barbarani (385): infine la pagina celebre sugli italiani “nuovi negri d’America” in Pascoli (410).
Nell’antologia appare anche il razzismo, così bene radicato nell’umanità da identificare straniero e nemico (13).
Per renderci conto se in Italia, nonostante il cumulo di dolori della nostra emigrazione storica, siamo a nostra volta inficiati dal bacillo del razzismo strisciante nei riguardi degli immigrati, vale la pena ricordare quanto un esperto di sociologia migratoria come lo scalabriniano Padre Antonio Perotti soleva dire rifacendosi al sociologo De Smet: “L’atteggiamento di un popolo nei riguardi dello straniero è direttamente proporzionale a quello assunto nei riguardi dell’emigrato interno”. E questo è bene antologizzato ne Lo Straniero, là dove si parla dei “terroni” in Strati (332).
Ci si può chiedere: “Ma perché emigrare verso tanti mali?”. La letteratura raccolta ne Lo Straniero ha risposto che quei mali erano pur sempre minori di quelli lasciati. Qualcosa di simile capita oggi a certi immigrati africani o ai Rom.